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Troppa fame? Tutta colpa dei geni

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SE abbiamo sempre fame, il motivo potrebbe essere scritto nel nostro DNA. Una mutazione che accomuna una persona su 340, oltre 23 milioni al mondo, causa una maggiore probabilità di essere grassi sin dalla prima infanzia, arrivando a raggiungere da adulti una media di 17,7 chili in più rispetto al peso forma.

La colpevole è la melanocortina 4, anche detta Mc4r: un recettore proteico che comunica ai centri dell’appetito quanto grasso abbiamo in magazzino. Quando il gene Mc4r non funziona correttamente, il nostro cervello crede che le riserve di grasso siano inferiori rispetto a quelle reali, così inizia a dirci che abbiamo assolutamente bisogno di mangiare, guidandoci fino al barattolo dei biscotti.

 

Obesità, quando il peso diventa un rischio per cuore e polmoni


Lo studio condotto dagli scienziati della Mrc Metabolic Diseases Unit dell’Università di Cambridge e della Mrc Integrated Epidemiology Unit dell’Università di Bristol, appena pubblicato su Nature Medicine, si basa su un campione casuale di circa 6 mila partecipanti reclutati dal Children of the 90s, studio multi-generazionale fra i più rappresentativi e completi nel suo genere, che racchiude i dati di mamme e bambini dell’80% delle nascite avvenute nel distretto di Bristol fra il 1990 e il 1992. Gli autori hanno analizzato il gene Mc4r nel Dna dei partecipanti e ogni volta che hanno trovato una mutazione, hanno continuato a studiarne gli effetti funzionali in laboratorio. Un approccio meticoloso che ha fornito stime attendibili sulla frequenza e sull’impatto della mutazione sul peso e sulla percentuale di grasso corporeo.

In base ai loro calcoli, facendo un paragone, in Italia oltre 177 mila persone hanno una maggiore quantità di adipe accumulato proprio a causa di questa mutazione genetica. Non è una novità che l’obesità abbia una familiarità e che geni specifici possano avere effetti sul nostro peso a partire dalla prima infanzia. “Nell’obesità umana grave ad esordio precoce spesso si verificano mutazioni del sistema leptina-melanocortina ma l’entità dell’impatto fenotipico di tali mutazioni non è chiaro”, scrivono i ricercatori inglesi. “Il recettore della melanocortina 4 associato alla proteina G è espresso ampiamente nel sistema nervoso centrale e il suo legame con gli agonisti naturali si traduce in senso di sazietà. Al contrario, quando la leptina agisce sui neuroni ipotalamici per promuovere il rilascio di melanocortine, sopprime la secrezione dell’antagonista e fa venire fame”. Ma fortunatamente questa mutazione non porta sempre all’obesità, semmai ci predispone all’iperfagia, ovvero a un aumento della sensazione di fame che ci indirizza verso cibi più grassi ed energici a discapito di frutta e verdura.

In generale l’obesità è una patologia multifattoriale, in cui anche l’ambiente e la psicologia hanno una loro importanza. L’obesità da deficit del recettore della melanocortina 4 è invece una malattia rara la cui prevalenza non supera le duemila persone. Altri studi avevano già rilevato la presenza di mutazioni di Mc4r in persone obese e nelle loro famiglie e correlato questo gene all’adiposità, ma non è sempre così: per fare un esempio, uno studio di coorte svolto in Germania è andato alla ricerca delle peculiarità genetiche comuni negli obesi e hanno individuato questa specifica mutazione solo nell’1,7% dei casi. Anche in base ai dati raccolti dalla Biobanca del Regno Unito, chi ha questa mutazione non è obeso, solo sovrappeso.

Per questo studio sono state condotte analisi specifiche per età che mostrano un’evidente associazione tra la mutazione di Mc4r e un Bmi alto nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’età adulta, con un graduale aumento di peso a partire dai 5 anni che diventa evidente dopo i 18 anni, dove la differenza media fra portatori e non è di 17,76 chili. I ricercatori hanno anche trovato una significativa associazione di massa grassa a discapito della magra, con una differenza media di peso di 14,78 chili.

 

 “I nostri risultati mostrano che non è raro che l’aumento di peso durante l’infanzia sia genetico. Ciò dovrebbe incoraggiare un approccio più compassionevole e razionale nei confronti dei bambini in sovrappeso e delle loro famiglie, inclusa l’analisi genetica di tutti gli obesi gravi”, sostiene il professor Stephen O’Rahilly dell’Università di Cambridge, fra gli autori dello studio. “Questo lavoro aiuta a ricalibrare la nostra comprensione della frequenza e dell’impatto funzionale delle mutazioni rare di Mc4r e aiuterà a plasmare la gestione futura di questo importante fattore di salute”, aggiunge il professor Nic Timpson, responsabile dello studio Children of the 90s. “Un lavoro come questo è stato reso possibile solo grazie alle straordinarie proprietà presentate da uno studio come Children of the 90s. Avere campioni biologici per il sequenziamento, ricchi dati sul corso della vita, all’interno di un campione rappresentativo di popolazione, è fondamentale per consentire una nuova comprensione e una profonda caratterizzazione di importanti effetti genetici biologici come questi”, sottolinea la dottoressa Kaitlin Wade dell’Università di Bristol.

Sebbene il gene Mc4r sia un esempio lampante, “questo è solo uno dei tanti che influenzano il nostro peso ed è probabile che ci siano ulteriori esempi che emergeranno man mano che il sequenziamento genetico diventerà più comune”, concludono i ricercatori. E dato che al momento non esiste alcun trattamento specifico per il deficit di Mc4r, “la conoscenza dei percorsi cerebrali controllati dalla melanocortina 4 potrebbe aiutare nella progettazione di farmaci che aggirano il blocco della segnalazione e aiutano a riportare le persone a un peso sano”, riuscendo realmente a modulare il senso di fame.



www.repubblica.it 2021-05-28 05:36:00

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