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Leucemia mieloide acuta: serve una rete dei centri di cura

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Una Rete strutturata di centri di riferimento (Hub) e periferici (Spoke) per eliminare le differenze territoriali e più investimenti nelle strutture periferiche, spesso prive di un ematologo specialista. Sono alcune delle esigenze alla base di un nuovo modello organizzativo per la cura della leucemia mieloide acuta, tumore del sangue che colpisce ogni anno oltre 2.000 persone in Italia. La proposta organizzativa, che costituisce il nuovo modello di gestione della patologia da divulgare in tutti i centri, è emersa dal secondo Expert Meeting del progetto HEMA NET che si è svolto recentemente, promosso ed organizzato da ISHEO con il supporto di F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche e il contributo incondizionato di Astellas Pharma.

“La leucemia mieloide acuta – afferma Giovanni Martinelli, direttore scientifico dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio  dei Tumori ‘Dino Amadori’ – IRST, Meldola (FC) Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), riconosciuto dal Ministero della Salute – rappresenta il modello per eccellenza della medicina personalizzata. È una patologia rara, che il più delle volte si presenta in maniera subdola, ponendo quindi un problema di difficile riconoscimento. Il primo step è definire con attenzione il percorso diagnostico terapeutico, a partire dal Pronto Soccorso. Al paziente in emergenza va riservato un approccio salvavita e di forte riferimento con i centri Hub. Nelle situazioni di non emergenza, vanno adottati modelli organizzativi che garantiscano standard uniformi sul territorio nazionale e che permettano di condurre indagini diagnostiche più accurate, come quelle di biologia molecolare, avviando i pazienti alla migliore terapia disponibile, senza distinzioni sul territorio nazionale”.

Diagnosi ed intervento in base alla condizione del paziente risentono però della difficoltà di molti piccoli centri di poter contare su un ematologo specialista in leucemia mieloide acuta. Da qui la necessità di investire per realizzare una rete strutturata.

“Il secondo step riguarda la diagnostica – continua Martinelli – poiché i test di biologia molecolare da effettuare devono spesso essere eseguiti molto velocemente. Un test rapido ed affidabile, come il test di RT-PCR per l’individuazione delle mutazioni a carico del gene FLT3, tra le più comuni alla base della malattia, ne è un esempio. Questo aspetto assume ulteriore valore se si considera che, in circa il 40-45% dei pazienti che sperimentano una recidiva, compare una mutazione in FLT3, presente solo nel 22% dei casi al mometo della diagnosi. Esiste quindi un consistente gruppo di malati per i quali è essenziale, al momento della ricaduta, essere pronti ad effettuare un nuovo test rapido (retesting) per avviarli al trattamento e non perdere finestre temporali che possono modificare la prognosi. La gestione delle ricadute, che possono presentarsi in modo improvviso e non essere controllate se il paziente non è inserito in un adeguato percorso di follow-up, richiede grande attenzione ed è necessario fare cultura su questi aspetti”.

La rapidità e accuratezza nella diagnosi e nell’intervento terapeutico sono fondamentali, soprattutto nei casi di recidiva attraverso il retesting. “Su tutto il territorio nazionale – spiega Luca Arcaini, Direttore dell’Ematologia della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia – il progetto LabNet della Fondazione GIMEMA ha creato un network tra laboratori adeguatamente attrezzati per fornire, a chi entra nella rete e non dispone di alcuni metodi diagnostici, la possibilità di effettuare tempestivamente analisi di standard elevato. In questo modo è stato realizzato in poco tempo un modello vincente da seguire”.

Un altro aspetto è il pronto accesso alle nuove terapie mirate. “Se è vero che l’analisi diagnostica deve essere tempestiva, è altrettanto vero che deve essere supportata dalla disponibilità immediata del farmaco –  afferma Vito Ladisa, direttore Farmacia IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. La farmacia ospedaliera può aiutare il clinico, soprattutto in patologie come la leucemia mieloide acuta in cui diagnosi e trattamento avvengono in contemporanea. Così come è importante fornire un servizio di supporto nutrizionale a pazienti fragili per salvaguardare le loro condizioni di salute”.

“Va ripensata una modalità di lavoro efficiente, coordinando l’attività e sfruttando la rete Hub&Spoke – sottolinea Roberto Cairoli, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Malattie del Sangue (FMS) –. E’ responsabilità degli Spoke riferire i pazienti ai centri Hub per garantire appropriatezza e tempestività della presa in carico, ma è altrettanto importante considerare che gli Hub devono demandare il follow-up agli Spoke per la gestione territoriale del paziente anche dal punto di vista delle terapie. È necessario fare cultura e creare rete”.

Un modello che preveda una gestione del paziente considerando la sua salute in senso globale non può non includere le cure integrate e il supporto psicologico. “L’assistenza psicologica non è una terapia consolatoria nei confronti del malato, ma riguarda l’intera famiglia di questi pazienti resi fragili dalla malattia – continua Cairoli –. La figura dello psicologo ha molto da insegnare ai clinici e la sua presenza è importante nelle riunioni di team, poiché è in grado di cogliere e portare all’attenzione di tutti aspetti critici relativi a necessità del paziente che possono sfuggire alla comprensione immediata del clinico.”

La presenza di servizi di supporto psicologico, assistenza nutrizionale e cure integrate che migliorano la presa in carico, così come i servizi di counseling per il paziente, ad esempio sull’impiego dei farmaci, sono fondamentali per il “mantenimento in cura” e meritano l’attenzione da parte dei centri ed il coinvolgimento delle associazioni di pazienti o di volontariato.

“Le terapie orali ad oggi disponibili per molte patologie, tra cui la leucemia mieloide acuta, hanno cambiato la vita dei pazienti, prima costretti a lunghi ricoveri ospedalieri – conclude la Dott.ssa Patrizia Nardulli, Dirigente Farmacista Ospedale Oncologico ‘Giovanni Paolo II’ di Bari -. E’ però necessario supportare i malati e l’attività di counseling sull’uso dei farmaci orali, che consiste in un breve colloquio con il  farmacista, rappresenta per il paziente un momento di confronto e di conforto, in cui poter chiarire dubbi spesso taciuti all’ematologo. Questo tipo di attività può ben contestualizzarsi all’interno di PDTA caratterizzati da multidisciplinarità e multiprofessionalità. Se le terapie sono in grado di migliorare la prognosi di pazienti fragili, queste attività contribuiscono a migliorarne la qualità di vita. Per far sì che questi aspetti siano recepiti in modo concreto, il coinvolgimento delle Associazioni di pazienti, anche a livello locale, è fondamentale, poiché contribuiscono a ‘smuovere’ situazioni anche a livello istituzionale”.

I destinatari della proposta organizzativa del progetto HEMA NET, che verrà divulgata sotto forma di “vademecum”, sono i dipartimenti di ematologia, le direzioni generali e amministrative, ma anche le associazioni pazienti, di rilievo nazionale e locale, così come le associazioni di volontariato legate ai singoli centri.

 

 

 



www.repubblica.it 2021-07-02 12:05:58

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