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Terza dose, farla a tutti (come in Israele) è una scelta sbagliata

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A tutti, certo.  Non a tappeto, solo a fasce selezionate. Forse sì. No, meglio aspettare. In ballo c’è la terza dose, e su questo, a breve, dirà la sua l’Ema, l’Agenzia regolatoria europea. A chi farla subito, quando è possibile rimandarla, con quali modalità procedere alla somministrazione e, anche, seguendo quali parametri? Dubbi e domande che si stanno ponendo anche i medici sul campo, i più coinvolti in una fase cruciale della pandemia che, alla minima mossa sbagliata dei decisori, rischia di compromettere i traguardi raggiunti.

I pareri non sono unanimi, ma la tendenza generale è pro terza dose. Una ulteriore inoculazione che sarebbe fondamentale per alcune categorie, meno per quelle meno esposte al virus e alle sue conseguenze. “Due fasce sarebbero da privilegiare: i soggetti davvero fragili, quelli che nonostante la doppia somministrazione sono tutt’ora privi di difesa anticorpale. E poi, il personale sanitario, mi pare scontato”. Ivan Gentile, professore ordinario di Infettivologia all’università Federico II di Napoli, ha sperimentato su se stesso la malattia Covid, prima di dedicarsi a curare nel suo reparto una consistente fetta di pazienti che meno di un anno fa invadevano le corsie italiche.

Medici e infermieri, precedenza da rispettare perché sono stati i primi essere vaccinati nove mesi fa?

“La cronologia è un elemento sì, ma non c’entra nel ragionamento. I dati finora disponibili hanno dimostrato un calo di efficacia del vaccino nella protezione dalla malattia lieve, ma un’ottima protezione da quella grave. Un po’ di febbre e qualche dolore non fanno paura, si possono superare. Ma il personale sanitario, pur non avendo bisogno di proteggersi da una patologia  non grave, è a costante contatto con tante persone, pazienti spesso molto vulnerabili e suscettibili al contagio. Perciò, in questo caso la terza dose diventa essenziale, soprattutto per proteggere i pazienti. Poi c’è un’altra considerazione da fare. Un infermiere o un medico, appena febbricitanti e con qualche doloretto o, anche soltanto positivi, rimarrebbero comunque a casa. Vaccinarli prioritariamente significa salvaguardare la loro capacità lavorativa. Il discorso varrebbe anche per altre categorie, ma l’esclusività del mondo sanitario è essenziale per far fronte alla pandemia:  con la penuria di organico, nel momento in cui venissero meno loro, la situazione assistenziale da drammatica si farebbe tragica”.    

Nell’ambito delle fasce fragili, quali dovrebbero avere accesso subito al richiamo?

 “Senza dubbio gli immunodepressi, i trapiantati, gli oncologici, i leucemici, i pazienti con Aids, in una parola gli estremamente fragili, come i 90enni con pluripatologie: la terza dose sollecita una risposta anticorpale spesso carente”.

Ed è un dato emerso da tanti studi.

“Infatti. Solo per ricordarne qualcuno, basta citare il Journal of Allergy and Clinical Immunology che recentemente ha pubblicato nuovi dati sulla risposta al vaccino nei pazienti con immunodeficienze: solo il 59 per cento di loro avrebbe raggiunto una copertura anticorpale dopo la prima dose, mentre si arriva all’85 dopo l’intero ciclo”.

E non sempre la seconda dose è sufficiente…

“Infatti. Spesso anche dopo la doppia somministrazione, i livelli di anticorpi prodotti risultano carenti. Di più. Jama (Journal of American association) ha pubblicato il 23 luglio uno studio in cui è stata valutata la risposta anticorpale dopo la terza dose nei pazienti sottoposti a trapianto di rene, con risposta minima alla seconda somministrazione. Ebbene, questo lavoro ha fornito la prova che due dosi di vaccino non sono sufficienti: circa il 60 per cento dei trapiantati renali non ha prodotto anticorpi, mentre una terza dose è riuscita a sollecitare la risposta immunitaria in circa la metà (49 per cento) di coloro che non ne avevano avuto con la doppia dose”.  

Esaurite le priorità, resta la popolazione generale. Anche per quest’ultima la protezione è diminuita.

“Eh no, qua il discorso è diverso. E lo ha ribadito anche l’Oms. La terza dose a tutti, per il momento, almeno fino a prova scientifica certificata, non è necessaria”.

Ma tanti vaccinati, nonostante abbiano completato il ciclo vaccinale sono risultati positivi. E alcuni si sono anche ammalati. Secondo lei la terza dose non servirebbe?

“Non è tra le priorità. Dalla malattia lieve, se e quando c’è, si guarisce. Invece, mi darei da fare per spedire i vaccini stoccati per la terza dose alle popolazioni dei paesi poveri che al momento hanno coperture appena del 2 per cento. E proprio da questi “dimenticati” possono poi venir fuori altre varianti. Anche più aggressive”.

Una ripercussione che coinvolgerebbe anche noi, gli abitanti dell’Occidente ricco.

 “Certo. Se ci sono luoghi in cui continua a circolare il virus, può far capolino una mutazione che “buca” il vaccino. E in quel caso saremmo tutti, ovunque nel mondo, di nuovo a rischio, perché impreparati e scoperti dalla tutela immunologica”.

Non solo altruismo, allora.

“Da una parte non dobbiamo essere egoisti: vanno aiutati quelli che non ce la fanno da soli. Dall’altra sì, anche in proiezione per nostro interesse, sarebbe opportuno distribuire i vaccini dove ce n’è più bisogno”.

Dunque lei ritiene superfluo occuparsi tanto delle priorità, fatte salve le fasce sanitarie e dei fragili?

“Mi fermo all’evidenza. In Israele stanno già somministrando la terza dose, ma potrebbe essere inutile almeno finché non saranno pubblicati lavori che ne dimostrino la necessità e l’efficacia. Piuttosto oggi mi preoccuperei dei no-vax. L’obbligo al vaccino non mi trova d’accordo se non come misura estrema. E qui ci sono ancora milioni di italiani che non hanno fatto la seconda dose. La vaccinazione è l’arma principale per evitare i ricoveri. E non dimentichiamo che la variante Delta si sta rivelando aggressiva e più killer delle precedenti. Perciò, vacciniamo tutti, ma non ci perdiamo a discutere della terza dose”.

 

 



www.repubblica.it 2021-09-09 07:28:02

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