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Covid, anche i fragili possono essere super-protetti

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HANNO l’effetto di una corazza, uno schermo contro il Covid nelle sue diverse varianti, anche quelle di più recente comparsa. Due dosi di vaccino, sugli immunodepressi che hanno contratto il virus e sono guariti, anche a distanza di tempo promettono un’efficacia e una resistenza che può raggiungere livelli massimi. Pure tra coloro che quelle mutazioni del virus non le avevano mai conosciute. Lo studio, pubblicato su Esmo Journal della European Society for Medical Oncology, messo a punto da ricercatori del policlinico San Matteo di Pavia, in collaborazione con l’ospedale Guglielmo Da Saliceto di Piacenza, non solo giustifica la terza dose di vaccino sui pazienti più fragili, ma va oltre, spiegando che esiste un livello di immunità fino ad ora non immaginato, in coloro che hanno sviluppato la malattia, anche se diversi mesi fa.

I ricercatori sono partiti da una domanda di fondo: quale effetto ha il vaccino sugli immunodepressi? Da lì una serie di verifiche condotte dalle équipe mediche dei due ospedali. Lo studio si è svolto su 88 pazienti, alcuni dei quali guariti dal Covid già nella primavera scorsa, in trattamento con farmaci immunoterapici. “L’obiettivo – spiega Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di Virologia Molecolare del San Matteo – era provare l’efficacia e la sicurezza di un ciclo completo di vaccinazione anti Covid. I risultati preliminari sono incoraggianti e per certi versi sorprendenti. La vaccinazione è stata efficace a stimolare la risposta contro il virus nella grande maggioranza dei pazienti con neoplasia anche in corso di trattamento. Infatti, tutti i malati che hanno contratto una precedente infezione da Sars-Cov-2 hanno sviluppato le risposte anticorpali e cellulo-mediata già dopo la prima dose”.

Ma è con il richiamo che, sostengono i ricercatori, si è fatto il salto di qualità. “Dopo la seconda dose vaccinale, nei guariti dal Covid abbiamo riscontrato livelli mediani di risposta anticorpale molto più elevati che nei pazienti “naïve”, ossia che non hanno contratto il virus”. In pratica: 26 volte in più per quanto riguarda i livelli IgG totali, 6 volte oltre per i titoli neutralizzanti e 4 volte per i livelli di risposta T-cellulare. “Nei pazienti “naïve” per infezione da Sars-CoV-2 la risposta anticorpale (sia IgG totali che anticorpi neutralizzanti) dopo la prima dose di vaccino era del 44%, ed è salita al 96% dopo la seconda – prosegue Baldanti – mentre la risposta cellulo-mediata era rilevabile nel 67% dei pazienti dopo la prima dose e nel 90% dopo la seconda”.
I ricercatori, dunque, hanno osservato che “la risposta maggiore si raggiunge solo dopo la seconda dose e suggeriscono che una tripla esposizione allo stimolo antigenico, vale a dire la terza dose di vaccino, possa rafforzare significativamente la risposta vaccinale nei pazienti fragili”. 

I dati, quindi, dicono che anche i pazienti fragili possono raggiungere un grado elevato di “schermatura” dal virus dopo il vaccino, e “che i livelli di protezione si guadagnano dopo il richiamo”. Rimane un 10% che ha una risposta non completa, tanto da meritarsi la definizione di “non responders”. “Parliamo di persone che, ad esempio, possono avere solo la risposta anticorpale e non T-cellulare e quindi restano a rischio contagio – sottolinea il virologo – questi dati suggeriscono che la strategia di una terza dose nei soggetti fragili è più che giustificata perché consolida un effetto ottimale del vaccino. Nel contempo provano che una persona guarita e poi vaccinata è superprotetta. Perché i pazienti che abbiamo esaminato erano stati tutti vaccinati in primavera, quando la variante Delta non c’era. Ma, cosa sorprendente, quando abbiamo messo il loro siero a contatto con la Delta l’hanno neutralizzata”.

Lo studio su Lancet

Tuttavia, uno studio su Lancet avverte che non sempre è così. In sostanza dice: va bene la terza dose sulle persone fragili, ma non è provato che, chi ha avuto una risposta contenuta con le prime due dosi possa svilupparne una più alta con la terza. Concludendo, gli studiosi sostengono che ad oggi non ci sono prove scientifiche per un ulteriore richiamo su tutta la popolazione. L’analisi è firmata da un gruppo internazionale di scienziati: fra questi anche alcuni componenti dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e dell’Fda americana (Food and drug administration). Secondo il team di ricercatori, l’attuale copertura è sufficiente anche nei casi di Covid grave e si è dimostrata adeguata anche per contrastare la variante Delta. 

Lo studio esamina decine di ricerche pubblicate su riviste internazionali. Quello che emerge è che i vaccini contro Covid-19 continuano ad essere estremamente efficaci contro la malattia grave, varianti comprese. Facendo la media dei risultati riportati dalle ricerche, la vaccinazione ha avuto un’efficacia del 95% contro la malattia grave da Sars-CoV-2, dovuta sia alla variante Delta che alla variante Alfa, e oltre l’80% di efficacia nel proteggere contro qualsiasi infezione da queste varianti. In presenza delle diverse varianti che conosciamo, l’efficacia del vaccino è maggiore contro la malattia grave, mentre lo è un po’ meno per contrastare forme di coronavirus asintomatico o la trasmissione dell’infezione. Si è inoltre concluso che, nelle popolazioni con un’elevata copertura vaccinale, la minoranza non vaccinata è ancora il principale fattore di trasmissione, oltre ad essere essa stessa a più alto rischio di malattia grave.

Quindi bisogna vaccinare tutti, concludono i ricercatori. Spiegando: “Presi nel loro insieme, gli studi attualmente disponibili non forniscono prove sufficienti di un sostanziale calo della protezione vaccinale nei confronti della malattia grave, e quindi dell’ospedalizzazione, che è l’obiettivo primario della vaccinazione”. Anche se alla fine si può ottenere un certo guadagno dalla terza dose, non verranno mai superati i vantaggi di fornire una protezione a tutti quelli che non si sono ancora vaccinati o non lo sono in maniera completa. “Se i vaccini venissero distribuiti dove farebbero meglio, potrebbero accelerare la fine della pandemia inibendo l’ulteriore evoluzione delle varianti”, spiega la coordinatrice della ricerca Ana-Maria Henao-Restrepo, dell’Oms.



www.repubblica.it 2021-09-19 05:23:00

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