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Tumori: è presto per parlare di guarigione? “No, se la cura arriva in fase precoce”

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Cosa vuol dire oggi ‘curare’ un tumore? Si può sperare di guarire? Qualche risposta arriva dall’Asco che si chiude oggi e dove moltissimi studi riguardano farmaci da somministrare in fase precoce perché l’obiettivo non è più allungare la vita dei pazienti di qualche mese ma piuttosto renderli ‘tumor-free’. E i dati sembrano giustificare una tale ambizione. Oggi, in Italia, sono circa 3,6 milioni i cittadini vivi dopo la diagnosi di tumore, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa. Almeno un paziente su quattro (quasi un milione di persone) è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito. Risultati importanti, ottenuti grazie a terapie sempre più efficaci e alle campagne di prevenzione, che però a causa della pandemia hanno subito una battuta d’arresto così come gli screening.  Ma la ricerca non si dà per vinta e non si è mai fermata non solo per trovare armi terapeutiche efficaci contro Covid-19 ma anche per rendere il tumore sempre più debole e vincibile. In questa intervista Cristian Massacesi, Senior Vice-President, responsabile Ricerca e sviluppo oncologico per lo sviluppo avanzato di AstraZeneca, medico oncologo ora alla guida di 1100 persone in vari paesi del mondo, ci spiega in che modo la sua azienda mira a battere il cancro e quali ‘lezioni’ hanno imparato da Covid-19.

In che modo avete partecipato a questo Congresso dell’American Society of Clinical Oncology che si chiude oggi? Che impatto avranno i dati presentati?

E’ un’edizione molto importante ed è estremamente ricco per noi perché per il terzo anno consecutivo presentiamo studi in sessione plenaria, il consesso in cui vengono presentati gli studi considerati in grado di cambiare la pratica clinica. Questo ci dice quanto sia importante la scienza nella nostra azienda e quello che vogliamo fare è cambiare radicalmente lo status quo. In particolare, in plenaria abbiamo presentato lo studio OlympiA sul nostro Parp inibitore olaparib (n.d.r. co-sviluppato da AstraZeneca e MSD), attualmente approvato per la malattia metastatica, impiegato in uno stadio precoce del tumore al seno. Lo abbiamo sperimentato su pazienti con mutazione genetica Brca che in genere sono molto giovani tant’è vero che allo studio hanno partecipato anche ragazze di appena 20-25 anni con un’età media di 50 anni. I risultati ottenuti potranno davvero cambiare la pratica clinica perché prima queste pazienti avevano come opzione solo la chemioterapia mentre ora possono usufruire di una terapia target per loro mutazione genetica Brca. Certo rappresenta il 5% di tutte le pazienti con tumore della mammella, quindi un piccolo gruppo ma comunque non trascurabile visto che il tumore al seno è quello più diffuso tra le donne.

Ad Asco avete presentato anche i dati dello studio Pacific per il tumore del polmone in stadio 3 considerato fino a qualche anno fa praticamente incurabile. Oggi, quindi, si può dire – con la dovuta prudenza – che tutti i tumori sono curabili?

Il Pacific è uno studio su pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule in stadio 3, cioè non operabili ma che possono fare chemioterapia più radioterapia. Fino ad oggi questa malattia era considerata incurabile, ma i dati presentati ad Asco ci dicono che abbiamo ottenuto una sopravvivenza media di 47 mesi, più del 40% dei pazienti sono vivi a cinque anni e cosa ancora più importante 1 paziente su tre dopo 5 anni non ha ancora avuto progressione della malattia. Ecco, ora cominciamo a chiederci se possiamo considerare questi pazienti curati. In realtà non lo sappiamo, ma con i progressi che stiamo facendo possiamo ambire a questo obiettivo. Cambia la prospettiva del paziente. Abbiamo capito che attraverso diversi meccanismi d’azione, in particolare andando a manipolare il sistema immunitario in modo cha agisca contro il tumore possiamo controllare la malattia più a lungo e a volte, in un numero ancora piccolo di pazienti, il sistema immunitario insieme ad altri trattamenti specifici può eradicare il tumore. Questo accade, per esempio, nel melanoma, nel tumore del polmone e del rene in cui il sistema immunitario gioca un ruolo primario. Ma quello che è cambiato e che può davvero fare la differenza è lo switch fatto negli stadi precoci. Non a caso il filo conduttore dell’Asco di quest’anno sono i dati e gli studi di tantissime aziende in vari tipi di tumore, dal seno, al polmone, ai reni, che mostrano benefici sempre più importati nei pazienti in stadio iniziale che possono agire evitando che la malattia torni. L’idea è quella di portare la terapia al paziente il prima possibile perché così le possibilità di guarire del tutto sono ancora maggiori.

Ma perché questi farmaci così efficaci vengano somministrati il prima possibile serve che la diagnosi sia precoce e per molti tumori questo non avviene, a maggior ragione durante la pandemia. E’ come avere delle armi spuntate: che ruolo avete voi?

La diagnosi deve galoppare il più velocemente possibile, ma purtroppo il Covid ha messo un freno. Negli Stati Uniti, per esempio, abbiamo avuto 10 milioni di diagnosi in meno rispetto al periodo pre-Covid per il tumore al seno, alla prostata e al colon. Ma la pandemia passerà lasciandoci alcune ‘lezioni’ da non dimenticare a partire dalla possibilità di farci aiutare dalla tecnologia proprio per fare le diagnosi in modo diverso utilizzando anche nuovi approcci tecnologici con screening genomici realizzati con un semplice prelievo di sangue che possono predire e incrementare la diagnosi di stadio iniziale. Come azienda stiamo lavoriamo per incentivare la diagnosi precoce con un approccio integrato. Sarà fondamentale lavorare insieme alla comunità scientifica per dare la possibilità alle donne con tumore in fase iniziale di accedere ai test genetici perché attualmente il test per la mutazione Brca è una consuetudine nella malattia avanzata per i quali i farmaci sono approvati. Il problema sarà creare la cultura e garantire l’accesso al test genetico anche nella malattia iniziale, ma ora che abbiamo questi dati faremo il possibile per ampliare l’accesso.

La pandemia di Covid-19 ha avuto forti implicazioni su tutto il percorso di cura del paziente, dalla diagnosi al trattamento. Quali implicazioni ci sono state a suo avviso sulla ricerca clinica in oncologia e quali lezioni abbiamo imparato?

Come AstraZeneca siamo riusciti a superare la pandemia molto bene specie in oncologia: più dell’80% di tutti i programmi oncologici sono andati avanti senza ritardi. Abbiamo dovuto lavorare con i singoli paesi mettendo a punto progetti che potessero dare una mano in concreto. Per esempio, facendo lo shipping cioè spedendo a casa il farmaco che il paziente prendeva nel corso del trial anziché mandarlo in ospedale, o ancora mettendo in piedi un sistema da remoto per il controllo delle condizioni del paziente. Abbiamo imparato molto e faremo tesoro sia della digitalizzazione che della semplificazione dei processi di ricerca.

Su cosa punterà la ricerca nel prossimo futuro?

La nostra strategia si basa su tre parole chiave: early, harder e smarter. Cioè far arrivare la terapia negli stadi iniziali perché lì possiamo fare la differenza e curare i pazienti, sviluppare farmaci che facciano davvero la differenza e che si basino su target molecolari forti sviluppati per inibire specifici target e infine fare quel passo in più sviluppando la medicina di precisione, identificando nuovi sottogruppi di pazienti. Abbiamo un grosso portfolio nell’oncologia del tumore al seno, vogliamo diventare la prima azienda farmaceutica in questo settore. Abbiamo nuovi studi anche nel tumore del polmone sia in quello a piccole cellule che nel microcitoma polmonare; stiamo sviluppando in maniera importante l’ematologia e abbiamo altri prodotti e tanti studi in corso per il tumore della vescica, quello gastrico e del fegato.

 



www.repubblica.it 2021-06-08 16:08:58

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