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Terapie cellulari contro il cancro: il sogno arriva in ospedale

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Erano il futuro più futuro. L’orizzonte della speranza. Il nuovo che avanza, sì, ma lentamente, si pensava. E invece ecco l’accelerazione: nel giro di mesi le cosiddette terapie cellulari sono passate dall’essere procedure complesse adatte a pochissimi malati di malattie di nicchia, a essere uno dei main stream della guerra al cancro, e non solo, su cui Big Pharma punta già da oggi. Terapie supercomplesse, che prevedono di prelevare un certo numero di cellule del sistema immunitario, i linfociti T, di un malato, di modificarle geneticamente di modo da renderle in grado di combattere il tumore e il susseguente rinfusione nel paziente. Una tecnica che si chiama CarT e viaggia al fianco di altre tecniche di altre terapie cellulari contro malattie rare, cose di cui si sono avute negli ultimi anni notizie relative a pochi curati, persone in stadi avanzati di malattie gravi. In fondo, prove sperimentali del mondo nuovo: prima che diventi realtà negli ospedali passeranno decenni, si diceva., E invece, una Big come Bristol Myers Squibb le indica come il fronte caldo dei prossimissimi anni alla platea degli investitori chiamata decidere sulla bontà dell’azienda, apre un impianto ad hoc a Leiden, in Olanda, ha già due trattamenti approvati dalla Fda, contro il linfoma, e contro il mieloma multiplo. Cosa è successo? Le terapie cellulari sono davvero diventate l’oggi? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Caforio, presidente e Ceo di BMS a Princenton.

 

Dottor Caforio. Avete indicato le terapie cellulari come un fronte di sviluppo per la vostra azienda, pronto a sostiture sul mercato i farmaci con brevetto in scadenza. Eppure, si tratta di tecniche oggi destinate a pochi pazienti molto gravi. E molti penano che resteranno a lungo tali. 

“E’ vero: ci sono stati per molto tempo degli scettici sulle terapie cellulari e sul ruolo che un’azienda come la nostra potesse avere in questo settore. Ma Bms è un’azienda biofarmaceutica, le biotecnologie sono il cuore del nostro lavoro. Da un lato abbiamo le risorse, le dimensioni e le capacità di un grande leader globale. Dall’altro siamo concentrati sulle innovazioni rivoluzionarie, su farmaci che rappresentano una svolta nelle terapie. E la terapia cellulare sta arrivando molto rapidamente alla pratica clinica. Così può accadere che noi siamo i primi ad avere due prodotti già registrati dalla FDA quest’anno. Sia nel caso del mieloma multiplo che del linfoma riscontriamo efficacia in pazienti che, come spesso accade in oncologia, hanno già utilizzato varie linee di trattamento e che quindi sono in una fase avanzata della malattia nella quale non ci sono alternative
Ma, in una ricerca conclusa di recente, ad esempio, abbiamo visto che la terapia cellulare è più efficace contro il linfoma a grandi cellule B di quanto non lo siano i trattamenti standard (chemioterapia + autotrapianto) anche in fasi meno avanzate della malattia. Con ciò stiamo arrivando a popolazioni più ampie, di malati meno gravi. Non solo, visti questi risultati stiamo già lavorando a una nuova generazione di terapie cellulari, che possa utilizzare due tecniche e vada a colpire due target nello stesso trattamento per avere un’efficacia ancora superiore. Insomma, è solo l’inizio, ma proprio in una fase come questa serve la capacità di investimento di un’azienda big player. Negli ultimi anni la terapia cellulare è stata soprattutto importante per piccole biotech che hanno sperimentato le tecniche e visto quali potessero essere promettenti. Oggi è il tempo dello sviluppo clinico, di verificarne l’efficacia e portarle al letto del paziente”.

 

Due terapie approvate dalla Fda negli Usa, che tempi ci sono per l’Europa e per l’Italia?

“Tempi brevi, ci auguriamo. Uno dei nostri farmaci ha ricevuto dall’Agenzia europea un’autorizzazione al commercio per malati di mieloma multiplo che siano già stati trattati con tre precedenti terapie che purtroppo non hanno arrestato l’avanzata del tumore. E l’altro, è allo studio dell’Agenzia”.

Le terapie cellulari cambieranno la storia naturale dei tumori?

“Il potenziale c’è. E ci impone di lavorare in due direzioni insieme. La prima è quella di portare questi trattamenti in una fase più precoce della malattia e per farlo dobbiamo, innanzitutto, minimizzare quelli che ancora sono i molti effetti secondari che esse comportano; ci stiamo lavorando e di certo le nuove generazioni di prodotti saranno tollerate molto meglio. Quando si arriverà a poter trattare pazienti meno gravi, allora dovremo avere in mano delle combinazioni di terapie che possano aggredire la malattia in maniera più vigorosa puntando a percentuali di sopravvivenza più alte. In secondo luogo, dobbiamo, poi, sviluppare terapie cellulari che siano più facili e rapide da produrre. Ora la faccenda è molto complessa, ci vogliono settimane di lavoro sulle cellule del paziente. Se abbiamo successo su entrambi i fronti, le terapie cellulari saranno in futuro altrettanto importanti di quanto sia stata negli ultimi 10 anni l’immunoncologia”.

 

L’oncologia è ancora una volta il terreno delle grandi innovazioni, come lo è stata negli ultimi 50 anni. Perché? Dobbiamo aspettarci terapie rivoluzionarie anche per altre malattie che hanno sulle persone un impatto simile, se non maggiore, del cancro?

“Noi ci siamo enormemente concentrati sulle terapie contro i tumori. Ma ora, grazie agli sviluppi della genetica, sappiamo di poter allargare lo sguardo. Pensiamo a un’area terapeutica come il cardiovascolare: fino ad oggi è stata considerata meno interessante, e non certo per il numero di persone colpite ma perché era vista con l’appproccio della medicina di base. La genetica ha cambiato le carte in tavola; ci ha permesso di identificare delle cardiomiopatie geneticamente determinate trattabili con farmaci specifici per piccole popolazioni di pazienti che hanno delle caratteristiche specifiche. E’ un’altra rivoluzione grazie alla quale arriveremo a sviluppare terapie per patologie più mirate, come lo scompenso ad esempio, ma anche altre, per le quali non c’erano risposte efficaci. E un quadro di questo genere si apre anche per aree come l’immunologia, grazie ai grandi progressi fatti nel capire come funziona il sistema immunitario, e la neurologia, grazie alla comprensione delle cause di alcune malattie degenerative che ha aperto la strada allo studio di terapie efficaci anche contro patologie fino a oggi sostanzialmente prive di risposta come l’Alzheimer o il Parkinson”.

E covid?

“Bms non ha esperienza nella ricerca di vaccini. Perciò abbiamo scelto un approccio mirato. E stiamo lavorando, insieme alla Rockfeller University di New York, alla messa a punto di un anticorpo che potrebbe essere utilizzato nelle persone a rischio per prevenire la malattia. Ma siamo ancora in una fase precoce di sviluppo. E staremo a vedere”

Cosa vede per il futuro?

“Mi aspetto molto da un settore completamente nuovo, con enormi potenzialità per le grandi malattie. E’ quello che indaga l’omeostasi proteica come un modo del tutto diverso di attaccare un target e sviluppare un farmaco. Tenetelo d’occhio. Ci darà grandi soddisfazioni”.

Festival di Salute, Giovanni Caforio: le terapie del nuovo millennio




www.repubblica.it 2021-11-22 13:39:53

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