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Dipendenza da alcol, come aiutare un amico a smettere di bere

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In Gran Bretagna la Macmillan Cancer Support, un’organizzazione che fornisce supporto fisico, finanziario ed emotivo ai malati oncologici, ha appena lanciato una campagna di raccolta fondi dal titolo Sober October (ottobre sobrio, in italiano). L’iniziativa incoraggia le persone a smettere di bere alcolici o a ridurre il consumo di alcol per un mese dando consigli pratici ai bevitori che decidono di aderirvi. Che chi si occupa di cancro si occupi anche di alcol non è un caso visto che ci sono 200 patologie acute e croniche alcol correlate e 12 tipi di tumore: dall’epatocarcinoma al cancro del colon retto a quello della mammella. Se a questi dati aggiungiamo che “sono più di 8 milioni gli italiani bevitori a rischio – quelli che superano le dosi raccomandate: un bicchiere di bevanda alcolica al giorno per le donne e due per gli uomini – e circa 700mila quelli in zona di danno che hanno cioè necessità di un intervento di natura clinica e che parliamo di stime al ribasso”, come dice Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Iss, è probabile che qualcuno che alza troppo spesso il gomito lo si conosca anche noi. Magari è un nostro amico, magari rischia. E forse possiamo aiutarlo a evitare di finire dentro a una dipendenza vera e propria, o che vada incontro a brutte avventure cliniche.

Ci vorrebbe un amico

“Gli amici possono fare tanto, spesso sono proprio loro a rivolgersi ai centri dedicati per capire come sostenere le persone a cui tengono e che sono a rischio o in zona di danno – dice Aniello Baselice, medico, specialista in psicodiagnosi e psicoterapia, esperto in medicina delle dipendenze, e membro del direttivo nazionale della SIA, Società Italiana Alcologia – Gli amici sanno ascoltare con empatia, non giudicano, fanno riflettere. Possono essere più efficaci dei familiari, spesso troppo coinvolti, delusi, sofferenti o arrabbiati”.

Primo: osservare

Ma quando è il momento giusto per intervenire, per far riflettere il nostro amico? “Il rapporto con l’alcol è un rapporto personalizzato, ognuno ha il suo, però va detto che nei Sert, i servizi per le tossicodipendenze, spesso arrivano persone che hanno già superato la fase di rischio, quando ci sono già problemi comportamentali relazionali professionali, e fisici.  Questo per dire che è importante riconoscere il problema prima”, riprende Baselice. Ma non è sempre semplice capire quando il problema c’è: l’alcol da millenni è un lubrificante sociale, facilita le relazioni, è parte della nostra cultura e storia. Qual è il limite oltre il quale ha senso intervenire? “Certo bisogna avere chiari i parametri – spiega l’esperto – Se per il nostro amico ogni occasione è buona per bere, se la quantità di alcol supera sempre quella raccomandata (un bicchiere di bevanda alcolica al giorno per le donne e due per gli uomini, ndr), se a cena beve mezzo litro, un litro, e se beve lontano dai pasti, bisogna fare qualcosa: se tutto questo succede una tantum è una bravata, se è frequente è un problema”.

Il momento giusto e le parole giuste

Ogni argomento che coinvolge le debolezze nostre e altrui non può essere affrontato ovunque e sempre: per parlare di alcol c’è bisogno di scegliere il momento giusto “che non è quello della sbornia, o dell’immediato dopo-sbornia – aggiunge Baselice – così facendo si generano tensioni e difficilmente si è efficaci: meglio posticipare uno o più giorni, quando chi ha bevuto è in fase di riflessione. Perché chi beve molto, dopo, ci pensa. Trovato il momento giusto, non giudicare. L’atteggiamento deve essere empatico e partecipato. Si può dire ‘Ti osservo da tempo, ho visto come ti comporti, pensaci, sono preoccupato, non ti giudico ma riflettiamo insieme’. Per creare un contatto serve stimolare riflessioni che promuovano la consapevolezza dell’agire nel bevitore. Servono domande più che giudizi. Domande anche molto semplici: ‘Perché hai bisogno di bere tanto per essere allegro?  Non riesci senza carburante? Ti ricordi cosa hai fatto ieri?’  Può succedere che la persona neghi o minimizzi”.

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La paura di offendere

Succede anche che si temporeggi prima di affrontare l’argomento con un amico che ci preoccupa: si ha pudore, sì spera di sbagliarsi, si teme di essere fraintesi, forse a volte anche di offendere, magari inutilmente. “Troppo spesso le persone con problemi di alcol accedono a un percorso di recupero quando i buoi sono giù scappati dalla stalla, quando magari non c’è ancora dipendenza fisica, ma ci sono conflitti, assenteismo sul lavoro, infortuni, risse, intossicazioni e salute compromessa – ribadisce Baselice – . Muovendosi prima si potrebbe evitare il passaggio dal rischio basso al rischio avanzato.

Purtroppo l’informazione sui rischi associati all’alcol non è diffusa nella popolazione generale è neanche tra i medici di famiglia, o tra gli operatori sociosanitari.  Se la consapevolezza fosse più diffusa, probabilmente anche gli amici potrebbero intervenire in modo delicato prima che si arrivi al punto critico. Per capire se una persona ha un rapporto problematico con le bevande alcoliche non ci vuole necessariamente il medico alcologo. Non è necessario un camice e una scrivania, bastano 3-4 domande giuste”.

Le domande da fare

Ci sono due test, entrambi validati dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, per l’identificazione rapida del rischio: il CAGE test  e l’AUDIT test.  Nella loro forma breve consistono di 4 e 3 quesiti rispettivamente. Non sono test pensati per essere utilizzati dagli amici, naturalmente, ma da personale dedicato. Però rendono l’idea. Le 4 domande del CAGE, per esempio, sono semplicissime: Hai mai pensato recentemente di dover bere meno alcol? Ti sei sentito in colpa per il tuo bere? Hai mai bevuto alcolici al risveglio? Ti sei mai irritato per osservazioni inerenti al tuo modo di bere? “E già un paio di risposte affermative possono far riflettere”, dice Baselice.

I centri

Se siamo stati efficaci e fortunati il nostro amico potrebbe aver deciso di rivolgersi a un centro per affrontare il suo problema o per evitare di finirci dentro.  A questo proposito c’è il Telefono Verde Alcol dell’Iss, Istituto superiore della sanità, 800 632000, che attraverso interventi di counselling telefonico facilita l’incontro tra la domanda dei cittadini e l’offerta dei servizi sul territorio. “Che sono diversi: ci sono i servizi pubblici di alcologia e i Sert che hanno spesso ambulatori dedicati all’alcol – spiega l’esperto –  E c’è tanto privato sociale. Ci sono reti a livello nazionale come gli alcolisti anonimi. Ci sono associazioni senza scopo di lucro che hanno centri di accoglienza e programmi d’intervento o per persone o famiglie. Ci sono anche gruppi si autoaiuto. L’offerta non manca”.

Mai bere in presenza di chi ha smesso

I compagni di bevuta di un ex bevitore spariscono molto rapidamente, chi decide di smettere di abusare con l’alcol tende ad autoemarginarsi. E qui ancora una volta un amico può giocare un ruolo essenziale, di supporto sociale. “Un amico deve essere presente, proporre di uscire, di fare cose insieme, evitando di consumare alcolici in presenza di chi ha scelto di non bere: è una regola che vale per chiunque entri in un percorso di trattamento. La cena deve essere senz’alcol, l’aperitivo  analcolico – L’amico continua a esserci anche nei momenti di svago, ma il suo bicchiere di vino se lo fa in un’altra occasione”, conclude Baselice.



www.repubblica.it 2021-10-23 05:11:00

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