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Signore e signori, ecco il defilé della Rinascita

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“IL LORO unico desiderio è scappare via. Sai in quante mi hanno chiamato questa settimana per dirmi che non se la sentono? Che hanno i globuli bianchi bassi? Anche adesso mi stanno scrivendo. Verranno solo perché si fidano di me… io dico loro di dedicarsi un giorno per fare qualcosa che le può aiutare. Non sanno esattamente cosa succederà. Il loro è un grande atto di fiducia. E la mia – la nostra – è una responsabilità non da poco”.

Flashback, 2016

Elena Pasquin è la psicologa dell’Associazione Oncologica San Bassiano e da qualche tempo è in cerca di un’idea, un’ispirazione. Non sempre con gli strumenti della psicoterapia riesce ad aiutare i pazienti a considerarsi di nuovo persone, e non solo malati. E questo la spinge a cercare qualcos’altro: “Cercavo un’esperienza di quelle che gli anglosassoni definiscono disruptive. Dirompente. Uno shock biografico forte quanto quello della diagnosi di tumore, e che ovviamente lavorasse nella direzione opposta”, racconta a Salute Seno (qui il link per iscriversi gratuitamente alla newsletter). 

 

Un giorno, casualmente, vede su Facebook i vestiti di Raptus&Rose creati dalla stilista italiana Silvia Bisconti e la prima cosa che pensa è: starebbero bene a tutti. Poi l’idea. Non quella di una sfilata di moda con le pazienti – ce ne sono così tante – ma di un progetto molto più complesso: “La diagnosi di tumore è una frattura tra un prima e un dopo, ed è come se la dimensione della bellezza perdesse di senso. Ero molto lontana dal pensare a un défilé: l’obiettivo era rimettere la bellezza al suo posto”. 

L’idea è questa: fare una proposta alle pazienti contraria a ogni loro aspettativa nella fase più difficile della loro malattia. E cioè di realizzare qualcosa di straordinario e bello nel momento più buio. Chiederlo solo a chi ha disinvestito nella vita e fa fatica a sganciarsi dall’idea di essere una paziente invece che donna, madre, figlia, amica… “Molte pazienti – dice – hanno o trovano le risorse per reagire bene alla malattia. Se una persona si sente in grado di salire su una passerella, vuol dire che ha già fatto un passo nella riconquista della fiducia in se stessa. Con questo progetto, però, noi vogliamo rivolgerci a chi ne ha bisogno per ripartire. Di fatto, coinvolgiamo solo le persone che ci dicono di no, che non lo vogliono fare”.

 

Non c’è un’altra patologia che ha uno scenario immaginativo legato alla morte e alla sofferenza come il cancro, spiega ancora Elena: “L’obiettivo era mettere le pazienti nella condizione di pensare che c’è altro oltre all’immaginario che avevano scelto di vivere”. Con l’idea nella tastiera, Elena scrive una mail alla stilista. Passa diverso tempo, finché non riceve una sua telefonata. Spiega tutto d’un fiato quasi senza respirare. Silvia Bisconti rimane in silenzio. Non dice né sì né no, vuole incontrarla il giorno dopo insieme a Dina Faoro, la vicepresidente dell’associazione. 

Sorellanze

“Avevo letto la mail ma ho aspettato a rispondere. Avevo bisogno di pensare”, racconta Silvia Bisconti. Diversi anni prima, con Raptus&Rose aveva dato vita al format La moda liberata, in cui a sfilare sono solo donne comuni, e non le modelle che hanno un fisico troppo facile da vestire. Secondo la sua filosofia, infatti, è il vestito che si deve adattare al corpo, e non viceversa. Se un vestito non sta bene, il problema è del vestito, non di chi lo indossa.

“Quando Elena e Dina sono entrate nell’Atelier – riprende Silvia – ho letto nei loro sguardi tutto ciò che mi serviva sapere per dire sì. Il sì più bello, più importante di tutta la storia di Raptus&Rose. Di sfilate se ne possono fare tante, ma quello che volevamo fare noi – che abbiamo fatto e che continueremo a fare – è un lavoro profondo sul corpo delle donne. Non diamo semplicemente dei vestiti: è una forma di beneficenza attiva e un ‘atto terapeuticò che ha un potenziale immenso”. 

Il Défilé della Rinascita

Da quell’incontro è nato il progetto Défilé della Rinascita e nel 2017 si è tenuta la prima edizione. Il momento finale, quello sì, è una sfilata di moda professionale da tutti i punti di vista. Il team di Raptus&Rose si occupa della regia dell’evento e di ogni aspetto organizzativo, persino di insegnare alle donne come camminare in passerella, ben consapevoli delle fragilità di chi sarà con loro e di quanto sia fondamentale l’umanità, prima ancora della professionalità. I vestiti sono cuciti a mano e pensati mesi prima per ogni donna che sfilerà, ogni dettaglio ha un significato. Come le acconciature con i fiori, simbolo di rinascita che parte dalla mente. E non ci sono solo pazienti oncologiche, ma anche persone della società civile e il personale sanitario che le assiste durante le cure in ospedale. Le differenze sono annullate: tutte le donne trasportate in un altro paradigma, tutte condividono quella stessa esperienza. La passerella dura poco più di mezz’ora, ma ciò che accade nelle ore precedenti cambia tutta la prospettiva. Per una giornata intera, tantissime persone si prendono solo cura di chi sfilerà. Ci sono fisioterapisti specializzati in pazienti oncologici, e palliativisti per le pazienti che hanno bisogno della terapia del dolore. “Quello che facciamo è cercare di farle sentire bene e limare le diversità”, continua Silvia: “Chi affronta una malattia oncologica porta i segni delle cure: queste donne si sentono piene di difetti, diverse. Noi le uniformiamo nella bellezza”.

Negli occhi delle altre

Non ci sono specchi dove vengono vestite, truccate e preparate le donne, né possono usare i cellulari per fare delle foto. “Ogni donna si rivede nelle altre e nasce una solidarietà straordinaria”, riprende la psicologa: “Abbiamo sperimentato ormai da diversi anni che ciò succede in quella giornata è un atto davvero dirompente. La condivisione diventa totale e tutte le paure si sciolgono, mentre sentono il tocco di mani estranee sul loro corpo che per la prima volta non cercano la malattia”. 

 

Elena racconta di donne che non compravano abiti da mesi e che grazie a quell’esperienza hanno ricominciato a truccarsi. “Abbiamo così tante testimonianze… è davvero una rinascita. Lo è stato anche per chi era in uno stadio terminale della malattia ed ha sfilato con la morfina. E lo è per le famiglie, che spesso portano il peso più grande. I figli e i compagni dopo tanto tempo vedono la persona che amano di nuovo raggiante. E capiscono che c’è uno spiraglio di futuro”.

 

Dina Faoro, vicepresidente dell’Associazione Oncologica San Bassiano, non ha dubbi, perché lo ha visto tante volte: quando la qualità di vita di una persona migliora, anche la cura dà risultati migliori. “Quando la malattia diventa proprietaria del corpo di una persona, la sua paura principale è che tutti possano vederne le ferite. Noi invece sappiamo che la loro mente potrà finalmente essere libera da questo pensiero. Quel momento resterà un ricordo dolcissimo in ogni caso”.

Dopo due anni di stop forzato a causa della pandemia, la sfilata torna venerdì 10 settembre, e si svolge in un luogo fortemente simbolico: il Ponte degli Alpini di Bassano del Grappa, riaperto lo scorso maggio dopo sette anni di restauro. “Anche lui era malato: è stata fatta una diagnosi, è stato curato ed è rinato”, conclude Dina: “Non potevamo che essere qui”. 

Per il primo anno, il Défilé della Rinascita potrà essere seguito anche in diretta streaming. Qui il link a cui collegarsi venerdì 10 pomeriggio, alle 18,30.



www.repubblica.it 2021-09-10 11:40:02

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