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Edoardo Pini, dalla leucemia mieloide alla maratona: “Se ce l’ho fatta io, perché alt…

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L’ha voluta, sognata, con entusiasmo e un po’ di timore. Gambe pesanti, battiti sempre più alti, salite interminabili. Ma Edoardo Pini non poteva mollare. Lo scorso 18 settembre, lungo i 37 km e gli oltre 2.000 metri di dislivello dell’Ultra Trail Lago Maggiore, ha ripensato a quei giorni del 2017. Al letto d’ospedale, alla milza così grande, al via vai di camici bianchi, al rumore dei suoi pensieri dopo le tre parole: leucemia mieloide cronica.

La diagnosi

E pensare che in Pronto Soccorso nemmeno voleva andare. “A che serve? La pancia sarà gonfia per le troppe verdure”. Invece ha un tumore del sangue che progredisce lentamente e si sviluppa nel midollo osseo, tessuto dove si trovano le cellule staminali che danno origine a globuli bianchi, rossi e piastrine. Una di queste cellule immature, o blasti, ha iniziato a moltiplicarsi in maniera incontrollata.

Ma Edoardo è tenace, vuole combattere. Il trattamento iniziale ha esito negativo, le opzioni terapeutiche diventano due: farmaco sperimentale o trapianto di midollo. Punta sulla seconda. “Potrò tornare a correre?”, la prima domanda ai medici del San Raffaele di Milano. La risposta lo rincuora: addirittura c’è chi partecipa a maratone. È tutto ciò che gli serve.

Lo sport

Originario di Binago, provincia di Como, in quel momento non ha ancora compiuto 28 anni. Specializzato in Design & Engineering, si occupa di innovazione ispirata alla natura, con stage ed esperienze all’estero. Come la creazione di un desalinizzatore solare, prodotto che rimuove il sale dall’acqua per aiutare i Paesi del Terzo mondo. E poi pratica sport, più di una passione.

A sette anni ha scoperto la Sindrome di Tourette, malattia neuropsichiatrica caratterizzata dall’emissione di suoni, rumori e movimenti involontari. La forma è lieve, ma non gli ha mai risparmiato tic motori, dal viso alle gambe. L’attività fisica diventa così una medicina, per sfogarsi, dimenticare difficoltà e prese in giro becere.

Va all’asilo quando inizia con il calcio, perché il nonno gli rivela che un buon giocatore sa tirare con entrambi i piedi. L’amore per la Juventus e l’idolo Alessandro Del Piero fanno il resto. Esterno completo e duttile, smette di inseguire il pallone durante gli ultimi anni di liceo, quando si lancia su nuoto, bicicletta e atletica. Il triathlon, somma delle tre discipline, lo intriga da sempre, la loro alternanza gli permette di far respirare i muscoli, storditi dai quei movimenti incontrollabili.

Ma è con le scarpe da running che ritrova sé stesso, nelle campagne intorno casa o sulle montagne comasche che sembrano tuffarsi nel lago. Ascoltando i rumori della natura, cogliendone gli odori, magari con i piedi in un torrente. La sua è la “filosofia della lentezza”: perché andar forte, con l’occhio fisso sul cronometro, senza godersi il viaggio?

L’intervento

Il 18 settembre 2018 il trapianto. Il donatore è il papà. Oltre 50 giorni di ricovero, mesi di farmaci con più di venti compresse in 24 ore, controlli in cui la recidiva di malattia è improbabile ma non scongiurata. Tanti gli effetti collaterali, anche dolorosi, ma resta concentrato sull’obiettivo. Ogni volta che si scoraggia, Edoardo pensa ai genitori, all’amata Jessica che ha ritrovato dopo aver perso. Quei rapporti sono la vera forza, nel reparto di oncoematologia non tutti possono permetterseli.

“Non è facile stare con me – ammette – Sono attento, sensibile, ma sempre alla ricerca di qualcosa. Rimugino, mi domando quale sia il mio posto nel mondo. E vorrei fosse un luogo migliore per tanti altri, meno fortunati”. Sognatore, ma con iniziative concrete.

Nel 2019 entra a far parte de Il Bullone, fondazione il cui motto è Pensare, Fare, Far pensare. Un modo per coinvolgere le persone, come scriverà in un articolo dal titolo Sindrome di Tourette e Leucemia. Due pugili molto forti: racconta del boxeur più pericoloso, apparso all’improvviso, e di quello conosciuto, che da tempo affronta. Non c’è rassegnazione, né voglia di pietà. Un invito alla vita, sobrio e deciso.

L’impresa

Nel 2020 la notizia più attesa. Per il momento, agli esami di controllo non c’è traccia della malattia. L’Ultra Trail Lago Maggiore è la sua rivincita, la data una coincidenza meravigliosa: 18 settembre, tre anni esatti dopo il trapianto. Gli imprevisti lo limitano nella preparazione, si allena solo tre settimane, fino all’ultimo è incerto se attaccare il pettorale. Poi si lancia, conclude in 109ª posizione, appena quattro secondi prima delle 7 ore di gara.

A Edoardo il crono non importa, si è goduto il viaggio, ha ascoltato il corpo, sulle pendenze più arcigne ha distanziato ricordi dolorosi. Per tutto il tempo avvolto dalla bandiera dell’Admo, l’Associazione Donatori di Midollo Osseo, con cui ha tagliato il traguardo. Stremato, incredulo. E felice.

“Vedermi in foto mi colpisce, se ripenso a qualche anno fa. Vorrei che un ragazzo che stia affrontando una malattia oncologica e ami lo sport possa prendere spunto dalla mia esperienza. Se ce l’ho fatta io, perché altri non dovrebbero?”. Oggi Edoardo ha 32 anni, lavora a Milano per l’Istituto Italiano di Tecnologia e vive a Binago con Jessica e Achille, il loro volpino. Non smette di rimuginare sul futuro e cerca ancora il suo posto nel mondo. Non sa cosa farà da grande, ma una cosa è certa: ogni tardo pomeriggio indosserà le scarpe e inizierà a correre.



www.repubblica.it 2021-09-27 19:15:22

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