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Ricerca clinica: il 90% sostenuto dalle aziende. Come ripensare il rapporto pubblico-…

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LA CAPACITÀ di sviluppare nuovi farmaci efficaci in tempi rapidi è fondamentale per rispondere alle esigenze di salute della popolazione. E la strada che porta a questo obbiettivo passa necessariamente per una proficua collaborazione pubblico-privato: ce lo ha ricordato l’attuale pandemia di Covid 19, con l’impulso fondamentale dato allo sviluppo dei nuovi vaccini a mRna arrivato dal programma warp speed dell’amministrazione americana, e i quasi 20 miliardi di dollari che ha riversato sulle aziende attive nello sviluppo dei vaccini anti Covid. Servono finanziamenti quindi, certamente, ma anche regole certe, trasparenza, e capacità di valorizzare le scoperte della ricerca pubblica, per renderla sostenibile e trasformarla in terapie effettivamente disponibili per i malati. È di questo che si è parlato oggi a Roma in occasione della presentazione della seconda edizione del Libro Bianco “La ricerca biomedica e il rapporto pubblico-privato”, realizzato da Fondazione Fadoi e Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia e promosso da Fondazione Roche.

Il 90% della ricerca clinica sostenuto dal privato

In Italia – concordano gli esperti presenti all’evento – c’è ancora molto da fare per promuovere la collaborazione pubblico-privato nella ricerca biomedica, e massimizzarne le opportunità in termini economici e di salute per i cittadini. Innanzitutto, sul fronte dei finanziamenti. Il nostro paese dedica l’1,4% del Pil alla ricerca, rispetto a una media Ue del 2,7%, e un’indicazione internazionale che fissa al 3% il livello minimo ottimale. Il 90% della ricerca clinica, inoltre, è sostenuto ancora da aziende private, mentre sappiamo che le sperimentazioni cliniche rappresentano un’opportunità di risparmio per gli ospedali pubblici: solamente dai farmaci messi a disposizione gratuitamente dai produttori nell’ambito dei trial si ottengono 2,2 euro di risparmio per ogni euro pagato dallo sponsor.

Riformulare la collaborazione pubblico-privato

“La gestione dell’emergenza ha evidenziato l’importanza di una visione strategica in tema di salute pubblica, dove la collaborazione pubblico-privato può fare la differenza e rendere il nostro Paese più competitivo”, osserva il Direttore Scientifico di Fadoi, Gualberto Gussoni, che insieme a Sergio Scaccabarozzi della Direzione Scientifica della Fondazione Irccs Policlinico S. Matteo di Pavia ha curato la realizzazione del Libro Bianco. “Il rapporto pubblico-privato – aggiunge Gussoni – non è da intendersi solo a livello finanziario, ma anche come contaminazione culturale e di obiettivi, che nella ricerca biomedica devono trovare una sintesi, perché il fine ultimo della ricerca deve comunque essere per tutti quello della salute dell’individuo e della comunità”.

 

Per riuscirci, bisognerà superare definitivamente gli approcci del passato che hanno prodotto molte delle fragilità sperimentate nell’affrontare la pandemia. Ne è convinto Luca Pani, Professore ordinario di Farmacologia all’Università di Modena e Reggio Emilia, secondo cui “in Italia la ricerca e lo sviluppo clinico di farmaci e vaccini dovrebbero ricevere un importante impulso attraverso l’attuazione di collaborazioni pubblico-privato, che siano basate su una chiara definizione e distinzione di ruoli. L’Italia può, per esempio, contare su una miniera di dati sanitari che necessita di essere valorizzata anche attraverso una collaborazione trasparente tra pubblico e privato, nell’interesse della ricerca e della salute per il Paese”.

Il nuovo regolamento Ue sulle sperimentazioni cliniche

L’occasione perfetta, d’altronde, sta per arrivare. Il prossimo anno dovrebbe entrare infatti in vigore il nuovo regolamento Ue sulla sperimentazione clinica dei medicinali a uso umano, che fisserà regole certe e uniformi sul territorio dell’Unione, riguardo alla ricerca non profit di università e aziende sanitarie pubbliche, alla ricerca profit delle aziende farmaceutiche, e alla ricerca collaborativa. Che permetteranno, ad esempio, la cessione dei dati a fini registrativi e industriali, garantendo la copertura dei costi sostenuti dal Servizio Sanitario Nazionale. Una sfida che potrebbe rappresentare un volano per la ricerca clinica italiana, e di fronte alla quale il nostro Paese deve farsi trovare pronto, accelerando l’emanazione dei decreti attuativi della riforma, ancora assenti, come troppo spesso capita, a pochi mesi dall’entrata in vigore del regolamento.

 

“Il nuovo regolamento europeo pone tutto il mondo della ricerca, dai ricercatori alle Istituzioni competenti e al mondo dell’industria, di fronte a uno scenario completamente rinnovato per il quale è indispensabile rimodulare e modernizzare il sistema ricerca sia a livello europeo sia nei singoli Stati membri”, ricorda Carmine Pinto, Presidente della Federation of Italian Cooperative Oncology Groups e autore di uno dei contributi contenuti nel Libro bianco. “Anche per l’Italia quindi il nuovo Regolamento rappresenta una importante sfida e un’occasione per il rilancio della ricerca, e in questa prospettiva diventa indispensabile procedere con cambiamenti normativi, strutturali e organizzativi. L’opportunità del Regolamento dovrebbe tra l’altro creare le condizioni per superare la dicotomia tra ricerca sponsorizzata da aziende farmaceutiche e ricerca ‘no profit’ – conclude Pinto – muovendosi verso una ricerca il più possibile collaborativa e valorizzando le competenze mediche e scientifiche complessive presenti nel nostro Paese, nell’interesse primario dei pazienti”.



www.repubblica.it 2021-11-23 17:42:19

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