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Diabete, la telemedicina ha fatto star meglio i malati

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La tecnologia in un settore della medicina come il diabete – 4 milioni di malati in Italia e un milione circa di non ancora diagnosticati – non solo facilita prescrizioni, controlli e rapporto tra medico e paziente.

Ma la tecnologia in senso lato – nel dettaglio telemonitoraggio, telemedicina, mobile health, con tutto quello che si portano dietro in termini di algoritmi per la diagnosi e la cura e le app di monitoraggio – addirittura ha portato a un miglioramento dei parametri: una riduzione di mezzo punto dell’emoglobina glicata, quel dato che misura la media delle glicemie degli ultimi tre mesi e che per un diabetologo è più significativo della sola glicemia in termini di controllo della malattia.

E quindi non è un caso che alla tecnologia, che nel diabete vuol dire anche misuratori, sensori per la glicemia impiantabili e indossabili o penne da insulina smart, o ancora screening della retinopatia diabetica grazie all’intelligenza artificiale, sia stata dedicata una delle sessioni più affollate del congresso della Sid, la Società italiana di diabetologia, con la collaborazione di Amd (associazione medici diabetologi), tornato in presenza a Riccione.

“La m-health per esempio – ha spiegato Luigi Laviola, ordinario di Medicina Interna all’Università di Bari – consente al paziente di registrare sul suo smartphone e inviare su cloud i dati relativi ad esempio alla glicemia; il telemonitoraggio consente al medico di visualizzare questi dati sul suo computer e di interpretarli; la telemedicina in senso stretto è il collegamento tra questi due attori e utilizza le informazioni fornite dal paziente e le considerazioni fatte dal medico, per gestire al meglio la patologia”.

Una riflessione è d’obbligo: Covid ha accelerato l’utilizzo di tecnologie più o meno sofisticate per evitare di perdere i controlli dei pazienti con diabete, patologia che essendo cronica rende indispensabili controlli costanti con il proprio medico. Adesso però, grazie anche ai fondi messi a disposizione dal Pnrr, bisogna mettere ordine e implementare programmi che in molti casi sono nati solo grazie alla disponibilità dei medici e al loro non volersi perdere i malati.

Di recente Sid, Amd e Sie hanno elaborato un vademecum pratico sulla gestione delle visite diabetologiche da remoto, indicandone le tappe essenziali (calendarizzazione appuntamenti, contatto preliminare, acquisizione ricetta, attività di tele-visita con strumenti e software sicuri, criptati e in grado di garantire la sicurezza dei dati, la refertazione della visita e la certificazione della prestazione).

E tanto ha funzionato questo modello che nelle 8 settimane di lockdown più duro (a marzo) molti centri diabetologici sono riusciti a portare a termine oltre il 90% delle visite prenotate grazie alla telemedicina. Instaurando il paradosso dell’effetto lockdown con alcuni parametri di compenso glico-metabolico addirittura migliorati.

E dunque il futuro potrebbe avere una modalità ibrida di approccio al paziente con visite in presenza e controllo da remoto. Non sarà facile, soprattutto per chi non ha competenze informatiche, ma la strada è quella. “Sono necessari dispositivi nei centri diabetologici e a casa dei pazienti – continua Laviola – e dobbiamo puntare a lavorare sulle competenze informatiche dei pazienti, ma anche dei medici. E lavorare per integrare tutti questi dati”.

Conclusione obbligata, naturalmente. Ma in un paese in cui il 62% dei cittadini non ha mai sentito parlare del fascicolo sanitario elettronico e solo il 12% l’ha utilizzato, ecco, non sembra un traguardo dietro l’angolo.



www.repubblica.it 2021-11-29 13:15:31

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