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Salute mentale: attacco alla legge 180

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“Se oggi sono qui, viva e presente, è per merito degli operatori del Centro di Salute mentale di Trieste. Frequento questi servizi da oltre 30 anni. E mi sento di esprimere, a nome di tutte le persone che sanno cosa sia la sofferenza psichica, la nostra preoccupazione per quello che sta succedendo”.

Silva Bon è una delle voci che ha preso parte all’appuntamento a Trieste, organizzato da operatori sanitari, famigliari e persone in cura intenzionati a lanciare l’allarme sui rischi del deterioramento del modello Basaglia, un sistema di cura che ha fatto scuola in Italia e all’estero e che ha rivoluzionato l’approccio al disagio mentale.

“Restituire la parola ai matti è ciò che di fondamentale ha fatto Basaglia – prosegue Silva -. È qualcosa che sta alla base della nostra libertà. Quella di poter tornare, dopo la crisi, alla propria casa, al proprio lavoro e ai propri interessi”. Benché i concetti che esprime siano noti, da tempo chi si interessa al tema afferma di aver assistito a una progressiva minaccia del modello Trieste, la cui validità è riconosciuta a livello internazionale.

Ad aver riportato il tema in auge sono state delle anomalie riscontrate in un concorso per la direzione del Centro triestino di salute mentale 1, i cui risultati poco convincenti hanno spinto cinque ex direttori di Dipartimento delle aziende sanitarie della Regione a scrivere un testo denuncia che in poche ore ha fatto il giro del mondo e che si è trasformato in una petizione che ha raccolto oltre 500 firme a difesa dell’approccio Basaglia

“Alla lettera che abbiamo divulgato hanno risposto in molti, sono arrivati centinaia di messaggi di supporto – ha spiegato Mezzina, durante la conferenza stampa -. Ci ha scritto l’Unasam (l’Organizzazione Europea delle Associazioni dei familiari), la società italiana di psichiatria, coordinatori nazionali della salute mentale in Brasile e in Argentina, ricercatori di varia impostazione. Si dicono tutti scandalizzati per il rischio di veder smontato un modello come quello di Trieste, considerato punto di riferimento mondiale”.

Il caso, nello specifico, è esploso dopo che, nella corsa per il ruolo di direttore del Centro di salute mentale 1 di Trieste, due professionisti esterni sono risultati in testa nella graduatoria, nonostante prima della fase orale partissero con un punteggio nettamente inferiore rispetto ai colleghi “basagliani”. Le domande che gli ex direttori pretendono dall’Amministrazione ora sono molte. Per esempio, come mai nella valutazione non vi è stata alcuna domanda sulla gestione del Centro Salute mentale 24 ore, oggetto del concorso? E, ancora, perché il colloquio è stato a porte chiuse, rispetto a quanto scritto nel bando?

“La questione del concorso ha fatto emergere in maniera evidente ciò che era già noto. Sono anni che sperimentiamo una condizione progressiva di vergognosa ostilità – ha detto Peppe Dell’Acqua, braccio destro di Franco Basaglia -. Nei Centri di Salute mentale come nei distretti si è diffuso un senso di paura. Nessuno può dire nulla se non è autorizzato. Ma, al contempo, la dirigenza è chiusa in un cerchio magico e non rivolge parola a nessuno. Fa un brutto effetto, in un luogo che ha sempre rappresentato l’apertura più totale”.

Anche i famigliari di coloro che soffrono di disturbi psichiatrici mettono in guardia sul rischio di veder via via smantellata una struttura sanitaria che garantisce loro un po’ di serenità. “Vediamo un deterioramento delle risorse da due o tre anni, ed è un problema, perché il modello Trieste funziona. Ci sono persone che vengono da Roma apposta per farsi curare qui – spiega Claudio Cossi, presidente dell’associazione dei familiari A.Fa.So.P. NoiInsieme onlus -. Sono papà di un ragazzo di 35 anni, in cura da dieci. Sono stato catapultato in questa realtà che non conoscevo. E quando ho scoperto della gestione della salute mentale in altre regioni, ho capito di avere avuto una grande fortuna a trovarmi qui. Eppure, quello che sta succedendo potrebbe essere l’inizio di un disastro”.

A condividere la sua esperienza di cura secondo il modello basagliano è anche Elena Cerkvenic: “La vita non è facile per noi matti. È molto facile, invece, per coloro che non sanno cosa sia la sofferenza mentale stigmatizzarci, avere dei pregiudizi nei nostri confronti. Franco Basaglia ha lottato per assicurarci la libertà, trattamenti umani, trattamenti di cura all’interno della vita cittadina, fuori dalle mura manicomiali. Noi non vogliamo rinunciarci”.

 

La testimonianza di Elena Cerkveni

 

Quale futuro per noi matti?

“Mi sento profondamente indignata rispetto a ciò che sta accadendo nell’ambito delle politiche della salute mentale della nostra città. Sono laureata in lingue, opero come volontaria in ambito culturale.  

27 anni fa mi è capitato di vivere le atrocità nel manicomio di Haar a Monaco di Baviera. Da allora, tornata, grazie all’amore di mio marito, a Trieste, dove sono nata e ho sempre vissuto, per decenni e ancora oggi si prendono cura di me come persona che vive l’esperienza del disturbo schizoaffettivo e bipolare psichiatre, psichiatri, psicologhe, psicologi e operatori dei servizi di salute mentale della mia città. Attraverso la cura fornitami dai professionisti sono riuscita e riesco a convivere con il mio disturbo e conduco ogni giorno una vita completa e piena, in particolare avendo potuto anche costruire attorno a me una rete sociale talmente importante e solida che nei momenti in cui sto male mi rafforza, mi sostiene, mi incoraggia risollevandomi, vitale, dalle macerie del mio disagio.

I professionisti dei servizi di salute mentale di Trieste rappresentano la mia famiglia, a cui voglio un bene infinito per le grandi professionalità e umanità che mi hanno dimostrato nell’esercizio della loro professione in più di 25 anni di cure dedicatemi. Mai sono stata maltrattata. Mai fu fatta su di me violenza al servizio psichiatrico di diagnosi e cura dove, purtroppo, spesso, a causa delle crisi, venivo ricoverata, talvolta anche con trattamenti sanitari obbligatori. Mai sono stata legata. Sono stata aiutata e sostenuta nell’attivare strumenti e strategie per stare in una relazione ottimale all’interno del mio contesto famigliare, con mio marito e mio figlio, per stare bene nelle relazioni al di fuori della mia famiglia.

La vita non è facile per noi matti. E’ molto facile invece, per coloro che non sanno cosa sia la sofferenza mentale, stigmatizzarci, avere dei pregiudizi nei nostri confronti. Franco Basaglia ha lottato per assicurarci la libertà, trattamenti umani, trattamenti di cura all’interno della vità cittadina, fuori dalle mura manicomiali. Noi non vogliamo rinunciarci.

Ho potuto essere libera, qui a Trieste, pur essendo matta, ho potuto avere una famiglia, marito e figlio, che amo più di ogni altra persona al mondo e da cui vengo amata e rispettata per quella che sono, con tutti i miei difetti e con tutte le mie sofferenze.

Grazie allo psichiatra basagliano che mi incoraggiava ad iscrivermi al secondo percorso di laurea in filosofia, presi la decisione di farlo. Fui felicissima. Ho avuto e ho accanto a me professionisti che hanno creduto e credono nel mio potenziale umano, intellettivo, sociale e mi sostengono tuttora nello svilupparlo con costanza. Quando fui ricoverata, conversavo, alla pari, con la psichiatra in un caffè storico della mia città davanti ad un aperitivo. Questa è la psichiatria basagliana. Grazie, Basaglia, ma quale futuro si prospetta per noi matti?”

 

 



www.repubblica.it 2021-05-30 06:30:25

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