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Non solo Covid: siamo circondati da coronavirus

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Viviamo letteralmente circondati dai coronavirus, lo eravamo anche prima di Covid-19 e continueremo a esserlo una volta che la pandemia sarà alle spalle. Questa prolifica famiglia di virus è infatti diffusissima negli animali e dunque non è raro entrare in contatto con uno dei suoi membri, senza per questo subire conseguenze, o quasi: essendo piuttosto specializzati, questi microrganismi tendono a circolare tra specie molto simili tra loro e mal si adattano alle altre, uomo compreso. La minaccia semmai sta nella loro capacità di mutare ed effettuare il salto di specie, divenendo cioè capaci di infettare l’uomo come accaduto con i virus di Sars, Mers e Covid-19 nel terzo millennio.

Una ricerca pubblicata su medRxiv in preprint, cioè senza revisione paritaria, suggerisce che queste sindromi sorelle rappresentano la proverbiale punta dell’iceberg: ogni anno, secondo gli autori, centinaia di migliaia di persone vengono infettate da coronavirus appartenenti alla genìa della Sars.

Basandosi sulla letteratura scientifica, i ricercatori – tra i quali spiccano gli autorevoli e influenti Peter Daszak e Lin-Fa Wang – hanno studiato la distribuzione di 23 specie di pipistrelli ferro di cavallo, noti per essere il serbatoio di coronavirus Sars-like nell’Asia sudorientale. In seguito, gli autori hanno sovrapposto questa mappa con la distribuzione della popolazione umana, calcolando come 478 mila persone siano potenzialmente esposte ai virus associati a questi animali.

 

Nel tentativo poi di individuare le aree a maggiore rischio, risultate essere Cina meridionale, Vietnam, Cambogia, Giava e altre isole dell’Indonesia, hanno quindi effettuato un’analisi probabilistica basata su possibilità di contatto uomo-pipistrello, sieroprevalenza umana di coronavirus Sars-like e durata degli anticorpi, rivelando che ogni anno, nella regione considerata, 400 mila persone vengono infettate. La maggioranza delle quali, con ogni probabilità, senza nemmeno accorgersene per via della mancanza o della lievità dei sintomi.

Contattato dalla redazione di Science, Daszak ha affermato che “L’analisi individua in maniera definitiva i luoghi del pianeta in cui è più probabile che emerga il prossimo coronavirus simile a quello che ha provocato la Sars o il Covid-19”. Secondo l’esperto britannico, questa mappa aiuterà a ridurre il rischio di nuove pandemie perché permetterà, da un lato, di concentrare la sorveglianza di nuovi focolai, e dall’altro di correggere i comportamenti rischiosi nelle comunità più esposte.

Nonostante il blasone degli autori, la solidità dello studio – e dunque le conclusioni – non appare inattaccabile. Vincent Munster, virologo dell’istituto nazionale di allergologia e malattie infettive degli Stati Uniti punta il dito sulla qualità dei dati, sottolineando come i titoli anticorpali alla base dello studio riguardino poche migliaia di persone. Inoltre, come abbiamo scoperto sulla nostra pelle negli ultimi due anni, i test sierologici non sono immuni ai falsi positivi.

L’epidemiologo David Fisman dell’Università di Toronto si spinge oltre, definendo traballante il modello utilizzato da Daszak e colleghi. Un numero così elevato di infezioni inosservate “non è verosimile: se così fosse, dovrebbero verificarsi regolarmente dei salti di specie, come avviene per il virus Nipah o per quello della rabbia”.

“Il messaggio lanciato dallo studio è condivisibile: la possibilità di contatto con un coronavirus è concreta anche se, nella maggioranza dei casi, priva di conseguenze per l’uomo se non qualche sintomo simil-influenzale. Non esiste specie, o quasi, di mammifero o di uccello che non abbia i propri coronavirus: dai suini ai bovini passando per cani, gatti, topi e perfino cetacei”, premette Stefania Leopardi, veterinaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che prosegue spiegando il motivo per cui il cerchio degli esperti ha finito per stringersi attorno ai pipistrelli: “Le specie di chirotteri sono più di 1.400 e ciascuna di esse può fungere da serbatoio per diversi coronavirus. Quelli dei ferri di cavallo, in particolare, mantengono in natura quelli correlati alla Sars, che in questi animali sono estremamente diversificati”.

Ciò nonostante, la trasmissione diretta dal pipistrello all’uomo non è mai stata provata, e difficilmente potrà mai esserlo. “A differenza di altre malattie virali, come per esempio Nipah, Covid-19 non è una vera zoonosi: sebbene si sia evoluto, probabilmente, da un coronavirus che dimorava nei pipistrelli, Sars-CoV-2 è, oggi, a pieno titolo un virus umano”, ricorda la veterinaria.

Il successo dei coronavirus, nonché la ragione per cui abbiamo imparato a temerli, dipende infatti dalla facilità con cui mutano. Ciò aumenta le probabilità di imbroccare quella adatta alla conquista di un nuovo ospite. “I virus a Rna – come i coronavirus, che sono tra i più grandi – sono particolarmente predisposti alle mutazioni poiché la loro replicazione è poco precisa. Più il genoma è grande, maggiore sarà la probabilità di errori. E così, di generazione in generazione, le mutazioni finiscono per accumularsi” spiega Leopardi.

Riguardo alla pubblicazione di medRxiv la veterinaria è prudente, ricordando che si tratta di un preprint e che alcune cose verranno aggiustate durante il vaglio. “Ciò che più salta all’occhio è la scelta di non usare un modello stocastico, cioè che tiene conto del caso. Il salto di specie è un fenomeno complesso che richiede diversi fattori di successo: un animale infetto, una persona che entri in contatto con le sue deiezioni e sia suscettibile, la capacità del virus di interagire con i recettori della persona. Se in quel momento esatto dovesse mancare una qualunque di queste condizioni, il salto di specie fallisce” chiarisce Leopardi, che conclude: “Anche la scelta di considerare solo la trasmissione diretta pipistrello-uomo è poco condivisibile, visto che, ad oggi, le evidenze scientifiche suggeriscono che difficilmente i coronavirus scelgono questa strada. Hanno bisogno di una specie intermedia che li amplifichi o li renda più affini all’uomo, come è stato nel caso dei dromedari, oggi il vero e unico serbatoio animale della MERS”.



www.repubblica.it 2021-09-28 05:00:00

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