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Pronto soccorso sotto pressione: il 70% dei pazienti aspetta oltre 6 ore

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IL 30% dei pazienti che ha avuto bisogno di un ricovero durante la pandemia è rimasto in attesa di un posto letto tra le 12 e le 24 ore; il 40% oltre le 24. Il 30% sotto le 6 ore. Pazienti di cui si sono fatti carico completamente i medici di uno dei 650 pronti soccorso sparsi in Italia. Mentre il nostro Paese passa lentamente dalla fase dell’emergenza a quella di convivenza con il virus, medici e infermieri sono ancora sotto pressione. Nonostante la diminuzione dei contagi e dei ricoveri, nei reparti della Medicina di Emergenza e Urgenza, non solo la battaglia contro il covid-19 e le sue varianti continua, ma il personale sanitario è in prima linea anche per gestire i pazienti di tutte le altre patologie che piano piano stanno tornando.

Medici e infermieri

A loro è dedicata la Giornata Internazionale della Medicina di Emergenza e Urgenza che di celebra il 27 maggio con lo scopo di “diffondere la consapevolezza tra i cittadini e nelle istituzioni sull’importanza di avere servizi di Pronto soccorso efficienti, competenti e bene organizzate”. Nata dall’iniziativa della Società Europea in Medicina di Emergenza (EUSEM), in Italia è promossa da SIMEU (Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza), quest’anno arriva in piena campagna di vaccinazione mondiale e quando i contagi nel nostro Paese (e in gran parte del mondo) non si sono ancora fermati.  Per l’occasione è stato realizzato anche un video tradotto in 14 lingue: un tributo alla Medicina di emergenza. “Il sistema durante la pandemia ha retto perché noi medici del pronto soccorso siamo abituati a vivere nell’emergenza e abbiamo fatto da argine ad un fiume in piena pur convivendo con le ben note e croniche difficoltà di carenze strutturali e di personale” spiega Paola Noto consigliere nazionale di SIMEU (Società italiana di medicina di Emergenza e Urgenza) e del comitato Emergency day Italia.

Covid ha aumentato l’emergenza

Un fiume in piena confermato da un dato: il 100% dei pazienti ricoverati per Covid sono passati da uno dei 650 pronti soccorso presenti in Italia oltre alle persone arrivate con altre patologie di emergenza. E se i casi urgenti dovrebbero restare in attesa di meno di 6 ore per avere un posto letto, da un’analisi compiuta da SIMEU è risultato che solo il 30% dei pazienti è stato trasferito in reparto entro quel limite di tempo. In realtà, un altro 30% è rimasto in pronto soccorso per oltre 12 ore, mentre un altro 40% è rimasto ben oltre le 24 ore. In sintesi durante la pandemia, oltre il 70% dei pazienti (Covid e no) hanno atteso oltre 6 ore prima di poter essere ricoverati in uno dei reparti.   

Servono più medici

“Questo periodo di pandemia ha accentuato i problemi cronici dei pronto soccorso: la carenza di personale, le strutture non adeguate a sostenere l’afflusso dei pazienti e la formazione dei medici. Tutte questioni che non si improvvisano ma vanno programmate – sottolinea ancora Paola Noto che, senza mezzi termini, aggiunge – Di quanti medici abbiamo bisogno? Tra i 1500 e i 2000. E se da un lato è vero che i contagi stanno diminuendo, l’afflusso nei pronto soccorsi è però rimasto lo stesso. Ai pazienti contagiati da coronavirus si sono infatti aggiunti quelli che arrivano con una patologia in fase acuta, le cui presenze dopo i vaccini stanno aumentando. Questo significa che dobbiamo sempre mantenere attive due linee di accesso: una “pulita” e una “sporca per i pazienti Covid. Così, spesso accade che il medico di emergenza, che dovrebbe ‘solo’ prendere in carico il paziente, stabilizzarlo e fare la diagnosi, in realtà se ne fa carico completamente per 24-48 ore. La nostra attività infatti si è estesa a vere e proprie degenze semintensive”.

“In questa post pandemia non dobbiamo cadere negli stessi errori di prima – tiene a sottolineare la dottoressa Noto – non possiamo tornare al caos delle barelle con i pazienti in attesa del ricovero nei corridoi, le sale d’attesa affollate, ma bisogna ripensare la gestione della medicina di emergenza collegandola (ad esempio per quanto riguarda gli anziani) ai servizi sul territorio. Quella di adesso è il risultato di modelli assistenziali che lavorano a compartimenti stagni.  Le immagini che abbiamo visto all’inizio della pandemia non devono più ripetersi”.

 



www.repubblica.it 2021-05-27 11:49:41

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