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Così le vaccinazioni tradizionali aumentano le difese contro il Covid

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Proteggersi dall’influenza. Sembra essere questa la parola d’ordine per la sanità pubblica mentre circola il virus Sars-CoV-2. E non solo per ridurre il rischio di co-circolazione di più virus assieme, con conseguente impatto sulla sanità pubblica e minor rischio di “misunderstanding” diagnostici in caso di sintomi comuni alle due infezione, oltre che sulla salute del singolo.

Indicazioni positive dagli studi

Le prime evidenze scientifiche, quantunque non definitive, sembrano indicare che la protezione dal virus stagionale e più in generale la prevenzione attraverso i vaccini, pur non agendo direttamente sul virus responsabile di Covid-19, possano avere un impatto positivo sui rischi correlati alla malattia.

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«Il problema è ancora controverso, ma i dati fino ad ora disponibili sembrano indirizzare in questo senso – spiega Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri -. Per l’Italia, stiamo ancora valutando i risultati dello studio del nostro Istituto e del Policlinico di Milano su quanto avvenuto nei mesi scorsi tra persone vaccinate per l’influenza e non, in termini di possibilità di ammalarsi di Covid-19 e di gravità della malattia. Ma ci sono prove che dimostrano come non solo il vaccino anti-influenzale ma anche altri, ad esempio quello per lo pneumococco, per la poliomielite e per la tubercolosi, potrebbero avere un ruolo protettivo nello sviluppo di Covid-19. Si tratta di ricerche pubblicate sulla piattaforma medRxiv, quindi non ancora sottoposte a rivalutazioni di terzi. Ma si tratta comunque di dati incoraggianti».

In termini generali, tra le evidenze più significative occorre sicuramente citare quanto emerge da una ricerca condotta alla Mayo Clinic su oltre 137.000 persone sottoposte ad esami per sospetta infezione da Sars-CoV-2 e valutate anche sotto il profilo della prevenzione vaccinale generale.

Si riduce il tasso di infezione

«Le vaccinazioni contro poliomelite, batterio Haemophilus influenzae di tipo B, morbillo-parotite-rosolia, varicella, pneumococco, epatite A e B, oltre ovviamente a quella per l’influenza nella popolazione anziana, somministrate negli ultimi uno, due e cinque anni sono risultate associate a una riduzione dei tassi di infezione da Sars-CoV-2, anche dopo aggiustamento delle analisi per incidenza di infezione da Sars-CoV-2 nell’area geografica considerata e incidenza di tamponi effettuati, parametri demografici, presenza di altre malattie e numero di altre vaccinazioni effettuate – segnala Remuzzi -. Ovviamente questi dati vanno confermati e soprattutto occorre comprendere i meccanismi immunologici che possono spiegare queste situazioni, ma si tratta di informazioni di grande interesse, considerando che, parlando di chi è si è vaccinato negli ultimi due anni rispetto ai non vaccinati, il rischio d’infezione da Sars-CoV-2 sarebbe ridotto del 43% dopo vaccinazione anti-polio del 47% in chi è protetto dall’Haemophilus influenzae, del 28% dopo vaccino anti-pneumococco. Il trend di riduzione del rischio, peraltro, si mantiene anche per chi si è vaccinato nei confronti di queste infezioni negli ultimi cinque anni».



www.ilsole24ore.com 2020-09-01 13:23:02

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