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Cervello, così potremo mitigare i brutti ricordi

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Rinforzare i ricordi utili o mitigare quelli che fanno male regolando l’intensità delle emozioni che proviamo quando le richiamiamo alla nostra mente. È una strategia sperimentale, per ora. Ma potrebbe aprire nuovi scenari di intervento e quindi offrire nuove opportunità alle persone con dipendenze o affette dal disturbo post traumatico da stress, e anche per migliorare l’apprendimento nei bambini, o la memoria negli anziani. Lo ha spiegato Cristina Alberini, neurobiologa della New York University, ospite all’Auditorium del Maxxi di Roma e relatrice, insieme ad altre sei neuroscienziate di fama mondiale, della terza conferenza del ciclo Emotions, ideata da BrainCircleItalia e dallo European Brain Research Institute (EBRI) e dedicato alla Nobel Rita Levi-Montalcini per valorizzare le donne nella scienza.

Le emozioni fissano i ricordi

“Le emozioni, positive e negative, aiutano a fissare i ricordi della nostra vita, quelli che formano la nostra identità e ci aiutano a prendere decisioni: è un meccanismo messo a punto dall’evoluzione e utile alla nostra sopravvivenza: ci permette di ricordare dove abbiamo trovato risorse utili o anche e dove invece abbiamo incontrato dei pericoli”, ha spiegato la neuroscienziata, una carriera dedicata allo studio delle basi molecolari dell’apprendimento e della memoria.

Un ricordo, quando si è appena formato nel cervello è fragile, è labile. Le emozioni aiutano il consolidamento di quell’esperienza nella memoria a lungo termine. Questo meccanismo è vero per i ricordi belli (concerti, mostre d’arte, per esempio) e anche per quelli brutti: guerre, incidenti, violenze o malattie. Ma c’è anche un secondo momento in cui il ricordo immagazzinato torna ad essere fragile e cioè quando lo richiamiamo alla mente.

Una finestra temporale

“Da esperimenti condotti su topi sottoposti a traumi – ha raccontato Alberini a Roma – abbiamo visto cosa succede nel cervello quando è sottoposto a un eccesso di emozioni negative e cioè che gli animali sviluppano quello che possiamo definire un disturbo da stress quando vivono un secondo evento negativo”.

In pratica (ma le cose sono un po’ più complicate di così), gli animali manifestano i sintomi dello stress post traumatico – e cioè sono timorosi, ansiosi, temono luoghi e contesti mai visti prima, e nei loro cervelli aumentano i recettori degli ormoni dello stress – dopo che un ricordo stressante si è consolidato. Semplificando questo significa che “esiste un intervallo di tempo in cui il ricordo traumatico è ancora fragile, e che abbiamo una finestra temporale per intervenire e modificare la memoria con trattamenti farmacologici o terapie comportamentali”, ha detto Alberini, il cui gruppo di ricerca a New York ha sperimentato con successo su modelli animali farmaci che bloccano i recettori dell’ormone dello stress riuscendo ad attenuare i ricordi negativi.

“Interagendo col meccanismo del consolidamento – ha detto la scienziata – si può agire sui ricordi collegati a psicopatologie. Nei topi, somministrando farmaci che agiscono nell’amigdala (una regione del sistema limbico che gestisce le emozioni, ndr) ha funzionato”.

Alcuni gruppi di ricerca hanno avviato i primi test clinici di trattamenti simili su reduci di guerra, “ottenendo risultati positivi ma ancora limitati”, ha aggiunto Alberini. Una sfida interessante per il futuro sarà studiare questi meccanismi neurologici nei bambini, “ci permetterà non solo di migliorare le strategie educative e formative, ma anche di prevenire lo sviluppo di disturbi neuropsichiatrici come ansia e depressione”, conclude l’esperta.

Donne e stereotipi

‘Emotions’ è un Forum itinerante che si concluderà a maggio e che si articola in otto conferenze: dopo Gerusalemme, Genova e Roma, le prossime tappe saranno Lugano, Milano, Ginevra, Londra e Lisbona (per info e dirette in live streaming www.emotionsbrainforum.org/ ). Le relazioni di ogni incontro saranno sempre e solo tenute da donne che declineranno, ognuna per il suo campo di studio o ricerca, il tema delle emozioni.

“Vogliamo mettere a fuoco l’eccellenza femminile nel campo della scienza, capovolgere lo stereotipo che lega le emozioni a una supposta inferiorità femminile, mentre invece le emozioni sono indispensabili in tutte le capacità cognitive. Le emozioni non sono un handicap femminile, ma al contrario sono necessarie al funzionamento del cervello e anche gli uomini dovrebbero riappropriarsi della loro intelligenza emotiva per affrontare le sfide del Terzo Millennio (…). La scelta del tema vuole essere una piccola provocazione per mettere in discussione lo stereotipo che contrappone la razionalità dell’uomo alla emotività della donna”.  ha detto Viviana Kasam, presidente di BrainCircleItalia.

Arte e scienza non sono mondi a parte

Il titolo della conferenza di Roma è stato ‘La Grande Bellezza – possono le neuroscienze spiegare l’arte?’, a proposito del rapporto tra arte e scienza, Pietro Calissano, co-fondatore con Rita Levi-Montalcini ed ex-presidente di EBRI ha detto che “Rita Levi-Montalcini (…) rappresenta un caso forse unico di simbiosi operativa fra arte e scienza. Portò un enorme contributo al progresso delle neuroscienze spesso ispirata, come lei stessa affermò numerose volte, da una predisposizione artistica” (…)”. La creatività della donna che ha scoperto l’NGF, il Nerve Growt Factor “dimostra – ha concluso Calissano – che la divisione tra arte e scienza è spesso errata”.

Dalle illustrazioni medievali alla Recherche di Proust

Insieme a Cristina Alberini c’erano altre 6 neuroscienziate di fama mondiale: Merav Ahissar, della Hebrew University of Jerusalem, che ha parlato delle zone del cervello che percepiscono la bellezza, e di cosa le stimola, Eva Jablonka dell’università di Tel Aviv che ha trattato del significato biologico e culturale della bellezza, Virginia Penhune della Concordia University e McGill University di Montreal,  che ha spiegato come la il ritmo e il ballo coinvolgono il sistema auditivo e motorio cerebrali, Beatrice de Gelder, dell’Università di Maastricht, che ha spiegato in che modo le forme umane vengono percepite dal cervello dell’osservatore e come impattano sulle emozioni, Lina Bolzoni, della Scuola Normale Superiore di Pisa, che ha raccontato come nel Medio Evo e nel Rinascimento europeo si sia sviluppata un’arte delle  memoria, costruita sulla visualizzazione (illustrazioni, disegni…) e Hannah Monyer, dell’EBRI e dell”University Hospital e German Cancer Research Center di Heidelberg, che per spiegare in che modo i ricordi nascono, si consolidano e vengono richiamati ha utilizzato la Recherche di Marcel Proust. Tra una relazione l’altra, Agnese Coco, prima arpa del teatro dell’Opera di Roma, ha eseguito brani di grandi compositori dedicati a grandi donne. Emozionando.



www.repubblica.it 2021-12-04 06:00:00

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