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La combinazione di immunoterapie funziona su diversi tumori

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PER la prima volta sono disponibili i dati a lungo termine sulla combinazione di due diverse terapie che agiscono contro il cancro stimolando il sistema immunitario. E sono dati molto confortanti. Il 48% dei pazienti con tumore del rene trattati in prima linea con la combinazione di molecole immuno-oncologiche, nivolumab e ipilimumab, è vivo a 5 anni. Sempre grazie a questo approccio, nel mesotelioma il 23% di pazienti mai trattati prima è vivo a 3 anni. In entrambi i casi risultati unici, impensabili qualche anno fa. I dati derivano da due studi presentati al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), in corso fino al 21 settembre. Durante il congresso virtuale sono stati presentati anche i passi avanti nel trattamento adiuvante del tumore dell’esofago con nivolumab, cioè successivo al trattamento chemio-radioterapico pre-operatorio e alla chirurgia, con lo scopo di ridurre il rischio di recidiva.

 

La combo nel rene

Nel 2020, in Italia, sono stati stimati 13.500 nuovi casi di tumore del rene e più di 144mila persone vivono dopo la diagnosi. La forma più frequente è quella a cellule renali. “Oltre il 50% dei pazienti con malattia in fase precoce guarisce – afferma Carmine Pinto, Direttore Oncologia Medica Comprehensive Cancer Centre AUSL-IRCCS di Reggio Emilia -. Però il 30% arriva alla diagnosi già in stadio avanzato e, in un terzo, la malattia può recidivare in forma metastatica dopo l’intervento chirurgico. Storicamente, la sopravvivenza a 5 anni nella malattia avanzata o metastatica non superava il 13%. Oggi invece, grazie alla combinazione delle due molecole immuno-oncologiche, quasi la metà è viva a 5 anni”. Lo studio presentato ha coinvolto 1.096 persone con tumore del rene a cellule renali avanzato e ha valutato, in prima linea, nivolumab più ipilimumab rispetto allo standard di cura costituito da sunitinib. Il follow up è stato di 67,7 mesi. In questo studio di fase 3 la sopravvivenza globale mediana ha raggiunto 55,7 mesi con la combinazione. In tutti i pazienti randomizzati, i tassi di sopravvivenza globale a cinque anni erano pari al 48% con nivolumab più ipilimumab rispetto al 37% con sunitinib. La combinazione, inoltre, ha evidenziato un tasso di risposta globale più alto rispetto a sunitinib (39% rispetto a 32%). “La combinazione di immunoterapia migliora e allunga nettamente la speranza di vita a lungo termine, come evidenziato dalle sottoanalisi – continua Pinto -. I pazienti vivi a 3 anni dopo l’avvio del trattamento con nivolumab più ipilimumab presentavano l’81% di probabilità di vivere anche nei due anni successivi e i pazienti liberi da progressione a 3 anni avevano l’89% di probabilità di restare in questa condizione per altri 24 mesi. Si tratta quindi di un’arma importante che speriamo di poter usare presto sui pazienti”.

 

Nel mesotelioma

La combinazione ha evidenziato miglioramenti nella sopravvivenza globale in sei studi di fase 3 relativi a 5 diversi tumori: oltre al carcinoma a cellule renali, il tumore del polmone non a piccole cellule, il melanoma, il cancro dell’esofago a cellule squamose e il mesotelioma pleurico. “Purtroppo per quest’ultimo tumore le opzioni terapeutiche sono ridotte – spiega Pinto -. La chemioterapia ha mostrato vantaggi nella fase avanzata, con solo il 10% dei pazienti vivo a 5 anni. I dati presentati all’ESMO rappresentano un passo in avanti nella strategia terapeutica”. Lo studio presentato ha coinvolto 605 pazienti e ha dimostrato che, a un follow up minimo di 35,5 mesi, la combinazione di nivolumab e ipilimumab in prima linea riduce il rischio di morte del 27%, evidenziando una sopravvivenza globale mediana di 18,1 mesi rispetto a 14,1 mesi con la chemioterapia. Nello studio, la combinazione immunoterapica ha dimostrato un miglioramento clinicamente significativo nella sopravvivenza, con il 23% dei pazienti ancora vivo a tre anni rispetto al 15% con la chemioterapia. I benefici della combinazione, inoltre, durano nel tempo con una durata mediana della risposta di 11,6 mesi rispetto ai 6,7 mesi della chemioterapia. “Prima avevamo solo la prima linea di terapie, ora sappiamo che possiamo iniziare con l’immunoterapia e posticipare la chemio; avere quindi una strategia composita, che coinvolge anche l’analisi genetica perché ci sono marker di maggiore e minore sensibilità alle terapie”, dice ancora Pinto.

 

Nel tumore dell’esofago

Un’altra neoplasia con limiti e difficoltà nella cura è il tumore dell’esofago. E anche in questo caso l’immunoterapia apre nuove opzioni di cura. I dati presentati evidenziano l’efficacia di nivolumab somministrato come terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, nei pazienti che presentavano un residuo di malattia nel pezzo chirurgico dopo chemio-radioterapia pre-operatoria, con una riduzione del 33% del rischio di recidiva e un’ottima tollerabilità del trattamento. Un risultato importante dal momento che si tratta di una delle neoplasie a prognosi peggiore, con una sopravvivenza a 5 anni pari al 13%, e per cui si registra un aumento dei casi: in cinque anni (2015-2020), in Italia, i nuovi casi di tumore dell’esofago sono aumentati del 26%, da 1.900 a 2.400.



www.repubblica.it 2021-09-17 12:41:32

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