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Scompenso cardiaco, cambia la gestione del paziente

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Un cuore debole, “rigido”, che non riesce a contrarsi come dovrebbe. È il cuore delle persone con scompenso cardiaco, una condizione che desta particolare preoccupazione per la sua sempre maggiore diffusione e le sue conseguenze sulla qualità di vita. Il numero di persone con insufficienza cardiaca è infatti in costante crescita in conseguenza dell’aumento dell’età media della popolazione: sopra i 70 anni lo scompenso ha un’incidenza che supera il 5% ed è la causa più frequente di ospedalizzazione. Il bisogno di strategie di gestione della malattia sempre più efficaci e tempestive è quindi molto sentito, nella comunità scientifica e fra i pazienti.

Per rispondere a questa necessità, in occasione del Congresso Europeo di Cardiologia sono state presentate le “Linee guida sull’insufficienza cardiaca 2021” frutto della revisione delle migliori evidenze di letteratura scientifica che aggiornano quelle del 2016. Numerose le novità, che disegnano un percorso di presa in carico dei pazienti più tempestivo ed efficace. Le principali novità riguardano la classificazione della malattia, che aiuta a individuare con precisione le necessità diagnostiche e terapeutiche di ogni particolare manifestazione, e la terapia farmacologica.

Le nuove linee guida introducono infatti l’utilizzo di farmaci originariamente disegnati per la cura del diabete, che negli ultimi anni hanno dimostrato un’azione efficace anche contro lo scompenso cardiaco: alcuni inibitori di SGLT2 sono oggi considerati farmaci salvavita fondamentali per lo scompenso cardiaco da iniziare nei pazienti a ridotta frazione di eiezione alla prima opportunità. In particolare, dapagliflozin è stato introdotto sulla scorta delle evidenze scientifiche della sua efficacia.

 

Dal diabete al cuore

Dapagliflozin è un farmaco innovativo che agisce sul trasporto renale di sodio e di glucosio. Originariamente disegnato e testato per il trattamento del diabete, ha dimostrato non solo di ridurre la glicemia ma anche le gravi complicanze renali e cardiache a esso associate. Da qui l’idea di provarlo come medicinale per la malattia renale cronica e per lo scompenso. In questo ultimo caso i risultati sono stati straordinari, con una riduzione significativa del rischio sia di morte da causa cardiovascolare sia di peggioramento degli episodi di scompenso, inclusa l’ospedalizzazione. Lo studio di fase III DAPA-HF ha dimostrato che dapagliflozin, in aggiunta allo standard di cura, ha ridotto questo rischio del 26% rispetto al placebo: in altre parole l’aggiunta del farmaco è riuscita a evitare o un decesso per cause cardiovascolari o un’ospedalizzazione per scompenso cardiaco o ancora una visita urgente associata alla malattia ogni 21 pazienti trattati.

Risultati che hanno portato al disegno di ulteriori sperimentazioni per provare l’azione di dapagliflozin anche nei pazienti con scompenso a frazione di eiezione preservata e in pazienti senza diabete di tipo 2 che hanno avuto un infarto del miocardio. Quest’ultimo studio è il primo nel suo genere in quanto randomizzato e controllato, basato sui registri e con scopo di estensione di indicazione. In attesa di questi ulteriori risultati, quelli ottenuti fin qui hanno talmente convinto la comunità scientifica da far entrare dapagliflozin nell’armamentario delle opzioni principali contro lo scompenso cardiaco.



www.repubblica.it 2021-10-25 10:23:00

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