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Neuroblastoma, a caccia di alterazioni genetiche per curare anche altre malattie

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Trentamila geni sotto la lente d’ingrandimento dei ricercatori per identificare le alterazioni che possono predisporre all’insorgenza del neuroblastoma, un tumore infantile la cui incidenza totale nel mondo è di circa 15mila nuovi casi all’anno di cui circa 140 in Italia. Non solo. Proprio l’analisi di questa grande mole di dati genetici ha fatto emergere come le alterazioni genetiche tipiche del neuroblastoma siano le stesse che predispongono anche ad altre patologie come il melanoma e le malattie congenite del cuore. E’ quanto si sta studiando con il progetto Genedren coordinato da Mario Capasso, professore associato di Genetica medica all’Università Federico II di Napoli e responsabile del servizio di bioinformatica per Ngs Ceinge, centro della rete Genedren attiva nel campo delle biotecnologie avanzate costituita da Azienda ospedaliera-universitaria e Università Federico II e di cui fa parte anche la Fondazione Neuroblastoma, ente collegato per finalità e storia all’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma.

Il neuroblastoma

Questo tumore infantile colpisce generalmente i bambini in età prescolare. E’ la prima causa di morte entro il primo anno di vita e il terzo tumore per frequenza dopo le leucemie e i tumori cerebrali. “Attualmente – spiega Massimo Conte, dell’Unità operativa complessa di oncologia pediatrica presso l’Istituto Gaslini di Genova e vicepresidente dell’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma – la sopravvivenza complessiva a cinque anni dalla diagnosi è intorno al 70% per tutti i bambini affetti da neuroblastoma; alla fine degli anni Ottanta non raggiungeva il 40%, perciò abbiamo guadagnato circa trenta punti percentuali”. Non va così bene, invece, per i bambini con neuroblastoma metastatico all’esordio che purtroppo sono la maggioranza: “In questi casi – prosegue Conte che è anche coordinatore del Gruppo Italiano per la Lotta al Neuroblastoma per Aieop (Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica) – la sopravvivenza attuale è intorno al 45%, era il 20% negli anni Ottanta. In sintesi, un bambino su due con neuroblastoma ad alto rischio oggi più guarire. Il risultato – conclude il pediatra – non è ancora soddisfacente, ma sicuramente incoraggiante”.

Il progetto Genedren

Progressi che sono stati possibili grazie alla ricerca scientifica sostenuta anche dall’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma come nel caso di progetto Genedren, uno studio europeo che mira a identificare le alterazioni genetiche che predispongono al neuroblastoma per individuare le molecole in grado di ‘spegnere’ l’attività degenerante delle cellule tumorali. “Il progetto – spiega Capasso – mira ad identificare le alterazioni genetiche che predispongono all’insorgenza del neuroblastoma mediante un sequenziamento del Dna innovativo di tutti i geni finora conosciuti che sono circa 30.000”. I geni che risultano mutati verranno studiati per valutare il loro potenziale ruolo come bersagli terapeutici di farmaci molecolari. Aderiscono alla rete del progetto Genedren vari centri d’eccellenza italiani: oltre al Ceinge di Napoli, il Laboratorio della Città della Speranza di Padova. l’Istituto Gaslini di Genova, il Dipartimento di medicina sperimentale di Genova e il Cibio (dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata) dell’Università di Trento.

I punti di contatto con altre patologie

Man mano che la ricerca va avanti sta diventando chiaro come il neuroblastoma sia caratterizzato da meccanismi genetici comuni ad altre malattie. “Il neuroblastoma – spiega Capasso – è un tumore pediatrico che origina da un difetto dello sviluppo embrionale. Infatti, le cellule embrionali dette ‘cellule della cresta neurale’, che normalmente generano diversi tessuti come quelli del cuore e delle ghiandole del surrene, possono interrompere, a causa di diversi fattori biologici e genetici non ancora del tutto noti, la loro fase di crescita e quindi generare un tumore”. Da qui le conclusioni: “Questa peculiare origine rende i meccanismi molecolari e genetici responsabili dello sviluppo del neuroblastoma comuni all’insorgenza non solo di altri tumori, ma anche di altre patologie non tumorali”.  Un esempio di questi punti di contatto tra neuroblastoma e altre patologie arriva proprio dal gruppo di bioinformatici e biologi del Ceinge: “Utilizzando un enorme numero di dati genetici, il mio gruppo – dichiara ancora Capasso – ha dimostrato che le varianti genetiche che predispongono al neuroblastoma sono le stesse che predispongono al melanoma e alle malattie congenite del cuore”.

I primi risultati

Il progetto Genedren è ancora nella fase iniziale e, sebbene la pandemia abbia inevitabilmente rallentato le attività di ricerca, è già stato analizzato il Dna di circa 100 bambini con neuroblastoma. “Parallelamente – prosegue Capasso – stiamo investigando alcuni farmaci che sembrerebbero funzionare contro i tumori che hanno il gene LIN28B alterato. Contiamo di riuscire a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati nei prossimi tre anni”. Quali sono le prime conclusioni che si possono trarre? “Secondo i dati preliminari ottenuti – risponde il ricercatore – possiamo sicuramente affermare che circa il 10-15% dei casi di neuroblastoma è dovuto ad una predisposizione genetica e che ci sono geni mutati che possono essere bersaglio di terapie innovative che hanno il potenziale di migliorare le cure di questa devastante malattia”.

Dalla disperazione di una mamma, la speranza

Ad attendere con trepidazione i risultati non solo di Genedren ma di altre ricerche sono naturalmente i pazienti rappresentati dall’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma nata dalla volontà di madri e padri che hanno vissuto l’esperienza della malattia dei propri figli, ma anche su impulso di oncologi frustrati dagli scarsi successi terapeutici possibili trent’anni fa nel neuroblastoma. “L’8 dicembre 1992 sono arrivata all’Istituto Gaslini di Genova con il mio bimbo Luca, di 5 anni, a cui hanno diagnosticato, dopo 8 giorni di indagini, un neuroblastoma ad alto rischio”, racconta Sara Costa, socia fondatrice dell’organizzazione che presiede sin dal 1996. “Da quel momento, stimolata dai medici che avevano in cura Luca, con altri genitori, ho fondato l’Associazione attraverso la quale la mia disperazione si è trasformata in speranza per molti. Da allora il mio impegno è stato intenso e in particolare dopo che Luca è stato sopraffatto dalla malattia è diventato una ragione di vita”.

L’impegno dell’Associazione per la ricerca

Con l’obiettivo di garantire a tutti i bambini affetti da questo tumore terapie sempre più innovative, personalizzate ed efficaci, l’Associazione – identificata dall’immagine dell’imbuto – sostiene vari progetti. “La ricerca scientifica è irrinunciabile e la pandemia lo dimostra ampiamente. Luca, proprio grazie alla ricerca, è riuscito a vivere per 8 anni, cosa rarissima all’epoca, quando ancora non si parlava di medicina di precisione e personalizzata, tantomeno di genomica e immunoterapia”, prosegue Costa che aggiunge: “Oltre a Genedren finanziamo tantissime iniziative come, per esempio, un progetto di Coordinamento della ricerca clinica e sperimentale in Italia, uno sull’immunoterapia con anticorpi e un Laboratorio virtuale”. Da qui l’invito ad aderire alla raccolta fondi per la ricerca che vede il 5×1000 tra gli strumenti di donazione disponibili.

 



www.repubblica.it 2021-07-14 10:45:20

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