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Un buon sonno? Ripara anche i nostri neuroni danneggiati

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Perché abbiamo bisogno di dormire? Qual è il meccanismo biologico che innesca la stanchezza, una caratteristica che accomuna tutti gli organismi dotati di sistema nervoso, mosche, meduse e vermi compresi? Una nuova ricerca dell’Università israeliana di Bar Ilan fornisce alcuni tasselli verso la soluzione di uno degli enigmi evolutivi ancora irrisolti.

 

“Dormire è una cosa strana”, dice a Salute il professor Lior Appelbaum, che guida, insieme al dottor David Zada, il team di ricercatori che a novembre ha pubblicato lo studio sulla rivista scientifica Molecular Cell. “Può sembrare controintuitivo rispetto ai meccanismi dell’evoluzione perché significa entrare in una condizione di vulnerabilità: c’è chi ne muore. Un pesciolino si addormenta e viene inghiottito da uno squalo. Eppure, è evidentemente un meccanismo molto importante dal momento che tutti gli animali dormono”.

Lo studio di Appelbaum e Zada per la prima volta fornisce una risposta sul meccanismo che provoca la stanchezza imponendo al corpo di fermarsi. Durante le ore di veglia, all’interno delle cellule nervose (i neuroni) si accumulano innumerevoli danni al DNA, provocati da diversi fattori, tra cui l’attività stessa delle cellule, l’esposizione ai raggi Uv, errori enzimatici. Dopo molte ore di attività, il DNA è paragonabile a un’autostrada piena di buche, che deve essere riparata, spiega Appelbaum.

E qual è il momento migliore, se non la notte, quando c’è meno traffico e movimento? In parole semplici, questo è quello che accade mentre dormiamo: i neuroni sfruttano le ore del sonno per riparare il DNA che si trova nel loro nucleo. Il meccanismo della stanchezza si attiva per spingere l’organismo a interrompere la sua attività, consentendo al processo di “manutenzione” della nostra catena genetica di essere maggiormente efficace.

 

I ricercatori hanno dimostrato la loro tesi attraverso una serie di esperimenti condotti su pesci zebra e in parte anche su roditori. “I pesci hanno caratteristiche molto simili all’uomo e in generale ai vertebrati. Ma il fattore principale è che i pesci zebra, quando sono piccoli, sono trasparenti e questo ci permette di esaminare al microscopio tutti i processi senza dover effettuare nessuna incisione”, ci spiega Appelbaum. In uno degli esperimenti, i ricercatori hanno ingegnerizzato geneticamente i pesci, colorando le proteine responsabili del sistema riparatore all’interno della cellula. In questo modo, hanno potuto verificare che, durante le ore di veglia, le proteine sono sparse in punti diversi all’interno della cellula, mentre durante il sonno si concentrano nelle zone danneggiate.

 

Un altro esperimento riguarda nello specifico la proteina riparatrice PARP1, una delle prime a rispondere ai danni del DNA e identificata come la responsabile dell’effetto stanchezza. “Quando abbiamo aumentato il PARP1 nella cellula, il pesce si addormentava, quando l’abbiamo inibito, rimaneva sveglio, non era consapevole della sua stanchezza e il danno non veniva riparato con assiduità”.

Sulla base di queste scoperte, si può pensare quindi che un giorno sarà possibile controllare la quantità di ore di sonno di cui ognuno di noi ha bisogno? Qui ci troviamo ancora nel regno delle speculazioni, ma l’articolo di Appelbaum pone i presupposti teorici per la possibilità di misurare la quantità di danno che si accumula nel DNA e, di conseguenza, di prevedere le ore di sonno necessarie a ripararlo.

 

La ricerca conferma anche quello che nella nostra vita quotidiana è una convenzione piuttosto assodata, ossia che una media di sei ore consecutive sembra essere un buon compromesso di ore di riposo per l’organismo. Almeno è così anche per i pesci zebra. “I pesci sono molto sensibili alla luce. Negli esperimenti abbiamo ridotto gradualmente le ore di oscurità. Se gliene davamo solo due, per esempio, abbiamo constatato che continuavano a dormire, nonostante la luce, fino a sei ore, che è esattamente il minimo di ore di sonno richiesto anche nell’esercito”, dice Applebaum.

Il PARP1 ha una funzione rilevante anche nelle cure oncologiche. Lo stesso materiale inibitore utilizzato dai ricercatori per diminuire le quantità della proteina riparatrice nei loro esperimenti sui pesci zebra viene infatti impiegato nella chemioterapia (per evitare che la proteina “ripari” la cellula maligna che la cura vuole eliminare). Motivo per cui la chemioterapia provoca grande stanchezza e disturbi del sonno a chi vi è sottoposto. Mentre questo non era il focus della ricerca, applicata solo ai neuroni, il laboratorio di Appelbaum ha dimostrato la connessione tra mancanza di sonno e malattie neurodegenerative come il Parkinson o l’Alzheimer. L’approfondimento della funzione del sonno nel meccanismo di riparazione delle cellule nervose potrebbe fornire una svolta negli studi per una cura di queste malattie. È questa una delle sfide future del team della Bar Ilan University, oltre alla sperimentazione della ricerca in quanti più organismi, dagli invertebrati agli esseri umani.



www.repubblica.it 2021-12-01 10:02:00

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