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Paralizzato dopo l’ictus. Ma i segnali del suo cervello diventano parole su uno scher…

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50 parole. Potrebbe essere l’incipit di un romanzo scientifico, anche se per ora siamo nel mondo della speranza. Ma sono proprio cinquanta parole quelle che, attraverso un esperimento tanto importante da trovare spazio sul New England Journal of Medicine, un uomo con una grave paralisi che non consentiva di comunicare in frasi compiute è riuscito ad utilizzare, avendo come mezzo lo schermo di un computer. Lo strumento di decodificazione per contrastare la completa incapacità di parlare indotta dal grave danno neurologico è stata una sorta di “neuroprotesi” del linguaggio, che è riuscita a tradurre i segnali del cervello in parole mai pronunciate, che si sono quasi magicamente composte su uno schermo, permettendo quindi al paziente di avere un rapporto, sia pure se mediato, con il mondo esterno.

Detto che si tratta solo di un primo tentativo andato a buon fine, questa modalità di interrelazione, che potrebbe essere molto utile in persone con gravi malattie neurologiche, postumi di traumi e con esiti di ictus particolarmente gravi, apre una finestra sul futuro della riabilitazione. Ad ottenere questo risultato, con cinquanta parole a disegnare semplici frasi in risposta a quesiti altrettanto comuni, sono stati i ricercatori dell’Università della California di San Francisco, da tempo impegnati in questo ambito. Alla base delle ricerche ci sono gli studi del neurochirurgo Edward Chang, autore della pubblicazione assieme alla coordinatrice Jeanne Robertson e ad altri esperti di discipline diverse, che segnala come si tratti di una “dimostrazione di successo della decodifica diretta di parole complete dall’attività cerebrale di qualcuno che è paralizzato e non può parlare”.

Il frutto di anni di ricerche

A differenza di quanto proposto negli anni scorsi, con la faticosa “scelta” delle lettere da parte del malato fino a costruire una parola sfruttando i muscoli, la nuova neuroprotesi punta a realizzare una comunicazione più organica. Se è vero che parlando arriviamo anche a 150 parole al minuto, ovviamente, riuscire a “tradurre” alcuni termini con un senso compiuto quando si è perduta la capacità di parlare potrebbe essere un grande risultato. La tecnologia presentata sulla rivista scientifica è il frutto di anni di ricerche, che hanno portato al riconoscimento della “cartina geografica” delle aree della corteccia cerebrale dedicate al linguaggio associando i movimenti muscolari che consentono di produrre consonanti e parole. Poi si sono incorporati nello strumento modelli linguistici studiati ad hoc ed infine si è riusciti a dimostrare che i segnali cerebrali che controllano il tratto vocale potrebbero rimanere intatti (almeno in alcuni casi) anche in persone che non sono state in grado di muovere i muscoli vocali per molti anni.

La prova finale del percorso è stato il test sul primo paziente dello studio Bravo: il malato (non per nulla soprannominato Bravo1), di circa 30 anni, aveva avuto un gravissimo ictus nell’adolescenza con danni a carico del movimento degli arti e soprattutto nella parola. Attraverso i movimenti possibili di testa e collo comunicava attraverso un puntatore per identificare le lettere su uno schermo. Lo stesso paziente ha lavorato insieme agli esperti per creare un mini-dizionario di 50 parole al fine di realizzare centinaia di frasi tipo della vita quotidiana. Poi sono stati impiantati elettrodi in area specifica identificata dopo il completo recupero del partecipante. Il suo team ha registrato 22 ore di attività neurale in questa regione del cervello in 48 sessioni e diversi mesi. In ogni sessione, il paziente ha tentato di ripetere ognuna delle 50 parole del vocabolario molte volte mentre gli elettrodi registravano i segnali del cervello dalla sua corteccia vocale. Attraverso reti neurali, in pratica con l’intelligenza artificiale, si è poi riusciti a realizzare modelli finissimi nell’attività cerebrale per rilevare i tentativi di parola e identificare quali parole il paziente stava cercando di dire. Il sistema è risultato in grado di riconoscere anche fino a 18 parole al minuto con una certa precisione. Ora, oltre ad aumentare il potenziale “vocabolario” appare fondamentale capire come poter allargare la sperimentazione, nella speranza che l’approccio possa dare risposta ai malati che non possono comunicare in modo naturale.

Il linguaggio si caratterizza per la traduzione del pensiero in parole e delle parole in pensiero e rappresenta il mezzo attraverso il quale comunichiamo con i nostri simili e anche all’interno di noi stessi – spiega Gianluigi Mancardi,  negli anni scorsi Presidente della Società Italiana di Neurologia e docente all’Università di Genova – per questo tecniche riabilitative innovative o nuove metodiche di ripristino anche parziale della funzione avrebbero grandissima rilevanza medico sociale, essendo l’afasia un disturbo frequente e molto invalidante”.

Esistono a livello cerebrale delle specifiche aree deputate alla elaborazione e formulazione del linguaggio, situate nei destrimani e anche nella maggior parte dei mancini nell’emisfero sinistro, l’area di Broca nel piede della terza circonvoluzione frontale sinistra, che ha rilevanza in particolare per la elaborazione della parte motoria del linguaggio e l’area di Wernicke situata nella parte posteriore della  circonvoluzione temporale superiore di sinistra deputata alla comprensione del linguaggio. “Tutte le patologie che colpiscono le aree del linguaggio possono causare dei disturbi denominati afasie, talvolta con compromissione prevalente della capacità di esprimersi e parlare correttamente con relativa conservazione della comprensione (afasia motoria di Broca), talvolta con prevalente compromissione della comprensione del linguaggio (afasia sensoriale di Wernicke) – spiega Mancardi. Le aree del linguaggio possono essere colpite da lesioni encefaliche di diversa natura come traumi cranici, disturbi di circolazione come ictus ischemici o emorragici, ma anche da malattie degenerative con perdita progressiva dei neuroni delle aree di Broca e Wernicke con conservazione relativa delle altre funzioni cerebrali come la memoria e la critica, il giudizio e l’orientamento (afasie primarie progressive). Il linguaggio è specifico dell’essere umano e rappresenta una funzione di primaria rilevanza. In caso di compromissione del linguaggio nelle diverse patologie attualmente si effettuano trattamenti riabilitativi logopedici, che possono anche dare risultati interessanti, variabili tuttavia a seconda della patologia e della estensione della lesione”.

 



www.repubblica.it 2021-07-15 10:17:28

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