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Leucemia mieloide acuta, quando (ri)fare il test genomico

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LA LEUCEMIA mieloide acuta è un tumore che “muta”. Succede in quasi la metà dei pazienti che hanno un recidiva: la malattia che ricompare dopo la regressione ha una mutazione nel gene FLT3. Questa stessa mutazione è presente solo in un terzo dei casi al momento della prima diagnosi. E’ un’informazione importante dal punto di vista pratico, perché significa che per un ampio gruppo di malati è essenziale, al momento della ricaduta, effettuare un nuovo test genomico per avviarli subito al trattamento con terapie mirate.

 

Tremila persone ogni anno

Questa neoplasia del sangue (LMA) colpisce ogni anno oltre 3.000 persone in Italia e rappresenta il modello per eccellenza della medicina personalizzata. E’ però necessario un cambiamento culturale ed organizzativo. Di questo si è discusso durante un webinar organizzato in seno al Progetto HEMA NET di Isheo (Integrated Solutions of Health Economics and Organizations), realizzato in collaborazione con il Gruppo Neoplasie Ematologiche della Favo (Federazione associazioni di volontariato in oncologia) e con il contributo incondizionato di Astellas Pharma S.p.A.

 

L’obiettivo del progetto è aumentare la consapevolezza sulle possibilità di cura dei pazienti con leucemia mieloide acuta, sull’importanza di realizzare screening mirati e tempestivi per garantire una presa in carico adeguata in chi presenta la mutazione del gene FLT3. Senza dimenticare l’importanza delle cure integrate, del supporto psicologico e dei servizi utili a favorire il mantenimento in cura e il follow-up.

 

Test e re-test

Al centro del dibattito la caratterizzazione a livello molecolare, attraverso test e “retest” genetici, per consentire ai pazienti di accedere alle terapie target, senza dimenticare il supporto psicologico come servizio necessario per affrontare la malattia. “Non tutti i pazienti vengono seguiti nei grandi centri Hub, per questo è importante osservare con attenzione le criticità di accesso e rendere disponibile a tutti e nei momenti giusti le cure appropriate”,  spiega Davide Petruzzelli, Coordinatore F.A.V.O. Gruppo Neoplasie Ematologiche e Presidente della La Lampada di Aladino Onlus: “Inoltre, se vogliamo realmente parlare di terapia personalizzata, è necessaria una presa in carico della persona e non solo della malattia, un nuovo modello che non tenga conto solo della dimensione clinica, ma anche dei bisogni sociali e psicologici”.

 

Il supporto psicologico

Il cammino del paziente oncologico comincia già nel momento pre-diagnostico, quando il medico di famiglia avvia il paziente ad analisi di approfondimento o lo riferisce ad uno specialista: “Il paziente inizia in quel momento a sviluppare stati di ansia e di angoscia, che muteranno durante le diverse fasi del percorso terapeutico, ma che sono sempre ben presenti nella vita del paziente che agisce, reagisce e convive con la malattia a seconda dei propri meccanismi di difesa, stili di coping e struttura di personalità”, spiega Rossella Memoli, psiconcologa presso l’Associazione SANeS: “I compiti dello psicologo sono molteplici: facilitare la comunicazione tra paziente e famiglia, tra paziente e rete sociale, ridefinire lo sviluppo di modelli adattivi del paziente alla malattia, incoraggiare il paziente ad esprimere i suoi vissuti emotivi, le sue emozioni, spesso trattenute”.

 

Per una diagnosi tempestiva

Ci sono altre criticità nel percorso. È infatti importante che la leucemia mieloide acuta venga riconosciuta il prima possibile e che si intervenga tempestivamente con una terapia appropriata: “La classe medica, dal medico di famiglia al personale sanitario nel pronto soccorso, deve essere formata al rapido riconoscimento dell’emergenza ematologica ed oncologica”, afferma Giovanni Martinelli, Direttore Scientifico dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori ‘Dino Amadori’ – IRST IRCCS, Meldola (FC): “Serve quindi un’azione di educazione al riconoscimento della patologia ematologica. Il deficit terapeutico si traduce inevitabilmente in un aggravio del sistema sanitario nel curare il paziente che non viene identificato e trattato adeguatamente”.

La ricerca intanto avanza e rende le cure sempre più personalizzate, grazie anche alle nuove tecnologie. “E’ necessario favorire l’innovazione nell’accesso alle terapie e nelle modalità con cui il paziente deve riceverle – conclude Giuseppe Maduri, AD Astellas Pharma S.p.A – e serve anche una forte partnership pubblico-privato per rispondere alla domanda di salute dei pazienti e, al tempo stesso, alle esigenze della sanità pubblica di disporre delle risorse necessarie a garantire la sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale e regionale”.



www.repubblica.it 2021-11-26 13:48:16

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