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Un centro di ricerca e innovazione per invecchiare bene

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A Newcastle, dentro l’Università, c’è un centro di ricerca tutto dedicato all’innovazione e all’invecchiamento. A dirigerlo un italiano, Nicola (Nic) Palmarini, che dopo 20 anni di lavoro in IBM e aver studiato le applicazioni dell’intelligenza artificiale all’invecchiamento in salute, è stato chiamato dal governo inglese per portare avanti il NICA, National Innovation Center for Ageing. Finanziato dallo Stato inglese con 40 milioni di sterline, il centro di Newcastle è una vera fucina di idee, come ci racconta il direttore.

 

Nic Palmarini, cosa può fare la tecnologia per gli anziani?

“Può migliorare la loro qualità di vita, incidere sulla salute, interpretare i loro bisogni. Ma facciamo degli esempi. In collaborazione con Piaggio Fast Forward stiamo studiando il robot Gita per renderlo capace di spronare le persone anziane a camminare di più, aiutandole allo stesso tempo: è una specie di carrello che può trasportare fino a 23kg di peso – utile quindi per fare la spesa – che, grazie a una sofisticata tecnologia, segue fedelmente la persona e indirettamente suggerisce di muoversi e interagire. Ancora, grazie all’intelligenza artificiale combinata all’internet delle cose possiamo capire meglio come le persone anziane vivano da sole, e quindi aiutarle, in base a comportamenti con suggerimenti sulla nutrizione, l’attività, la sicurezza”.

 

L’intelligenza artificiale a volte suscita timori…

“Come sempre dipende da come si usano gli strumenti. Grazie all’AI e ai programmi di machine learning, per esempio, siamo riusciti a potenziare una app per fare lezioni di yoga a distanza e a trasformarla in un programma che non solo capisce se stai eseguendo il movimento correttamente, fornendoti indicazioni per correggerti, ma anche se sei soddisfatto di quello che stai facendo. Così il servizio è più personalizzato ed efficace, anche quando gli utenti non possono dare feedback diretti perché affetti da patologie cognitive più o meno gravi”.

 

E gli anziani? Possono migliorare la tecnologia?

“Assolutamente. È questo il senso della nostra community chiamata VOICE: oggi abbiamo affiliato oltre 8mila persone over 55 che sono il nostro punto di riferimento. Sono loro che testano le nostre soluzioni, che pongono i problemi che devono essere risolti, che ci dicono cosa davvero desiderano. Per ora la comunità è attiva in UK e negli Stati Uniti ma stiamo lavorando ad avviarne una anche in Italia. L’invecchiamento in salute dipende in gran parte anche dal contesto sociale, dagli stili di vita, e ascoltare e rappresentare diverse comunità e culture è cruciale per accelerare e ampliare il panorama delle soluzioni e delle opportunità. Ed è necessario farlo lungo l’intero arco della vita, sfruttando la malleabilità del processo di invecchiamento”.

 

Già, l’idea è quella di agire sulla longevità. Come si fa?

“Ognuno di noi è come un blocco di marmo che viene cesellato nel tempo dalle sue azioni: dobbiamo stimolare i giusti meccanismi biologici che ci aiutino a invecchiare in salute. Per questo abbiamo stretto una partnership con alcune aziende che forniscono servizi per la longevità e abbiamo creato un programma – Longevity as a service – che vuole mettere a disposizione del più ampio numero di persone possibile servizi che aiutino a invecchiare in salute. Fra le aziende con cui lavoriamo c’è SoLongevity, una start up italiana che fa ricerca scientifica su integratori e programmi personalizzati di prevenzione dell’immunosenescenza”.

 

Basta agire sulle persone per garantire un invecchiamento in salute?

“No, è fondamentale creare anche un ambiente che consenta agli adulti di invecchiare bene e agli anziani di vivere al meglio. Con l’aiuto della nostra community, ad esempio, abbiamo disegnato una cucina intergenerazionale che cresce insieme a chi la abita, evolve nel tempo. Se ci sono dei bambini piccoli cassetti e sportelli sono messi in sicurezza, se ci sono degli anziani i pensili si possono abbassare e tutto diventa più semplice da raggiungere, e così via. Ma dobbiamo pensare anche allo spazio di comunità: sempre su suggerimento dei “nostri” anziani, oggi a Newcastle abbiamo sviluppato le “Happy to chat bench”, panchine dove chi si siede vuole chiacchierare. In città tutti lo sanno e funziona: combatte la solitudine e aumenta la coesione sociale”.

 

(Articolo pubblicato su Salute il 29/07/21)



www.repubblica.it 2021-08-11 07:17:00

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