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La scoperta: “Quelle cellule decidevano da sole che cosa fare”

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D’estate, dalla finestra del laboratorio il sole gli fa compagnia fino a tarda ora. Sorge alle 4 del mattino e tramonta dopo le 22. Questione di latitudine, ma Claudio Cantù si è ormai abituato. Biologo molecolare di 39 anni, dal 2018 lavora come professore associato e ricercatore presso l’Università di Linköping, in Svezia, a capo di un team che si occupa di genomica dello sviluppo embrionale, branca che mira a comprendere come l’azione coordinata di tutti i nostri geni porti alla formazione di organismi complessi come l’uomo. Un centro di eccellenza, dove scienza e tecnologia si incontrano, grazie alla sinergia tra specialisti vari. Il 14 settembre la sua équipe, in collaborazione con l’Università di Zurigo (Svizzera) e l’Università di Manitoba (Canada), ha pubblicato uno studio sulla prestigiosa rivista Cell Reports: la scoperta di un nuovo meccanismo che permette ad alcune cellule staminali di scegliere se moltiplicarsi o differenziarsi.

Professore, cosa sono le staminali?

“Cellule che possono essere definite ’immature’, capaci di proliferare mantenendo la propria identità o trasformarsi in cellule specializzate, come globuli rossi che trasportano l’emoglobina o neuroni che conducono un impulso nervoso. Tra diverse tipologie, noi studiamo le cellule staminali embrionali, speciali perché in grado di formare ogni tessuto del nostro corpo. Una vera promessa nel campo della medicina rigenerativa, che cerca di sviluppare terapie innovative per riparare tessuti compromessi da traumi o malattie degenerative”.

Come è nata la scoperta delle cellule che scelgono che cosa fare?

“Da un’osservazione collaterale, che non ci aspettavamo. Per capire la risposta delle cellule staminali embrionali a segnali provenienti da altre cellule, dette WNT, abbiamo indotto mutazioni che ostacolassero questa capacità delle cellule di comunicare”. 

E cosa avete notato?

“Con nostra sorpresa le cellule continuavano a dividersi, anche senza i numerosi composti chimici che di solito si aggiungono ai mezzi di coltura. Dal meccanismo di comunicazione cellulare, l’interesse si è quindi focalizzato sulla regolazione della proliferazione”.

Quale è l’aspetto più rilevante della ricerca?

“Ogni volta che si dividono, le cellule sono chiamate a decidere: generare due staminali embrionali o una staminale embrionale e un’altra che inizia a specializzarsi. Diversi meccanismi di questa scelta sono ignoti, ma abbiamo capito che i geni da noi modificati sono coinvolti. Si chiamano TCF/LEF, sono quattro, e codificano per fattori di trascrizione, ovvero proteine capaci di regolare l’attività di altri geni, ‘accendendoli’ o ‘spegnendoli’. Tra questi, ne abbiamo identificati altri tre, tutti localizzati in una piccola regione del cromosoma 10. Possono così essere regolati insieme, nello stesso momento. È importante sottolineare che la nostra scoperta costituisce il pezzo piccolo di un puzzle grande, ed è ancora richiesto molto lavoro per individuare tutti i segreti di queste cellule speciali”.

Che implicazioni ha il vostro studio?

“Innanzitutto, rivela un meccanismo molecolare prima sconosciuto, con cui le cellule decidono se dividersi o specializzarsi. Inoltre, per compiere altre scoperte nella ricerca pre-clinica, occorrono tante cellule staminali embrionali. La linea che abbiamo creato ha un grande potenziale replicativo. E senza fattori di crescita, che sono molto costosi”.

La sfida successiva?

“Spiegare i meccanismi che governano lo sviluppo embrionale. Per la ricerca di base, capire come sia possibile che cellule staminali embrionali continuino a proliferare anche in assenza di segnali dall’esterno. In ambito pre-clinico, se siano ancora in grado di formare ogni tessuto del nostro corpo”.

È questo un limite della vostra ricerca?

“Sì, senza dimenticare l’attitudine di queste cellule a proliferare in maniera incontrollata. Un terreno delicato, su cui muoversi con cautela, perché ricorda in maniera pericolosa le malattie tumorali. Ma anche una possibilità, per esplorare ulteriori settori dell’oncologia”.

Oltre 1.800 km tra la sua Brianza e Linköping, quinta città più popolosa della Svezia, famosa per la Cattedrale e l’ambizioso progetto di sviluppo sostenibile. Com’è vivere lì?

“Il posto è bello e le persone cordiali. Purtroppo le temperature sono più rigide dell’Italia, la nostra estate corrisponde alla vostra primavera. E a volte il cibo richiede compromessi faticosi. Tante verdure, patate, pesce. Le Surströmming (aringhe fermentate, ndr) mi fanno rimpiangere l’olio d’oliva e, soprattutto, la pizza. Ecco perché la preparo nella mia cucina”.

È un esempio di cervello in fuga. Dove si vede nel futuro?

“Qui mi trovo bene, non escludo di restare”.

 

 

 



www.repubblica.it 2021-09-22 16:00:00

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