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“Che ti sei messa in tetta?” La youtuber Jessica Resteghini racconta il tumore al sen…

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Smartphone posizionato su cavalletto. Controllo inquadratura: parete neutra con qualche foto appesa. Sorriso. Via: “Ciao. Sono Jessica Resteghini, sono un’attrice, ho 33 anni. E – pausa – E ho il cancro”. Pausa più lunga. Si capisce che non è voluta. Il sorriso cambia impercettibilmente e anche lo sguardo. Riprende. “Un mese fa, durante un’autopalpazione, ho scoperto…”. Eccetera.

Il video dura poco più di un minuto ed è stato caricato su YouTube circa tre anni fa. Da allora di video Jessica ne ha girati parecchi. La sua è una storia come tante, unica come tutte. Ma ciò che raccontiamo nella newsletter di Salute Seno questa settimana (qui il link per iscriversi gratuitamente) è quello che è venuto dopo la scoperta di quel “chicco di caffè” nel seno sinistro, come dice lei: Jessica si è reinventata youtuber e ha aperto il suo canale: “Che ti sei messa in tetta?“.

Cominciamo da questo nome, come ti è venuto?
Per caso. Quando ho deciso di aprire il canale non ero convinta fino in fondo di quello che stavo per fare. Mi sono detta: “ma dai, che ti sei messa in testa?” E poi, scherzandoci su: “ma no, mica me lo son messo in testa, me lo son messo in tetta!”. Ed ecco il titolo.

E l’idea come ti è venuta?
Ho sempre pensato di essere “sul pezzo” sui tumori. Nella mia famiglia ci sono stati diversi casi, purtroppo. Per questo ero abituata a fare ecografie mammarie e l’autopalpazione del seno con regolarità. E per questo appena ho sentito quel chicco di caffè ho capito subito che non avrebbe dovuto esserci: non c’era mai stato prima di allora. Una volta confermato il sospetto, però, i medici hanno cominciato a parlarmi di esami e procedure di cui non sapevo assolutamente nulla. Mi sono spaventata tantissimo, ho cominciato a cercare online ma non trovavo le informazioni che volevo. Allora ho pensato: “ora registro tutto quello che faccio, così chi si ritroverà nella mia situazione potrà avere informazioni e magari non avrà questa angoscia. Lo faccio come viene, viene. Se è uno schifo, amen, pazienza. Ma se aiuto anche una sola persona sono felice”.

Poi non è stata una sola. Ora sono quasi tremila gli iscritti al tuo canale…
Sì, mi seguono anche degli uomini, non solo le donne. E mi hanno detto che quello che faccio è davvero utile. Per questo sono andata avanti, anche se è praticamente un lavoro. Ho fatto il primo video con il cellulare e ho chiamato un amico regista per avere la sua opinione. Non era un granché dal punto di vista della qualità, ma mi disse che era ‘vero’. Per il secondo video ho usato uno smartphone con una telecamera migliore, ma è durata poco: dopo 4 mesi ho comprato la prima videocamera, poi le luci, poi un’altra videocamera e ho imparato da sola a fare i montaggi. Sono lentissima, ma il risultato non è male, almeno spero. Di sicuro in questi tre anni la qualità è migliorata molto. E penso, forse per deformazione professionale, che un’informazione confezionata con cura arrivi di più e meglio alle persone a cui mi rivolgo io.

Perché non sei anche una tiktoker?
Ricordo che qualche anno fa andava di moda un altro social media, Vice, dove i video duravano solo 15 secondi e in poco tempo ne vedevi a migliaia. Ma credo che questo tipo di fruizione dell’informazione non aiuti a veicolare e fissare nella mente quello che serve a un paziente oncologico. Tutti sono su TikTok e tutti fanno gli influencer, ora. Va benissimo, ma a me non interessa: non voglio diventare una “cancer influencer”, non voglio farlo per guadagnare, e non voglio avere quel tipo di potere e responsabilità. Non credo che per parlare di cancro vadano bene tutti i linguaggi. Il modo in cui dai un’informazione ha un peso, e soprattutto ce l’ha il fine per cui lo fai. I miei video non sono seriosi: chi mi segue sa che posso scherzare, ma lo faccio perché penso che sia una cosa utile. Allo stesso tempo, non voglio che questo mi occupi più tempo di quanto già non me ne richieda. Per questo ho lasciato perdere anche Clubhouse, che mi sembra essere già un po’ passato di moda.

Nei tuoi video intervisti molti medici, credi sarebbe interessante riprendere le visite e gli esami che fai?
Era quella la mia idea iniziale, ma ci sono troppi vincoli per le strutture sanitarie, non è una cosa fattibile, per quanto credo che sarebbe molto utile. Un mio “amico di cancro” che abita in Svizzera ha voluto fare, in versione maschile, quello che sto facendo io, e per lui è stato più semplice fare le interviste in real-time. 

Cosa pensi della comunicazione sul tumore al seno?
Che forse c’è un po’ troppo rosa: si parla molto di corse e iniziative, che va benissimo e sono importanti, ma c’è troppo poca informazione su cosa sia il cancro. Nell’ultimo anno, però, con la pandemia, qualcosa è cambiato: i social network sono diventati un veicolo molto più importante. Vedo un “martellamento” sull’autopalpazione, sulla differenza tra fare prevenzione primaria e diagnosi precoce, e così via. Sono concetti importanti, altrimenti uno pensa che sia sufficiente fare un’ecografia o una mammografia ogni due anni per stare tranquilli. Invece no: fare prevenzione vuol dire adottare un certo stile di vita e portarselo dietro. Un’altra cosa che ho notato in quest’anno è la crescita delle reti: di donne, di associazioni, di professioniste. Come Oncobeauty, dove ci sono persone molto preparate che si dedicano al tema della bellezza, o come Oltre lo Specchio.

Quale altro tipo di informazione serve, secondo te?
Pratica. Per esempio: nessuno ti dice che i due giorni dopo la chemio rossa – nome non scientifico con cui noi pazienti intendiamo tanti farmaci anche molto diversi, in realtà – sono quelli in cui si può stare più male e cosa si può fare per stare un po’ meglio. Vedo molte donne che si vergognano di chiederlo all’oncologo. Altre volte hai la testa talmente ovattata e confusa che nemmeno ci pensi a chiedere aiuto. Ecco perché le mie interviste funzionano: perché i pazienti hanno bisogno di qualcuno che li indirizzi in certi momenti. Inoltre bisogna promuovere molto la conoscenza fisica del proprio corpo, senza tabù. Cosa che purtroppo non viene fatta nelle scuole in modo sistematico.

Nella tua storia personale, la conoscenza del tuo corpo ha avuto un peso importante?
Sì. Bisogna conoscersi molto bene, anche visivamente, per trovare le differenze che… fanno la differenza. Non avevo dubbi che quel nodulo fosse qualcosa di preoccupante. Sono andata subito privatamente in una clinica famosa, dove però l’oncologa mi disse che ero un po’ troppo “ansiosetta” e che avrei fatto meglio ad andare da uno psicologo, piuttosto. Non mi sono fermata lì e sono andata da un altro medico, ma in un centro non specializzato: di nuovo sono stata rassicurata di non avere nulla. Ma io continuavo a pensare che si sbagliassero. Allora mio marito ha inviato la mia ecografia a un suo amico oncologo: il giorno dopo ero in un centro di senologia specializzato a rifare eco e mammografia. Ho guardato il medico e gli ho detto “lo so che c’è qualcosa che non va”. E lui: “Non si preoccupi, su dieci persone che visito ogni giorno, nove hanno qualcosa che non va”.



www.repubblica.it 2021-07-30 14:05:26

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