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Giornata nazionale AIL: chi conosce le neoplasie mieloproliferative?

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QUEST’ANNO, la “Giornata nazionale per la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma dell’AIL, che si celebra il 21 giugno, è dedicata a 4 tumori rari che colpiscono il midollo osseo, subdoli e silenziosi: le neoplasie mieloproliferative. Parliamo di leucemia mieloide cronica, policitemia vera, trombocitemia essenziale e mielofibrosi idiopatica. Rientrano tutte sono un unico cappello perché condividono tratti comuni: aumentano il rischio di trombosi, spesso sono difficili da diagnosticare, perché silenti a lungo, e possono evolvere in forme diverse e più gravi. Sono anche, però, sempre più curabili. Per tutte, infatti, c’è stato un cambio di passo negli ultimi decenni sul fronte delle terapie, grazie alla conoscenza delle basi molecolari che ne sono all’origine.

“La Giornata AIL è nata quando la medicina di precisione non era che ai suoi albori, con i primi farmaci capaci di colpire i target molecolari all’origine dei tumori”, ricorda Sergio Amadori, presidente nazionale dell’associazione: “Oggi, invece, le terapie mirate sono una realtà, anche per le neoplasie mieloproliferative”. Proprio il 21 giugno, al numero verde dell’AIL (800226524 dalle ore 8  alle ore 20) risponderanno gli ematologi per dare informazioni su queste malattie e sulle nuove terapie. “Le necessità del paziente sono solo quelle di guarire sì, ma non solo”, ricorda Giampiero Garuti, paziente e oggi volontario Ail: “Un paziente ha anche bisogno di avere informazioni corrette per avere consapevolezza della propria malattia, per condividere le scelte terapeutiche e partecipare attivamente alla cura. Vero che il medico fa delle scelte e consiglia al paziente percorsi terapeutici, ma quest’ultimo non può essere solo un soggetto passivo, perché qualsiasi azione terapeutica deve essere condivisa”.  

 

Leucemia mieloide cronica: un nuovo farmaco mirato per chi non risponde alla terapia standard

Quali sono, dunque, le nuove prospettive di cura per le neoplasie mieloproliferative? Prendiamo la leucemia mieloide cronica, per esempio. Oggi questa malattia ha una sopravvivenza superiore all’80% a dieci anni e fa molto meno paura rispetto al passato, grazie all’arrivo degli inibitori della tirosin-chinasi (TKI, che agiscono sulla proteina mutata all’origine della malattia). Per alcuni pazienti la terapia può persino essere sospesa. Resta, però, un 20% di malati per cui queste terapie non funzionano: “Si tratta di pazienti per i quali sono necessari altri farmaci – ha spiegato Fabrizio Pane, Ordinario di Ematologia e Direttore U.O. di Ematologia e Trapianti A.O.U. Federico II di Napoli. Chi sono? “Pazienti – prosegue Pane – a cui si riconoscono fattori di rischio alla diagnosi, come per esempio la presenza di altre alterazioni cromosomiche oltre a quella tipica della malattia, o altri fattori che determinano una più elevata propensione all’instabilità della malattia”. Ma la scena terapeutica, va avanti Pane, si sta arricchendo, e cita per esempio il caso dell’asciminib, un inibitore di tirosin-chinasi con un nuovo meccanismo d’azione: “Il farmaco ha mostrato un’efficacia quasi doppia rispetto a un inibitore standard, bosutinib, in pazienti resistenti o intolleranti ai TKI, già trattati in precedenza con almeno due TKI, il tutto con un profilo di sicurezza molto favorevole”.

 

Mielofibrosi, nuove speranze grazie ai JAK inibitori

Ma negli anni non è cambiata solo la storia della leucemia mieloide cronica. Anche nella mielofibrosi – primaria, o secondaria, come evoluzione di una trombocitemia essenziale o policitemia vera – sono stati fatti passi avanti: “Ancora oggi la sopravvivenza mediana di questi pazienti è intorno ai 6/7 anni – spiega Alessandro Maria Vannucchi, Direttore SOD Ematologia Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze e Responsabile CRIM – Centro ricerca e innovazione delle malattie mieloproliferative – ma la notizia buona è che cominciano ad accumularsi evidenze per cui, grazie a un nuovo approccio che facilita la diagnosi, alla stratificazione a seconda del rischio e ai nuovi farmaci, la sopravvivenza sta cominciando ad aumentare, sebbene meno rapidamente di quanto vorremmo”. A differenza di altre neoplasie mieloproliferative, come la policitemia vera e la trombocitemia essenziale, difficilmente si tratta di una malattia diagnosticata per caso, perché stanchezza, sudorazioni notturne e sintomi legati all’ingrossamento della milza portano spesso i pazienti dal medico. “Grazie alle scoperte delle alterazioni molecolari, come JAK2, MPL e CAR, oggi sappiamo dove colpire – spiega l’esperto – colpiamo infatti una via molecolare di JAK2 con i farmaci JAK inibitori, come il ruxolitinib, disponibile da diversi anni, e l’Agenzia europea del farmaco (Ema) di recente ha approvato un altro JAK-inibitore, il fedratinib, che speriamo sia presto disponibile anche in Italia”. Nessuno di questi farmaci però, va avanti l’esperto, guarisce dalla malattia, per cui resta il trapianto di staminali come opzione di cura, soprattutto per alcuni pazienti, come quelli più a rischio di progressione rapida: “Anche qui la genetica ci aiuta, favorendo la selezione del paziente che deve essere indirizzato al trapianto, come quelli giovani e ad alto rischio, perché dobbiamo ancora bilanciare l’alta mortalità legata alla procedura trapiantologica”. La ricerca è attiva, rimarca Vannucchi, anche per chi non risponde più a ruxolitinib, e questo è bene che i pazienti lo sappiamo, magari per rivolgersi a quei centri che conducono trial clinici.

 

Policitemia vera e trombocitemia essenziale: la terapia dipende dal rischio di trombosi

Conoscere la genetica è importante anche in altre neoplasie mieloproliferative, perché permette di differenziare il rischio, e quindi il trattamento farmacologico. Come accade per esempio nel caso della policitemia vera e della trombocitemia essenziale, ha ricordato Tiziano Barbui, primario Emerito di Ematologia clinica, Direttore scientifico Fondazione FROM Fondazione per la Ricerca Ospedale di Bergamo. Patologie meno gravi rispetto alla mielofibrosi, spiega l’esperto, ma che possono evolvere e la cui gestione dipende dalle caratteristiche del paziente: “Si deve ricordare che l’età media alla diagnosi di questi malati è intorno ai 60/65 anni e che l’età avanzata è un fattore di rischio vascolare come lo sono episodi di trombosi precedenti – ha detto Barbui – L’ematologo usa farmaci diretti contro queste due malattie solo se il rischio vascolare lo impone. Ad esempio, i pazienti con policitemia vera a basso rischio vascolare vengono curati con salassi e con aspirina, non si utilizzano farmaci citoriduttivi; questi sono impiegati solo nei pazienti ad alto rischio. La definizione di rischio si basa su punteggi sia per la TE che per la PV e vi contribuisce in maniera importante la genetica di queste malattie (mutazioni di JAK2, CALR e MPL). Diverso è il rischio di un paziente con TE che non ha la mutazione di JAK2 rispetto a chi invece lo ha; oppure se è mutato per la calreticolina o per MPL”. I farmaci diretti al controllo della proliferazione delle cellule del midollo osseo sono sostanzialmente tre: lo standard di cura è l’idrossiurea e i nuovi farmaci sono l’interferone e i JAK2 inibitori. “Questi ultimi – sottolinea Barbui – non trovano indicazione nella TE, salvo casi eccezionali, mentre possono essere utilizzati nei pazienti con PV che hanno mostrato resistenza all’idrossiurea. L’interferone è oggi oggetto di numerosi studi e impiegato nei più giovani, in età fertile o in gravidanza”.



www.repubblica.it 2021-06-18 16:56:27

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