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Cancro al seno: la nuova sfida è arruolare il sistema immunitario

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SI CHIAMANO TIL, acronimo di linfociti infiltranti il tumore, e sono una delle frontiere della ricerca contro i tumori solidi, tra cui anche il tumore al seno. Parliamo delle cellule del nostro sistema immunitario che riescono ad entrare nelle masse tumorali. Purtroppo, non sono abbastanza numerose e “reattive” da riuscire a eliminarle. Se però si riuscisse a selezionare TIL più “mirate” e a moltiplicarle, allora ci sarebbe la speranza di poter eradicare la malattia anche quando si è diffusa e ha raggiunto altri organi. Lo spiega in questa intervista per la newsletter di Salute Seno (qui il link per iscriversi gratuitamente) George Coukos, esperto di Immuno-oncologia, direttore della sede di Losanna del Ludwig Institute for Cancer Research e del dipartimento di Oncologia presso l’ospedale universitario della città svizzera. Dove sta partendo un nuovo studio clinico che ci dirà se questa è davvero una strada da percorrere.

Professor Coukos, le cellule TIL hanno già dato dei risultati incoraggianti? Anche nel tumore al seno?

“Sì. È una linea di ricerca partita negli Usa circa 20 anni fa. Steve Rosenberg, pioniere dell’immuno-oncologia e della terapia genica come quella con le cellule CAR-T, ha lavorato a lungo per sviluppare e testare questo approccio nel melanoma. Inizialmente lui era convinto che potesse funzionare solo contro questo tumore”.

Perché?

“Perché il nostro sistema immunitario risulta particolarmente efficace contro questo tumore. In gergo tecnico si dice che il melanoma è molto immunogenico, tanto che in certi pazienti regredisce spontaneamente solo grazie alle nostre cellule immunitarie: è un fenomeno raro, ma è stato osservato. Nei primi anni Duemila, però, abbiamo capito che le cellule TIL possono funzionare anche per altre neoplasie meno immunogeniche, e abbiamo convinto la comunità scientifica dimostrando che era possibile ottenere linfociti reattivi anche nel tumore dell’ovaio e del colon. È stato poi Rosenberg, nel 2018, ad aver utilizzato le cellule TIL nel tumore al seno metastatico triplo negativo, ottenendo la prima remissione completa in una paziente. L’articolo è stato pubblicato su Nature Medicine dopo più di un anno e mezzo dalla somministrazione della terapia”. 

Ma un caso di successo non è sufficiente a dimostrare che questa terapia sia davvero efficace…

“Proprio per questo la ricerca continua e anche noi stiamo mettendo in piedi un nuovo studio. Quando sono arrivato a Losanna dagli Usa, io e il gruppo di ricerca ci siamo chiesti come poter rendere le cellule TIL molto più efficaci per tutti i tumori solidi oltre al melanoma, dove abbiamo già ottenuto risultati incoraggianti su diversi pazienti in cui nessuna terapia stava più funzionando”.

In cosa consiste, esattamente, la terapia con le cellule TIL e come può essere potenziata?

“Una volta asportato il tumore, si cercano al suo interno i linfociti che sono naturalmente presenti. Questi linfociti riconoscono alcune proteine tumorali (antigeni, ndr.) che in molti casi ancora non conosciamo, e che provocano la risposta immunitaria. Tale risposta non è sufficiente per eradicare il tumore: arriva tardi, è lenta e in più esiste una certa tolleranza”. 

Un po’ come se i linfociti fossero poliziotti corrotti che chiudono un occhio?

“Esattamente. Per cui, anche se riconoscono il tumore, non riescono ad eliminarlo. Ecco perché dobbiamo selezionare i linfociti altamente specifici contro il tumore – che non sono una percentuale alta – e metterli in coltura per farli moltiplicare. Dopo questa fase, vengono reinfusi nel paziente. Si tratta quindi di una terapia altamente personalizzata, in qualche modo simile a un trapianto autologo di midollo osseo. Ma è anche possibile modificare i linfociti per renderli più potenti. L’evoluzione ultima è fare in modo che le cellule TIL diventino resistenti al microambiente immunosoppressivo generato dal tumore”.

Quali sono gli ostacoli?

“La prima difficoltà è saper riconoscere in maniera precisa quali sono le proteine tumorali target e in base ad esse selezionare i linfociti specifici. Altrimenti è come sbagliare mira. Questa fase richiede un lavoro di sequenziamento proteo-genomico profondo, in grado di considerare insieme l’informazione genetica, genomica e proteomica, anche perché bisogna puntare sulle mutazioni presenti fin dall’inizio della diffusione del tumore (dette troncali, ndr.), per essere certi di ritrovarle in tutte le metastasi. È un lavoro non facile. Secondo: bisogna sapere come crescere le cellule selezionate in una maniera riproducibile e veloce, che non richieda tempi di incubazione enormi. Però è un approccio molto promettente e sono sicuro che, oltre noi, altri ricercatori lavoreranno per migliorare il processo”. 

Quali pazienti arruolerete per il vostro studio?

“Contiamo di arruolare una quarantina di pazienti con diversi tumori solidi, tra cui anche carcinoma mammario, non solo quello triplo negativo che è il più immunogenico e di norma ha una percentuale di cellule TIL più alta degli altri. Accettiamo pazienti anche da altre nazioni nonostante Covid-19, vista l’importanza della sperimentazione. Lo studio è aperto ai pazienti con tumori metastatici stabili (non in progressione, ndr.) che abbiano fatto almeno due linee di terapia”. 



www.repubblica.it 2021-08-06 08:39:27

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