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Ex malati di cancro: ecco perché serve il diritto all’oblio

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ANCHE per chi ha avuto il cancro esiste un diritto all’oblio. Affinché, per esempio, l’accesso a finanziamenti – come prestiti, mutui e assicurazioni – o al mondo del lavoro non sia ostacolato dall’essere stati dei pazienti oncologici.

Varcata per l’ultima volta la soglia dell’ospedale, quando per i medici e per la sanità si è a tutti gli effetti degli ex-pazienti, quando non si gode più dell’esenzione del ticket per patologia e quando anche l’invalidità civile torna sotto le soglie che garantiscono una qualche forma di sostegno, c’è ancora tutto un mondo per cui si resta comunque “malati”. È una questione complessa su cui si ragiona da anni, anche perché dall’altra parte ci sono enti privati, non pubblici, con i loro diritti ed interessi.

Verso una legge europea

“La Francia è stato il primo paese, nel 2019, a dotarsi di una legge che garantisce il diritto degli ex pazienti all’oblio e, grazie all’azione dei pazienti, altre 4 nazioni hanno seguito l’esempio: Lussemburgo, Belgio, Olanda e, di recente, il Portogallo”, dice a Salute Seno Antonella Cardone, direttrice della European Cancer Patient Coalition (ECPC). Cosa prevede la legge? “Dopo 10 anni dalla diagnosi per pazienti adulti, e dopo 5 per i pazienti pediatrici, si ha il diritto a non essere più considerati come malati. Ci sono poi casi specifici di alcuni tumori per cui questi tempi si riducono anche a un anno”, spiega Cardone, che è intervenuta al convegno online “Diritto all’oblio” organizzato dalla Rete Oncologica Pazienti Italia (ROPI) (è possibile rivedere l’evento sul canale YouTube dell’associazione). Insieme, le due associazioni hanno in programma una serie di iniziative per sensibilizzare le istituzioni, affinché l’Italia sia il prossimo paese a dotarsi di questa legge all’interno di un quadro europeo ben definito, in modo da evitare disparità.

“La sopravvivenza – continua l’esperta – è oggi elevata per molti tumori, e in particolare lo è per il tumore al seno. Tante donne sono ritenute guarite, eppure non possono attingere a crediti, avere fidi bancari o fare un’assicurazione sulla vita. Questa legge imporrebbe, invece, che dopo un tot di anni nessuno possa chiedere loro informazioni sul passato di paziente oncologico e negare per questo dei crediti. Speriamo che le istituzioni rispondano a questa call to action per lavorare insieme a un disegno di legge. Abbiamo già un modello valido, approvato negli altri 5 paesi”. In Europa, sia la Europe’s Beating Cancer Plan sia l’Eu Mission Cancer hanno cominciato a lavorare sulla qualità di vita delle persone che sopravvivono al cancro ed entrambe fanno riferimento nei loro programmi al diritto all’oblio. “Noi vogliamo creare un ponte con l’Europa”, dice la presidente di Ropi Stefania Gori: “Bisogna tenere conto che il 35% di chi vive dopo la diagnosi di cancro ha meno di 65 anni, quindi nel pieno della vita attiva. Da un sondaggio che abbiamo diffuso tra alcuni pazienti, emerge che uno su 4 ha avuto difficoltà ad accedere a mutui bancari. Questo per dare un’idea del problema che noi tutti sottovalutiamo: si tratta di un argomento vastissimo, che va dal diritto ad avere una vita lavorativa senza discriminazioni a quello di adottare dei bambini”.

Storie di ordinaria contraddizione

“Finite le cure ho provato a chiedere un mutuo ipotecario a una banca per avere liquidità, ma l’assicurazione non ha dato il nulla osta”, ci racconta Rachele, 48 anni, di Nuoro, che ha avuto un tumore al seno nel 2015. “C’è una contraddizione: lo Stato per molti aspetti ci reputa guarite, ma per la società non lo siamo. Comprendo i motivi dell’assicurazione che ha negato il via libera, ma allo stesso tempo mi chiedo cosa la medicina stabilisca veramente per noi ex-pazienti. Non ho più l’esenzione del ticket, i miei medici mi dicono che sto bene, sappiamo che la mortalità per tumore al seno si è ridotta, che si sono fatti tanti passi avanti. Ma quali statistiche valgono quando cerchiamo di tornare a vivere come tutti gli altri?”
 

“Sono stata una paziente oncologica fino al 2015, con un tumore alla tiroide e due al seno”, racconta Antonella, 61 anni, bibliotecaria a Chieti, dopo essersi trasferita da L’Aquila a causa del terremoto del 2009: “Proprio poco tempo fa sono stata contattata da un signore di un’agenzia assicurativa, appena ho detto ‘guardi, sono paziente oncologica’ mi ha risposto subito ‘mi scusi se l’ho disturbata’, ed ha attaccato il telefono. In un mondo ideale, si dovrebbe poter dire che sono stata malata e regolamentare un termine dall’ultima terapia dopo il quale si ha il diritto all’oblio”.

“Il tumore al seno l’ho avuto nel 2008 e ho fatto per 11 anni la terapia ormonale, perché era piccolo ma aggressivo”, ci dice Sara (nome di fantasia), 48 anni. “Poi ho avuto un secondo tumore al rene, piccolissimo, per il quale ho fatto l’intervento chirurgico e nessuna cura. Un anno dopo per la mia Regione, l’Emilia Romagna, non ero più una paziente oncologica. Lo scotto più grande l’ho pagato sul lavoro: mi occupo di risorse umane per una azienda internazionale: sono stati sempre tutti molto gentili con me, ma le possibilità di carriera non ci sono più state. Siamo ancora lontani da un sistema che riesca a mettere a frutto quello che hai appreso in un percorso di malattia. Mi reputo fortunata, ma se avessi voluto crescere all’interno dell’azienda non ne avrei avuto la possibilità”.

“Ho chiesto un mutuo dopo tre anni che mi ero ammalata”, dice Giorgia (nome di fantasia): lavoravo per una banca e conoscevo bene quel mondo. Il mutuo l’ho avuto, ma non ho fatto la polizza sulla vita. Sapevo che sarebbe stato impossibile”.

Che vuol dire guarigione?

In Italia sono oltre 3 milioni e 600mila le persone che hanno alle spalle una diagnosi di cancro (più di 830 mila con tumore al seno: il 29% da meno di 5 anni; il 20% tra 5 e 10 anni; il 18% tra 10 e 15 anni; l’11% tra 15 e 20 anni anni; il 17% da oltre 20 anni) e si stima che circa un milione possa essere considerato “guarito”. Guarigione è un termine che va sempre usato con molta cautela in oncologia e che ha, in realtà, più accezioni diverse. In epidemiologia, indica gli ex-pazienti che hanno la stessa aspettativa di vita di chi, a parità di età e genere, non ha mai avuto il cancro. Poiché i tumori sono molto diversi gli uni dagli altri, anche il numero di anni dalla diagnosi per decretare la guarigione varia da tumore a tumore. Al di fuori del mondo della statistica medica, però, quando si parla di welfare e di diritti, allora la parola “guarigione” viene usata con un significato diverso: finite le cure e i controlli, si viene considerate “fuori dalla malattia”. Nel mondo anglosassone si usa il termine survivor. Discutere su cosa si intenda per guarigione e sul rischio individuale che il tumore ritorni non è di poco conto, perché è proprio su questo terreno che si gioca la partita dei diritti.
 

Il tavolo aperto con le assicurazioni

“Il diritto all’oblio è un filone di un ampio discorso su cui stiamo lavorando da molti anni”, dice Elisabetta Iannelli, paziente oncologica e Segretario Generale della Federazioni della associazioni di volontariato in oncologia (Favo), che ha dedicato all’argomento un capitolo del suo ultimo rapporto annuale: “C’è stato un lungo processo di approfondimento con compagnie assicurative e di ri-assicurazione operanti a livello internazionale, per capire come dare delle indicazioni univoche e condivise. Abbiamo fatto una serie di incontri con Ania, l’Agenzia nazionale per le imprese assicuratrici, ma ancora non siamo arrivati a una soluzione”. Ci sono tante strade da percorrere: anche all’interno di Alleanza contro il Cancro si sta portando avanti il tema della survival care: dal passaporto del guarito al diritto all’oblio. “A mio avviso – riprende Iannelli – sarà indispensabile una valutazione personalizzata e rivedibile annualmente, sulla base dello stato della scienza, delle polizze assicurative, perché il rischio di recidive diminuisce costantemente. Questo presuppone un confronto continuo tra gli statistici attuariali delle assicurazioni e gli esperti dei registri tumori”.

Se il welfare aziendale conviene a tutti

Ci sono però dei segnali positivi che ci dicono che qualcosa, almeno nel mondo del lavoro, sta forse cambiando: sembra che le aziende stiano diventando più sensibili ai temi dell’inclusione e della prevenzione oncologica, nell’ottica di poter avere dei ritorni nel medio-lungo periodo. “Abbiamo da poco concluso una modellizzazione dei costi che un’azienda sostiene per le malattie oncologiche e dei risparmi che si può attendere sulla base al numero di dipendenti che fanno prevenzione attiva, che riguarda anche chi ha già avuto un tumore in passato”, dice Luigia Tauro, Founder & CEO di KnowAndBe.live. Lei ha affrontato il tumore al seno e non è un caso se la sua start up si occupa di promozione della salute sui luoghi di lavoro. Lo fa in modo innovativo, attraverso strumenti digitali, usando dati e tecniche di advance analytics, e aiutando le aziende a massimizzare i ritorni delle iniziative sulla salute e sul benessere. Lo studio è stato condotto insieme alla società di consulenza Bain & Company e mostra che, portando 7 dipendenti su 10 a fare prevenzione e diagnosi precoce, si potrebbe risparmiare fino al 20% dei costi sostenuti annualmente per malattie oncologiche del personale. “All’aumentare del numero di dipendenti sensibilizzati e che svolgono prevenzione attiva contro il cancro, diminuisce fino al 16% il numero di persone che si ammalano e anche il costo medio sostenuto dall’azienda si riduce sensibilmente, con un risparmio per dipendente che nelle aziende sin qui valutate supera i 600 euro”, conclude Tauro: “Uno dei miei obiettivi per il prossimo futuro è creare un osservatorio generale del mondo del lavoro, applicando il modello di studio in ciascun settore”.



www.repubblica.it 2021-11-12 11:26:52

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