Tutte le notizie qui
Backaout
Backaout

Over 70: nasce il centro oncologico a misura di anziano

61

- Advertisement -


UN CENTRO oncologico pensato per gli anziani ammalati di tumore: proprio per loro, solo per loro. Un luogo dedicato dove i pazienti, per natura i più fragili e complessi, vengono accolti e accompagnati in un percorso personalizzato, che parte dalla diagnosi, passa per la cura e la chirurgia e arriva alla dimissione. E va anche oltre la dimissione.

 

È CeRTA, la struttura di cui parliamo, ovvero il Centro Romagnolo per i Tumori negli Anziani. Il progetto, sotto la direzione scientifica di Riccardo Audisio, geriatra oncologico in forze all’Università di Liverpool e di Göteborg, sarà operativo il prossimo autunno con una capacità di accoglienza di mille pazienti l’anno affetti da tumori solidi. Il progetto pilota sarà a Ravenna e a Faenza, ma l’obiettivo è di estenderlo in tutta la Romagna. Si tratta di un progetto trasversale, che nasce dalla collaborazione con Ausl Romagna, IRST (Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori) Meldola, Università di Bologna, IOR (Istituto Oncologico Romagnolo) e parte dalle unità operative di chirurgia e di oncologia di Ravenna, dirette da Giampaolo Ugolini e da Stefano Tamberi rispettivamente, ma coinvolge tutti i professionisti dell’ospedale: una rete di competenze multiple al servizio di una sfida complessa.

Un tema scomodo

“La cura degli anziani ammalati di tumore è un tema di cui si parla poco, eppure attualissimo”, dice Ugolini: “La maggior parte dei pazienti oncologici è anziana. E se ne parla poco perché è un argomento scomodo, sia per i chirurghi che per gli oncologi. Il fatto è che curare, e intervenire chirurgicamente, un paziente giovane che ha soltanto il tumore è più facile che non farsi carico di un anziano. Trattare un paziente in età avanzata implica la valutazione di una lunga serie di fattori, a partire dalle comorbidità e dall’aspettativa di vita in relazione alle comorbidità. Abbiamo visto con Covid quanto questi elementi diano un peso differente alle malattie: gli anziani sono morti di più a causa del Sars-Cov-2 perché avevano altre patologie, e perché sono più complessi da curare”.

 

Dunque, in sintesi, comorbidità e fragilità sono le necessità speciali dell’anziano. Tuttavia c’è una grande variabilità tra gli over 70. Anche di questa variabilità occorre tenere conto in un’ottica di personalizzazione di cure, che è poi l’ottica di CeRta. “C’è l’80enne che fa la maratona e il 70enne che fa fatica a salire le scale. Il solo fatto di avere 80 anni – aggiunge Ugolini – non significa affatto che l’orizzonte sia breve: le statistiche ci dicono che le aspettative di vita di una donna 80enne in buone condizioni è di circa 13 anni, se questa donna ha qualche problema medico è di 9 anni, se ha più problemi medici di quasi 5 anni, per gli uomini i numeri sono un po’ più bassi ma simili”.

Gli anziani esclusi dagli studi

E questo è il contesto clinico. Poi c’è il contesto epidemiologico: la maggior parte delle diagnosi di tumore oggi viene fatta nei pazienti con più di 70 anni e per alcune patologie, per esempio per il tumore del colon, il picco di incidenza si ha a proprio intorno a 70 anni. “Un dato interessante che riguarda proprio questa malattia e che in Italia a 70 anni termina lo screening”, prende la parola Isacco  Montroni: “E così si spiega perché tanti pazienti arrivano in pronto soccorso con tumori molto grossi. Si tratta di anziani che nessuno studia e a cui nessuno fa uno screening. E quindi i tumori non emergono se non quando la situazione è molto compromessa, ma la loro malattia poteva essere diagnosticata 3- 4 anni prima”. Il fatto è – aggiunge il chirurgo – che la difficoltà di trattamento del cancro degli anziani dipende da diversi fraintendimenti e sono: la scarsa conoscenza dell’aspettativa di vita e la scarsa importanza che si dà all’età biologica, che è quella che ci dice se un paziente è adatto o no ad affrontare un trattamento chirurgico o medico. “I test per il calcolo dell’età biologica sono validati e veloci, bisogna però voler capire chi hai davanti e non fermarsi alla data di nascita, che è un numero immutabile che non ha sempre un gran significato in alcuni contesti. E infine il fatto che gli anziani non si studiano”.

 

Da anni nei grandi trial clinici randomizzati l’età è stata considerata un fattore escludente, ma tenendo fuori gli ultra 65enni dai trial si genera conoscenza a misura di pazienti giovani, che però poi viene applicata soprattutto a pazienti meno giovani, visto che sono loro che si ammalano di più. Non sorprende quindi che i risultati finali, quelli del mondo reale, siano differenti da quelli ottenuti in contesti sperimentali. “Abbiamo creato una letteratura scientifica che si basa su outcome, (cioè su obiettivi da raggiungere sopravvivenza libera da malattia, sopravvivenza libera da progressione, insomma i classici outcome oncologici, ndr.) che hanno poco a che fare con la qualità della vita delle persone anziane”, sottolinea Montroni: “Nessuno ha chiesto agli anziani cosa desiderano veramente, qual è il loro di obiettivo: a loro interessa se sopravviveranno o no a un intervento, se torneranno ad essere indipendenti o no dal punto di vista della loro capacità di vita dopo il cancro. Ecco, questi outcome sono raramente gli obiettivi primari di studi scientifici. Quello che noi abbiamo cercato di fare, nel progettare il Centro su Ravenna, ma anche nella nostra storia scientifica, è generare studi che avessero come obiettivo primario la ripresa funzionale e la qualità di vita”.

Una fotografia del mondo reale

La qualità di vita e la ripresa funzionale sono al centro di uno studio che si chiama GO SAFE (un acronimo che sta per Geriatric Oncology Surgical Assessment and Functional rEcovery after Surgery), di cui Ugolini e Montroni sono co-autori. “GO SAFE ha già prodotto diversi risultati pubblicati sulla base di un campione di mille ultrasettantenni con un’età media di 80 anni – riprende Ugolini – Questo studio è il frutto di una collaborazione con il Centro dei tumori di Meldola, con la European Society of Surgical Oncology, la Società europea di oncologia geriatrica, e ha coinvolto 26 ospedali europei e statunitensi. Oltre a misurare una serie di dati scientifici, come complicanze e mortalità, abbiamo voluto metterci dalla parte dei pazienti, e abbiamo chiesto a tutto il campione quale fosse la sua qualità di vita prima dell’intervento, a 3 mesi e 6 mesi dall’operazione per cancro. Volevamo una fotografia del mondo reale, che prima non c’era in letteratura”.
 

Individuare i predittori

Attualmente è in via di revisione finale un altro set di dati di GO SAFE. L’obiettivo della nuova pubblicazione era di individuare i predittori che permettessero in anticipo di valutare la qualità della vita e la ripresa funzionale dopo un intervento per cancro negli anziani. Ci sono infatti dei predittori preoperatori di fragilità, cioè degli elementi che indicano, prima di intervenire chirurgicamente, se il paziente avrà una buona qualità della vita dopo. “Questi predittori li abbiamo individuati – spiegano i due chirurghi – e possiamo definire quale sarà l’obiettivo per quel singolo paziente, il suo traguardo. Non solo, se noi riusciamo a  modificare quei predittori con una riabilitazione pre-operatoria del paziente, possiamo rendere operabile o trattabile un paziente che magari  al momento della diagnosi non lo era. Possiamo cioè metterlo in tempi ragionevoli nelle condizioni di affrontare un intervento”.
 

Un grande pregiudizio

C’è un enorme pregiudizio legato all’età: spesso agli anziani vengono negati trattamenti e anche interventi chirurgici quando invece un trattamento medico o un’operazione chirurgica potrebbero garantire un mantenimento e qualche volta un miglioramento della loro qualità di vita. Il dato interessante che è venuto fuori dallo studio GO SAFE, infatti, è che la stragrande maggioranza dei pazienti dopo l’intervento riesce a mantenere e anche a migliorare la sua qualità di vita rispetto a prima dell’intervento.
 

Una target therapy globale

Il nuovo centro sarà all’insegna della multidisciplinarietà: chirurghi, oncologi, radioterapisti, fisiatri, nutrizionisti, psicologi, infermieri prenderanno in carico ogni paziente e stabiliranno per ognuno un percorso personalizzato, una sorta di target therapy ma in senso globale, non solo molecolare. L’idea è che la complessità dell’anziano con tumore non si può affrontare da soli, ma solo lavorando insieme. Il punto di partenza è la diagnosi oncologica e la stadiazione della malattia. Il secondo step è lo screening di fragilità, per ottenere una valutazione delle aspettative di vita del paziente e gli elementi da tenere presente per decidere il percorso di cura. Se il paziente ha problematiche geriatriche viene valutato da un geriatra che è lo specialista della complessità dell’anziano.

 

Una volta ottenute queste informazioni, il gruppo multidisciplinare si riunisce e sceglie un percorso di cura su misura, sia medico che chirurgico. “Spesso abbiamo più di un’opzione da sottoporre ai pazienti e ai familiari, e scegliamo insieme”, spiega Ugolini: “Di solito l’anziano ammalato ha un caregiver anziano come lui, con difficoltà di autonomia. In questi casi possiamo contare sul contributo dell’Istituto oncologico romagnolo, un ente di volontariato che si fa carico di tante cose, per esempio del trasporto verso il centro di radioterapia. Alla fine del percorso, quando vediamo che la persona non può tornare a casa perché è sola o ha un coniuge che non è in grado di occuparsene, cerchiamo di organizzare il post-operatorio in strutture riabilitative. Abbiamo pensato a tutto”, conclude: “A un prima, a un durante e a un dopo”.



www.repubblica.it 2021-06-15 13:01:21

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More