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Farmaci made in Italy per risolvere la carenza di principi attivi

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Non solo alluminio, rame, acciaio, zinco e semiconduttori. Tra le materie prime che scarseggiano ci sono anche i principi attivi e le materie prime farmaceutiche. La pandemia di Covid-19 ha fatto emergere la dipendenza dalle importazioni in un settore vitale e strategico quale quello farmaceutico. Per i medicinali utilizzati nell’Unione Europea, infatti, sappiamo che circa il 40% proviene da paesi esteri, mentre per i principi attivi si stima che più della metà sia prodotta in Cina e India. Un problema che riguarda tutti molto da vicino perché la carenza di materie prime in questo settore rischia di lasciare senza farmaci i pazienti in cura. Il tema è stato analizzato dall’edizione 2021 dell’Osservatorio sul sistema dei farmaci generici, realizzato dalla Società di studi economici Nomisma per Egualia (già Assogenerici) e presentato oggi a Roma.  

L’Ocse ha migliorato le stime sul Pil italiano atteso per il 2021: per l’anno in corso la crescita è ora prevista al 5,9%, ma sulle più rosee prospettive di crescita pesa come un macigno la carenza di materie prime e i colli di bottiglia nelle catene del valore, che coinvolgono tutti i comparti produttivi, incluso quello farmaceutico. Durante le fasi più intense della pandemia la domanda di alcune tipologie di farmaci, e quindi di principi attivi, è volata verso l’alto con incrementi anche del 700%. Questo straordinario picco di domanda è stato fronteggiato in una difficile situazione organizzativa della produzione, interna ed esterna. Ma ora bisogna fare i conti con la scarsità delle materie prime e con la debolezza della catena di valore intervenendo in maniera incisiva prima che sia troppo tardi.

Il controllo dei paesi asiatici sulle materie prime

Sotto la lente del Rapporto Nomisma, gli esiti delle delocalizzazioni finora percepite come un vantaggio sia in Italia che in Europa: dopo essersi impoverita per decenni delle lavorazioni primarie a basso valore aggiunto, lasciate ai Paesi emergenti, l’Unione Europea è costretta ora a correre ai ripari. “Il controllo delle nuove materie prime e delle produzioni primarie da parte dei Paesi asiatici è diventata ormai un’arma di competizione letale”  ha spiegato Lucio Poma, chief economist di Nomisma e coordinatore scientifico dello studio. “Per questo uno degli obiettivi primari della nuova Pharmaceutical Strategy europea punta a diversificare le catene di produzione e di approvvigionamento, promuovendo gli investimenti produttivi all’interno dell’Unione”.

Moltiplicare le fonti di approvvigionamento

Per individuare delle soluzioni a queste problematiche, Nomisma ha effettuato delle interviste ad aziende con interessi e organizzazioni differenti: imprese di sola produzione, imprese distributrici e con business misto; alcune di proprietà italiana, altre multinazionali con sede in Europa, Stati Uniti, India e Israele, ma con siti produttivi o commerciali in Italia. Una delle soluzioni a breve termine per superare il problema della carenza di principi attivi e materie prime farmaceutiche è quella di moltiplicare le fonti di approvvigionamento anche se si tratta di un’operazione difficile vista la concentrazione geografica dei fornitori nei Paesi asiatici. Sul tappeto anche la proposta di estendere la durata del Temporary Framework sugli aiuti di Stato, concesso per la lotta alla pandemia, ben oltre l’attuale limite. “Se il nostro paese e l’Europa vedono il farmaceutico come settore strategico che durante la pandemia ha avuto un ruolo cruciale – ha dichiarato il direttore generale di Egualia, Michele Uda – allora il Temporary Framework rappresenta soltanto uno strumento temporaneo. Il suo allungamento di 6 mesi aiuta, ma non è questo lo strumento strutturale di cui abbiamo bisogno. Mi auguro che possa esserci un risultato molto concreto con un progetto europeo che dia la possibilità di accedere anche a prestiti a fondo perduto della durata di 3-5 anni che è il tempo necessario minimo per riportare le produzioni in Italia rimuovendo il limite degli aiuti, oggi erogabili solo per i prodotti rilevanti per il Covid”.

L’altra soluzione più radicale e strutturale è, invece, quella di internalizzare alcune fasi della catena fino al raggiungimento di un livello accettabile di autosufficienza strategica. E’ un obiettivo realistico? “I prezzi dei principi attivi variano da pochi euro al chilo a migliaia di volte quel valore. Se il principio attivo ha un valore molto elevato sarà possibile produrlo, in regime di completa concorrenza, anche in Italia; per i principi attivi di scarso valore unitario il discorso è diverso”, ha risposto Poma. “Le dimensioni minime efficienti sono enormi, come importante è l’asimmetria tra Asia e Ue sui costi del lavoro. Senza aiuti di stato all’impresa o meccanismi di controllo della domanda, difficilmente potrà nascere un’impresa di dimensioni tali da poter competere contro i colossi asiatici”.

Una ‘cura da cavallo’

Ma poiché la carenza delle materie prime sarà il nodo fondamentale dei sistemi produttivi mondiali almeno per il prossimo quinquennio non ci si può arrendere di fronte alla complessità delle soluzioni anche perché ogni mese che passa espone le linee produttive del settore farmaceutico ad un rischio crescente di fermo impianti. Ecco perché le imprese del settore intervistate credono che sia necessaria una “cura da cavallo” per incentivare il reshoring per la produzione in Italia di principi attivi farmaceutici scaduti di brevetto: “Per avviare un polo competitivo europeo bisogna agire sia sull’offerta che sulla domanda: servono aiuti diretti alle imprese, anche sotto forma di sovvenzione – in fase d’avvio – per colmare il gap tra costi di produzione e bassi prezzi internazionali – spiega Nomisma – e va orientata parte della domanda pubblica sui farmaci che utilizzano i principi attivi prodotti nell’Ue”.

Riportare in Italia anche le altre fasi della filiera

Ma la produzione è soltanto uno dei tasselli su cui concentrare gli sforzi di internalizzazione. Ne è convinto Giovanni Tria, Consigliere Economico del Ministro dello Sviluppo Economico: “E’ evidente – ha detto intervenendo alla presentazione del Raspporto Nomisma – la forte diminuzione della componente legata ai brevetti e ciò mi fa pensare che si è affievolita la ricerca in Italia. Questo mi preoccupa perché se si fa ricerca, aumentano anche i brevetti e ciò si ripercuote positivamente anche sulla produzione dei farmaci generici e tutto il tema del reshoring cambia prospettiva. Attualmente tutta la filiera del farmaceutico è internazionalizzata, a partire dalla ricerca, ma l’Italia deve essere presente in tutte le fasi per motivi di sicurezza nazionale rivedendo il meccanismo della formazione dei prezzi e spingendo per la realizzazione concreta di un piano europeo perché il tema della carenza e del bisogno di autonomia riguarda tutti i paesi dell’Europa”. 

Il rapporto dell’Osservatorio Nomisma si è focalizzato anche sulle gare pubbliche ospedaliere portando in primo piano anche la questione spinosa della stima dei fabbisogni che vede le Regioni italiane decisamente impreparate. “Il tema del calcolo impreciso dei fabbisogni riguarda in media l’intero ambito nazionale – riferisce lo studio. Nella maggior parte dei casi la stima viene effettuata sulla base dello storico degli anni precedenti, spesso ricostruito a partire da flussi informativi sui consumi poco strutturati a livello di rete”. ll disallineamento rispetto agli ordinativi effettivamente avanzati si traduce in danni elevati per le imprese disincentivando ulteriormente la loro partecipazione alle gare, fenomeno reso già grave dalle gare basate sul solo ribasso di prezzo, che ad alcuni anni dalla scadenza del brevetto conducono ad un progressivo assottigliamento della concorrenza (il numero di imprese che partecipano si riduce drasticamente così come aumentano i lotti andati deserti).

Un algoritmo nazionale di previsione del fabbisogno

Come risolvere questa questione? Varie le proposte arrivate dalle interviste con le imprese coinvolte nel Rapporto Nomisma tra cui la creazione di un algoritmo previsionale a livello nazionale, utilizzabile e personalizzabile dalle diverse regioni, in grado di sistematizzare i dati di consumo con i profili epidemiologici della popolazione. “Sarebbe utile – aggiunge Poma – anche valutare congiuntamente fattori di prezzo assieme ad elementi qualitativi che aggiungano valore, misurabile, all’offerta in base alle categorie di farmaci come la disponibilità di dosaggi diversi o eventuali device per la somministrazione”. Altra possibile soluzione è quella di prevedere l’obbligatorietà di riaprire il confronto competitivo tra le imprese all’ingresso del primo equivalente sul mercato (come accade sui biosimilari), invece di contrattare unicamente con l’originator allineamenti di prezzo ai livelli più bassi vigenti. E poi due questioni centrali: limitare il carico di documenti necessario per partecipare alla gara e fissare un tetto minimo oltre il quale l’ente appaltante non può scendere nella richiesta di ordinativo effettivo all’impresa.



www.repubblica.it 2021-11-16 14:28:43

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