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Melanoma: dieci raccomandazioni per la diagnosi precoce

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Tempismo, strumenti adeguati e contatto diretto tra medici e pazienti per arrivare ad una diagnosi precoce del melanoma aumentate del 20% nell’ultimo anno. Sono alcune delle dieci raccomandazioni accompagnate da dieci azioni concrete per abbreviare i tempi della diagnosi di melanoma e salvare più vite, presentate in una conferenza stampa virtuale. Il decalogo è stato stilato dalle associazioni di pazienti e dalle società scientifiche coinvolte nel progetto ‘Bersaglio Melanoma’, promosso da Aimame (Associazione Italiana Malati di Melanoma e tumori della pelle), Apaim (Associazione Pazienti Italia Melanoma), Emme Rouge e Melanoma Italia Onlus (Mio), con il patrocinio di Adoi (Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani), Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica), Imi (Intergruppo Melanoma Italiano) e Sidemast (Società Italiana di Dermatologia Medica, Chirurgica, Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse). Le 10 raccomandazioni sono state inviate al Ministro della Salute, Roberto Speranza, e al Sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri.

All’aria aperta ma protetti

In un anno le nuove diagnosi di melanoma, in Italia, sono aumentate del 20%, da 12.300 nel 2019 a quasi 14.900 nel 2020. “Nessun’altra neoplasia ha fatto registrare un incremento così elevato – afferma Giovanni Pellacani, direttore Unità Operativa Complessa di Dermatologia Policlinico Umberto I, Università La Sapienza di Roma. “Prevenzione e diagnosi precoce sono le armi più importanti per sconfiggere questo tumore della pelle. Se scoperto in fase iniziale ed eliminato con una corretta asportazione chirurgica, il melanoma è del tutto guaribile. L’arrivo dell’estate rappresenta l’occasione per trascorrere più tempo all’aria aperta. Basta seguire alcune semplici regole di prevenzione, in particolare evitare l’esposizione ai raggi solari fra le 12 e le 16, in ogni caso proteggendosi sempre con un’appropriata protezione solare, cappello e occhiali da sole”.

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La regola dell’ABCDE

Come ormai ripetono da anni sia dermatologi che oncologi, è importante controllare con regolarità la propria pelle e, nel caso si noti la comparsa di una lesione sospetta, va prenotata subito una visita dermatologica. “La regola dell’ABCDE è il primo passo verso la prevenzione, perché aiuta a distinguere un neo da un melanoma: Asimmetria, Bordi irregolari, Colore disomogeneo, Diametro superiore a 6 mm ed Evoluzione. Circa il 70% dei casi è individuato in fase iniziale. Con la realizzazione delle 10 raccomandazioni vogliamo aumentare questa percentuale”, prosegue Pellacani.

Il decalogo e le azioni concrete

Tra le regole più importanti contenute nel decalogo del progetto ‘Bersaglio Melanoma’, realizzato grazie al contributo non condizionato di Pierre Fabre e Eau Thermale Avène, c’è l’indicazione di non far trascorrere più di 30 giorni fra il sospetto di melanoma e la prima visita specialistica dermatologica. Per il controllo dei nei va esaminata ogni parte del corpo, utilizzando sempre il dermatoscopio, strumento ottico che permette di individuare lesioni non visibili a occhio nudo. È importante che il tempo tra la prima visita dermatologica e l’intervento chirurgico per rimuovere la lesione sospetta non sia superiore a un mese. Dopo l’asportazione, la refertazione istologica deve avvenire entro 2 settimane dall’accettazione del campione. Ed è necessario che il medico comunichi personalmente la diagnosi al paziente. “Proponiamo anche azioni concrete per mettere in pratica ogni raccomandazione – spiega Ketty Peris, presidente Sidemast. Per rispettare il termine di 30 giorni fra il sospetto di melanoma e la prima visita specialistica dermatologica, serve un percorso di prenotazione istituzionale dedicato a lesioni tumorali sospette, con l’identificazione delle classi di priorità (U: urgente, prestazione da eseguire entro 72 ore; B: breve, da eseguire entro 10 giorni)”.

Equipaggiare i centri di riferimento

Ai dermatologi coinvolti nel percorso ‘melanoma’ vanno garantiti il dermatoscopio e la strumentazione per documentare la lesione inviata in asportazione. “Devono essere identificati ed equipaggiati i centri di riferimento provinciali con dermatoscopia digitale e microscopia confocale. Inoltre, negli ambulatori dermato-oncologici il tempo della visita non deve essere inferiore a 20 minuti per paziente”, prosegue Peris. “Per rispettare le tempistiche raccomandate per l’asportazione del neo, cioè non più di un mese dalla prima visita dermatologica, chiediamo un’adeguata disponibilità di ambulatori chirurgici. E perché il referto istologico sia comunicato entro 2 settimane dall’accettazione del campione, i laboratori devono essere forniti di strumentazioni e risorse, favorendo anche il riconoscimento di centri di riferimento per eventuali ‘seconde opinioni’”.

Il trattamento del melanoma

La chirurgia è il trattamento di elezione per il melanoma negli stadi iniziali, ma con l’arrivo dell’immuno-oncologia e delle terapie a bersaglio molecolare l’approccio alla malattia avanzata è cambiato radicalmente. “Il primo step nel trattamento del paziente con melanoma avanzato – sottolinea Paola Queirolo, direttore Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano – è la valutazione dello status mutazionale. Nel 40-50% dei casi, infatti, è presente un’alterazione del gene Braf, che identifica i pazienti che possono beneficiare della combinazione di terapie mirate, con un significativo miglioramento della sopravvivenza”.

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Il test molecolare

Come indicato nel decalogo, il test molecolare per Braf è raccomandato nel caso di melanoma in stadio avanzato o in stadio III radicalmente operato, sull’ultima lesione metastatica se disponile, altrimenti può essere eseguito sulla lesione primitiva. “Nel referto mutazionale di Braf deve inoltre essere indicata la metodica utilizzata. In questo senso è importante intensificare e rendere costanti e continui i controlli di qualità dei laboratori che eseguono i test molecolari e favorire l’implementazione delle reti di laboratorio per la ‘Next Generation Sequencing’, tecnica di sequenziamento genico di nuova generazione”, prosegue Queirolo.

I fattori di rischio

In Italia, il melanoma è il secondo tumore più frequente negli uomini under 50 e il terzo nelle donne in questa fascia d’età. “Il rischio di insorgenza – spiega  Ignazio Stanganelli, presidente Imi, professore associato Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi Parma e direttore del Centro di Dermatologia Oncologica – Skin Cancer Unit dell’Istituto Tumori della Romagna Irst Irccs – è legato a fattori genetici, fenotipici e ambientali. Il più importante è identificato nell’esposizione ai raggi Uv, in rapporto alle dosi assorbite, al tipo di esposizione (intermittente più che cronica) e all’età (a maggior rischio le ustioni solari in bambini e adolescenti). Il dermatologo si occupa di tutti gli aspetti del percorso diagnostico-terapeutico. Data la complessità delle scelte terapeutiche e la disponibilità di nuovi trattamenti, è raccomandato un approccio multidisciplinare”.  

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I punti critici su cui lavorare

Al 17° Congresso dell’Associazione Europea di Dermatologia Oncologica (Eado) sono stati presentati due sondaggi, parte del progetto “Bersaglio Melanoma”, rivolti a pazienti e dermatologi. Dai risultati emerge che il 47% dei pazienti ritira personalmente l’esito dell’esame istologico allo sportello referti. “Uno dei punti critici riguarda proprio la comunicazione medico-paziente – spiega Chiara Puri Purini, a nome delle quattro associazioni di pazienti che hanno promosso il progetto -. Le raccomandazioni prevedono che la diagnosi di melanoma sia comunicata personalmente al paziente dal dermatologo o dal medico che ha in carico la sua gestione, che deve avere il tempo necessario per la spiegazione del referto istologico e delle fasi successive del percorso di cura e di follow up, lasciando spazio a tutte le domande e dubbi della persona che, in quel momento, scopre di essere colpita da melanoma. E, dopo il decimo anno dalla diagnosi, è indicata almeno una visita specialistica della cute annuale per il resto della vita, coinvolgendo il medico di famiglia, che potrà seguire il paziente insieme allo specialista di riferimento. Per questo è importante facilitare, attraverso sistemi di condivisione digitale, la comunicazione fra il medico di medicina generale e l’ospedale”.

 



www.repubblica.it 2021-05-27 15:22:10

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