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Occhiali come lo smartphone, sulla superficie migliaia di microbi

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Gli occhi sono una delle porte d’ingresso del coronavirus nell’organismo umano. Se ne sono accorti per primi dei medici cinesi, che avevano notato fra i malati di Covid-19 una percentuale troppo bassa di persone con occhiali rispetto alla media. Quando poi in Italia, più precisamente all’Istituto Spallanzani di Roma, il coronavirus è stato trovato nel liquido lacrimale il cerchio si è chiuso: gli occhi possono essere infettati e infettare; gli occhiali sono uno scudo di protezione. Contro Sars-Cov-2, certo, ma anche contro le migliaia di virus e batteri che ogni giorno si depositano sulla superficie interna ed esterna delle lenti. Come lo smartphone, che numerose ricerche hanno indicato essere un ricettacolo di sporcizia, anche gli occhiali sono fra le superfici a più alto contatto: chi li porta li tocca centinaia di volte al giorno, spesso senza rendersene conto, proprio come il telefonino. Di più, sulla loro superficie finiscono anche le goccioline di saliva emesse da chi sta intorno a noi quando parla, tossisce o starnutisce.

Diversi studi scientifici hanno analizzato la composizione variegata dei microbi presenti sugli occhiali, rilevando come siano proprio le lenti – e non la montatura, le aste o i naselli – ad attirare il più alto numero di patogeni. Che qui sopravvivono per diverse ore, se non giorni: le variabili che influenzano la loro sopravvivenza sono molte e il tempo varia da specie a specie. Molti studi sono stati condotti anche sul coronavirus per capire quanto sopravvivesse sulle diverse superfici ed è stato dimostrato che, a seconda del materiale su cui si deposita, rimane vivo fino a 72 ore.

La forza dell’argento

Pulire spesso gli occhiali è sicuramente il primo consiglio da dare. Ma si può fare di più, si possono avere lenti dotate di proprietà antimicrobiche e antivirali. Il segreto è nell’argento, usato fin dall’antichità per sterilizzare ferite e curare molte malattie: già apprezzato per la sua efficacia dalle antiche dinastie cinesi, circa 2000 anni più tardi, nel 400 a.C., l’argento fu usato nelle preparazioni anche da Ippocrate, il padre della medicina occidentale. Nel XVII secolo l’argento era considerato un prodotto medicinale multiuso essenziale, utile per trattare l’epilessia come il colera. Un secolo dopo iniziò a essere usato come collirio per i neonati: una cura alla cecità causata dalle infezioni oculari postnatali. Insomma, prima dell’avvento degli antibiotici, l’argento era considerato a tutti gli effetti il principale rimedio contro i batteri. Dimenticato per lungo tempo, negli ultimi anni le sue caratteristiche sono state riscoperte e le applicazioni di questo metallo in ambito medico, biologico e igienico sono aumentate esponenzialmente. Non solo batteri, anche virus: l’argento uccide o inibisce centinaia di virus, molti dei quali conosciuti per colpire l’apparato respiratorio, ed è considerato un agente antivirale ad ampio spettro.

Lenti antibatteriche

Ecco quindi l’idea: inserire dentro le lenti nanoparticelle di argento in grado di rendere le superfici a prova di microbi. Per farlo è necessario mettere insieme le conoscenze più avanzate di scienza dei materiali con processi di trattamento tramite deposizione sottovuoto: una nuova tecnologia, brevettata da Zeiss, che consente di inserire specifiche quantità di argento sotto forma di nanoparticelle negli strati antiriflesso. Le nanoparticelle vengono fissate nella matrice antiriflesso e costituiscono una riserva di ioni argento, in grado di migrare verso la superficie della lente che così acquisisce proprietà antimicrobiche e antivirali, come hanno dimostrato diversi studi. Le prove hanno confermato la capacità delle lenti così trattate di eliminare il 99,9% di virus e batteri. Se è vero quindi che le lenti sono un ricettacolo di microbi, è vero anche che la tecnologia ci permette di proteggerci. E di farlo in maniera efficace.



www.repubblica.it 2021-06-25 08:58:37

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