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Vaccini: terza dose per i pazienti fragili? Ecco quali dati abbiamo

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L’ARGOMENTO “terza dose sì o no” per i vaccini a mRna è uno dei temi caldi di questi giorni, perché una decisione andrà presa in fretta. Se si deciderà per il sì, è molto probabile che tra i primi in fila ai centri vaccinali ci saranno le cosiddette persone “fragili”. E, tra questi, alcuni dei pazienti oncologici e immunologici in cura. I dati sulla loro risposta alle due dosi di vaccino sono ancora pochi. Gli ultimi in ordine di tempo arrivano da Centro di Immuno-Oncologia (CIO) dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese, che ha indagato come varia la risposta immunitaria alla vaccinazione in corso di terapia, e se esistono delle differenze in base alla strategia anti-cancro utilizzata. Su European Journal of Cancer Michele Maio, direttore del CIO, Maria Grazia Cusi e Anna Maria Di Giacomo riportano che, a differenza di chi è in trattamento con immunoterapia – dove la risposta al vaccino è ottimale in termini di produzione di anticorpi – con la chemioterapia non sempre la vaccinazione porta a una robusta risposta anticorpale. “Un dato – sottolineano gli autori – da tenere presente in ottica di una possibile terza dose in questo particolare gruppo di pazienti”.

Chi risponde meno al vaccino?

Lo studio ha considerato 131 pazienti: 70 trattati con immunoterapia, 28 con chemioterapia, 23 con terapie a target molecolare e 10 con combinazione di terapie target e immunoterapia. In questi gruppi, la produzione di anticorpi ha subito variazioni significative: “I pazienti in cura con immunoterapia hanno una quantità media di anticorpi significativamente superiore rispetto a quelli trattati con chemioterapia o target therapy, e addirittura più elevata rispetto a quella osservata nei donatori sani”, dice Maio: “Una possibile spiegazione risiede nel fatto che l’immunoterapia, rimuovendo il freno all’attività del sistema immunitario del paziente, lasci libere le cellule di difesa nel rispondere con più forza non solo al tumore ma anche al vaccino contro Sars-Cov-2”. Al contrario, la risposta anticorpale nei pazienti in cura con chemioterapia o target therapy non è risultata così robusta, verosimilmente a causa dell’effetto immunosoppressivo di queste terapie”.

Informazioni contraddittorie

Sono diversi, però, i dati presentati in un altro studio condotto da ricercatori statunitensi (del Mays Cancer Center at UT Health San Antonio MD Anderson) e svizzeri (dello Swiss Cancer Center Leman), pubblicati su Cancer Cell. Anche in questo caso i pazienti considerati sono stati 131, e ben il 94% ha sviluppato una risposta immunitaria dopo la seconda dose con vaccini a mRna, forte come quella della popolazione generale. Per sette di loro, invece, la risposta non c’è stata: in particolare si trattava di persone con tumori ematologici, come mieloma e linfoma di Hodgkin, o trattati con rituximab, un anticorpo monoclonale utilizzato nel trattamento di alcuni tumori ematologici e malattie autoimmuni. “La popolazione studiata che non risponde alla vaccinazione è molto particolare, proprio perché meno sensibile alla stimolazione immunologica della vaccinazione. Questi risultati erano quindi prevedibili”, spiega Saverio Cinieri, presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e direttore dell’Oncologia medica e della Breast Unit dell’Ospedale ‘Perrino’ di Brindisi. Ma come valutare, paziente per paziente, se e quando sia necessaria una terza dose? “Questo è ancora oggetto di discussione, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, perché non è ancora chiaro se la ‘conta’ degli anticorpi anti-spike è una misura valida e non c’è un metodo rapido validato”, risponde Cinieri.

Chi ha bisogno della terza dose? La risposta potrebbe arrivare presto da uno studio italiano

Un’informazione più chiara potrebbe arrivare da un grande studio nazionale in corso per valutare l’efficacia dei vaccini a mRna proprio nei pazienti oncologici più fragili, che hanno malattie immunologiche o che assumono terapie immunosoppressive. Si chiama Vax4Frail, è finanziato dal Ministero della Salute ed è partito diversi mesi fa, esattamente quando si è cominciato a vaccinarli, dando loro la priorità. I risultati dell’effetto della doppia dose per questa particolare categoria di pazienti arriveranno entro l’estate. Ma non solo: se si decidesse di procedere con la terza dose proprio a cominciare da queste persone, lo studio permetterebbe di raccogliere velocemente i nuovi dati e verificare se è davvero utile o meno. Dati fondamentali, che non si trovano negli studi registrativi delle case farmaceutiche, dove la percentuale di pazienti con malattie oncologiche e immunologiche è di solito irrisoria.

Lo studio coinvolge 11 istituti IRCCS, tra cui l’Istituto nazionale di Malattie infettive Spallanzani di Roma, che raccoglie e analizza in modo centralizzato tutti i campioni. La sperimentazione è coordinata da Giovanni Apolone direttore scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas Research Hospital di Rozzano, e Massimo Costantini, direttore scientifico dell’Istituto in Tecnologie Avanzate e Modelli Assistenziali in Oncologia dell’Azienda USL di Reggio Emilia. Al comitato scientifico partecipano anche Franco Locatelli, tra i massimi esperti di tumori ematologici infantili e presidente del Consiglio superiore di sanità.

 

“Quando abbiamo cominciato a vaccinare le persone cosiddette ‘ultrafragili’, che pensiamo possano essere particolarmente a rischio di sviluppare una forma grave della malattia se contagiati, diversi centri stavano cominciando a fare degli studi sull’efficacia dei vaccini in questa popolazione, perché cominciavano ad emergere evidenze che soprattutto i malati onco-ematologici non rispondevano come gli altri, né per la produzione di anticorpi né per l’attivazione dell’immunità mediata da linfociti”, spiega Apolone: “Abbiamo allora deciso di unire le forze e coordinarci per fare uno studio clinico unico, centralizzato”.

 

600 pazienti, 12 gruppi

Lo studio al momento coinvolge circa 600 pazienti divisi in 12 sottogruppi, non solo oncologici. Tutti i campioni vengono inviati allo Spallanzani, che analizza anche la capacità degli anticorpi prodotti in risposta al vaccino di neutralizzare il virus in laboratorio. Va detto, infatti, che la misura degli anticorpi nel sangue non è da sola un metodo valido per stabilire se una persona è protetta o no dal virus: sia perché i test utilizzati hanno sensibilità diverse, sia perché nella risposta immunitaria entrano in gioco altre componenti. Queste indagini cercheranno invece di capire se gli anticorpi prodotti sono “neutralizzanti” e se mantengono tale capacità in diversi momenti nell’arco di un anno dalla seconda dose, per capire anche come cambia l’efficacia del vaccino nel tempo. I primi risultati saranno disponibile a breve, mentre bisognerà aspettare un po’ di più per avere i dati completi, ad un anno dalla prima vaccinazione.

Le difese sembrano abbassarsi dopo 6-8 mesi

Alcuni studi condotti fino ad oggi, di solito su piccole casistiche, mostrano infatti che le difese contro il coronavirus cominciano ad abbassarsi dopo 6-8 mesi dalla seconda dose. E questo è il motivo per cui si sta pensando alla terza. “Per ora stiamo raccogliendo dati sull’efficacia della prima e seconda dose ma, nel momento in cui si partisse con la terza, saremo pronti per analizzare la risposta di questi pazienti e produrre conoscenze immediatamente trasferibili in pochi mesi”, continua Apolone: “Stiamo infatti per richiedere all’Agenzia italiana del farmaco una modifica del protocollo dello studio. Non solo per valutare l’efficacia dell’eventuale terza dose, ma che per includere altre categorie di casi poco studiati, come i pazienti trapiantati”.

Il primo studio sui pazienti trapiantati

Proprio sulle persone che avuto trapianti, uno studio condotto in Francia e pubblicato su New England Journal of Medicine ha misurato l’efficacia della terza dose in circa 100 pazienti. La percentuale di anticorpi contro Sars-Cov-2 era in media del 4% prima della seconda dose, del 40% prima della terza dose e del 68% a 4 settimane dalla terza dose. Le persone con minore risposta erano le più anziane o quelle fortemente immunosoppresse. Al momento della pubblicazione dello studio (lo scorso giugno) nessuno di loro aveva contratto Covid-19 e non si è verificato alcun evento avverso grave al vaccino.



www.repubblica.it 2021-08-08 18:00:00

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