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Viaggio nel cervello in 3D: la nuova frontiera della neurochirurgia

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Malattie cervicali, spinali, discali e lombari. Tumori del sistema nervoso e dell’ipofisi, aneurismi sono oggi sempre più curabili grazie all’affinamento della diagnostica per immagini e delle tecniche chirurgiche. Un esempio? La navigazione computerizzata e in 3D nel cervello e nel midollo spinale del paziente, prima, durante e dopo l’intervento. Sono alcune delle nuove frontiere della neurochirurgia moderna. La chirurgia spinale e quella cerebrale assistite da Tac o Risonanza magnetica intraoperatorie e da una ‘navigazione informatizzata’ sono state sicuramente la prima e più importante applicazione dei computer alla chirurgia, ma da allora i progressi sono stati tanti e oggi il livello di precisione è enorme a fronte di interventi sempre meno invasivi. A fare il punto della situazione è il 70° Congresso Scientifico nazionale e internazionale della Società italiana di neurochirurgia (Sinch) che si svolge a Milano dal 14 al 16 ottobre con la partecipazione di oltre 500 esperti. 

 
L’utilizzo delle nuove tecnologie in neurochirurgia
 

In base ai dati della Società italiana di neurochirurgia, ogni anno in Italia si svolgono 50mila interventi di neurochirurgia (15mila solo in Lombardia). Tantissimi gli ambiti nei quali è richiesta una consulenza neurochirurgica ma le nuove tecnologie entrano in gioco soprattutto in alcune delicate fasi: “Sono principalmente legate all’imaging pre-operatorio e intraoperatorio 3D del cervello e del midollo spinale”, spiega Maurizio Fornari, responsabile dell’Unità operativa di Neurochirurgia cranica e spinale di Humanitas e presidente del Congresso di Milano insieme a Franco Servadei. “Ma abbiamo anche sistemi di navigazione 3D ‘computer assisted’ per realizzare la chirurgia guidata dal computer stesso e poi sistemi raffinatissimi per monitorare funzionalmente con modalità bioelettrica l’attività cerebrale durante l’operazione”. Questo monitoraggio si associa continuamente alla ‘navigazione anatomica computerizzata’. L’associazione di questi sistemi consente al neurochirurgo di identificare anticipatamente ed in maniera informatizzata le caratteristiche anatomiche e funzionali di ogni struttura cerebrale e midollare affrontata chirurgicamente.

La chirurgia spinale mininvasiva
 

Tra gli interventi più diffusi degli ultimi anni ci sono quelli di chirurgia spinale mininvasiva che hanno l’obiettivo di stabilizzare le vertebre e le articolazioni spinali o di alleviare la compressione dei nervi spinali spesso a causa di condizioni come instabilità, artrosi, ernie discali, scoliosi o tumori spinali. E anche in questo campo le innovazioni sono state tantissime: “Oggi possiamo acquisire le immagini Tac in 3D mentre è in corso l’intervento e poi anche in questo caso è possibile una gestione con navigazione computerizzata dell’intervento. Così, possiamo manipolare con assoluta precisione non solo le strutture visibili ma anche quelle rese identificabili dalla realtà virtuale eventualmente implementata dalla realtà aumentata”, spiega Fornari che è un pioniere della neurochirurgia spinale informatizzata. Il risultato è una chirurgia enormemente più precisa e meno invasiva.

La chirurgia dei tumori encefalici

La tecnologia fa progressi anche per la chirurgia dei tumori encefalici consentendo di affrontare la patologia in maniera più efficace sia a livello intra che post-operatorio. “Disponiamo di metodiche di mappaggio diretto delle funzioni cerebrali con il paziente sveglio e collaborante”, aggiunge Federico Pessina, responsabile della chirurgia cranica di Humanitas. “Inibendo differenti stimoli motori, linguistici o cognitivi siamo in grado di identificare con estrema precisione i fasci associativi responsabili della normale vita di relazione, massimizzando la resezione chirurgica e minimizzando i deficit post operatori”. L’innovazione entra anche in sala operatoria: “Possiamo contare su metodi di diagnostica molecolare sulle masse che asportiamo in real time, potendo così personalizzare il tipo di asportazione chirurgica in funzione delle caratteristiche del singolo paziente e della patologia”, prosegue Pessina.

 
La ricerca in neuroncologia

Non solo. Successivamente tecniche di sempre maggiore precisione e raffinatezza applicate alla radioterapia consentono una ‘chirurgica sterilizzazione’ dei focolai operatori. “Una nuova frontiera – spiega Pessina – è rappresentata dall’applicazione di queste tecniche ancor prima di operare il paziente al fine di abbassare al minimo il rischio di recidiva o diffusione tumorale alle aree contigue. Tutti questi dati ci hanno consentito di implementare la ricerca in neuroncologia, mettendo le basi per lo sviluppo di nuove terapie basate sullo studio del microambiente immunologico da un punto di vista linfocitario, macrofagico e dendritico”.

La robotica in sala operatoria

A rendere più efficiente la neurochirugia è anche l’avvento dei robot in sala operatoria. “Abbiamo di recente creato un gruppo di lavoro con il dipartimento di robotica del Politecnico di Milano”, racconta Fornari. “I robot disponibili per la neurochirurgia consistono per ora solamente in sistemi per programmare in maniera più precisa traiettorie anatomiche e chirurgiche in tre dimensioni”. È solo in fase di sperimentazione iniziale invece l’uso di robot simili al famoso Da Vinci in uso da molti anni per la chirurgia toracoaddominale che consente una fine micromanipolazione dei tessuti con l’ausilio di minuti bracci robotizzati comandati da remoto. “La difficoltà nel realizzare questo passaggio – prosegue Fornari – è legata alle ridotte dimensioni sia delle porte di accesso, sia dello spazio di lavoro in neurochirurgia”.

Quando il robot sostituisce il chirurgo

Ma il paziente si fida quando il robot sostituisce la mano del chirurgo? “In realtà – risponde il neurochirurgo Fornari – i pazienti hanno una grande aspettativa nei confronti della chirurgia robotica perché sperano in una infallibilità delle macchine. È una aspettativa giusta ed è condivisa dai neurochirurghi. E’ un obiettivo che può essere raggiunto nel momento in cui viene sviluppata una tecnologia adeguata ed una altrettanto adeguata competenza da parte dei chirurghi utilizzatori”.

 
La formazione dei neurochirurghi

Quello della formazione delle prossime generazioni è un tema molto sentito. “La neurochirurgia italiana ha un grande passato, ma oggi più che mai c’è la necessità di aggiornarsi perché i cambiamenti scientifici e tecnologi sono molto più rapidi e questo impone una rivoluzione silenziosa o meglio un rinascimento”, spiega Paolo Cappabianca, presidente della Sinch e direttore di Neurochirurgia presso l’Università Federico II di Napoli. “Attualmente i soci sono circa 600, ma abbiamo fatto un grande investimento sui giovani. Per formare bene un neurochirurgo ci vogliono 20 anni”, prosegue Cappabianca. “Ora abbiamo oltre 250 specializzandi in neurochirurgia che nei prossimi anni saranno pronti a dare il meglio così come accade negli Usa dove ad appena 30-35 anni arrivano già all’apice della carriera”.  Per rafforzare l’innovazione in questo campo, Humanitas già da due anni ha affiancato al corso di Laurea tradizionale in Medicina (Hunimed) un nuovo corso di Laurea pionieristico. “E’ un corso di Medicina-Ingegneria (Medtech) realizzato in collaborazione con il Politecnico di Milano che sta riscuotendo uno straordinario consenso. La tecnologia è la migliore collega per il neurochirurgo”, spiega Fornari. E le ‘quote rosa’? “Sempre più donne accedono in Italia alle specialità chirurgiche fino ad essere diventate maggioranza rispetto agli uomini. Ce ne sono ormai tantissime nelle Facoltà di Medicina e nelle Scuole di Specialità in Neurochirurgia. I test di accesso a medicina ed alle varie Scuole di Specialità hanno premiato il merito delle donne”, conclude Fornari.



www.repubblica.it 2021-10-13 10:03:34

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