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Epatite C: a che punto è lo screening in Italia?

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* Medico ricercatore presso il Centro per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità

L’arrivo dei nuovi farmaci antivirali contro il virus dell’epatite C ha rappresentato una svolta epocale, ossia la possibilità di guarire da un’infezione virale e dalle malattie ad essa connesse. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito i target di eliminazione dell’infezione da HCV entro il 2030, coinvolgendo numerosi Stati, compresa l’Italia, che nel 2015 ha adottato il Piano Nazionale per la Prevenzione delle Epatiti Virali (PNEV).

Cosa è successo in Italia? Da aprile 2017 tutti i pazienti con un’infezione da HCV possono accedere alle cure, indipendentemente dalla gravità della malattia. Il punto cruciale, però, è che la maggior parte delle infezioni da HCV sono asintomatiche, quindi difficilmente diagnosticabili.

I fattori di rischio per il virus HCV

Secondo i dati di SEIEVA (Sistema Epidemiologico Integrato dell’Epatite Virale Acuta), i principali fattori di rischio per l’acquisizione dell’infezione – ossia l’attuale e/o precedente uso di droghe, l’uso di strumenti per l’estetica, l’agopuntura, i tatuaggi, il body piercing o le cure odontoiatriche, in locali privi di adeguate condizioni igieniche o gestiti da personale non qualificato – si distribuiscono prevalentemente nella fascia di popolazione tra 34 e 55 anni. Ma in questa popolazione persiste una bassissima percezione del rischio, accompagnata quasi sempre da assenza di sintomi e un rischio di trasmissione dell’infezione.

71 milioni per la prima fase dello screening gratuito

Nel 2020 sono stati stanziati 71,5 milioni di euro assegnati alle Regioni per le attività di screening gratuito destinato – per ora – a tutti i soggetti seguiti dai servizi pubblici per le tossicodipendenze (SerT), ai detenuti in carcere e ai nati negli anni dal 1969 al 1989. Con questo intervento l’Italia ha compiuto un importante passo in avanti nella lotta contro l’HCV, e ha dato prova di mettere in campo una strategia di politica sanitaria d’avanguardia.

ll processo di screening dell’infezione da HCV in Italia deve garantire equità nella diagnosi e cura. Pertanto a questa prima tappa, che prevede lo screening nelle fasce più giovani della popolazione italiana, dovrà tempestivamente seguire un’estensione dello screening a quelle meno giovani, compresa la popolazione delle coorti di nascita 1948-1968, nonché a individui che presentano fattori di rischio e comorbidità, indipendentemente dalla loro età, per centrare così l’obiettivo di eliminazione dell’HCV entro il 2030.

Il decreto attuativo, adottato lo scorso aprile dal Ministro della Salute e pubblicato – finalmente – sulla G.U. l’8 luglio 2021, ha definito le procedure da utilizzare relativamente a ciascuna delle categorie di soggetti eleggibili, e ha previsto la realizzazione di campagne di formazione ed informazione a carico delle Regioni.

Forte disonogeneità tra le regioni

Ma le Regioni si presentano ora alla griglia di partenza con forti disomogeneità. Il dato che salta all’occhio è un forte ritardo rispetto alla roadmap tracciata, che dovrebbe vedere le attività di screening concludersi – per questa prima fase – entro il 2022.

Ci troviamo di fronte alla possibilità di poter eliminare l’Epatite C, ma risulta singolare la confusione che si ingenera nell’attuazione del decreto. Si tratta di un ritardo grave, frutto certamente della pandemia da COVID-19 che continua ad assorbire risorse ed energie, ma che trova la spiegazione anche in una serie di altre criticità.

Sussistono difficoltà di coordinamento delle varie figure regionali coinvolte nella pianificazione ed organizzazione dello screening. Si riscontra la difficoltà di riuscire, in tempi consoni agli obiettivi, a definire ed implementare un piano che sappia reperire risorse regionali da utilizzare per formazione, informazione, reportistica, e da combinare con la modalità di impiego dei fondi messi a disposizione dallo Stato per i test di screening.

Cosa fare

Cosa possono fare le Regioni? Definire urgentemente la modalità attraverso cui garantire l’esercizio del diritto di accesso allo screening gratuito, secondo la normativa vigente.

Sicuramente è indispensabile capire come e a che livello coinvolgere le strutture sanitarie presenti sul territorio, soprattutto considerando le gravi carenze di personale sanitario e di programmazione nei SERD e nelle carceri.

Bisogna inoltre stabilire se e come coinvolgere il medico di medicina generale, fortemente consigliato dal decreto attuativo, come pure le farmacie e gli uffici di prevenzione presenti sul territorio: quali? E con quali modalità?

Come procedere operativamente? Prevedere un codice univoco – o uno strumento analogo sulla base del modello prescelto – di identificazione della popolazione beneficiaria, al fine di permettere di realizzare, senza oneri aggiuntivi, i test di primo e secondo livello per identificare un’infezione in atto. Il codice, inoltre, permetterebbe di garantire il necessario collegamento tra test, diagnosi e cura, e consentirebbe anche un’efficace raccolta di informazioni.

Sarà essenziale costituire in tutte le Regioni un percorso chiaro che colleghi medici specialisti, medici di medicina generale, medici dei SerD e della medicina penitenziaria, nell’ottica di implementare al meglio lo screening e di ottimizzare il collegamento alla cura. Inoltre è necessario che le Regioni prevedano un piano di comunicazione efficace, per evitare una scarsa risposta da parte dei cittadini allo screening.

Possiamo ancora farcela

La posta in gioco è alta: si può eliminare l’epatite C e le conseguenze sociali ed economiche che ad essa si associano. Fallire ora sarebbe perdere un’importante opportunità in nome di un problema ormai dibattuto da tempo, ossia il difficile coordinamento tra Stato e Regioni, soprattutto per interventi che riescono a dispiegare la loro reale efficacia solo se realizzati in maniera uniforme ed equa su tutto il territorio nazionale.

Pertanto, garantire equità e ridurre le disuguaglianze nell’accesso agli screening HCV rimane un importantissimo nodo che deve essere sciolto tra Stato e Regioni, inserendo azioni di questo tipo nel PNEV (piano nazionale per la prevenzione delle epatiti virali da virus B e C) e nei Piani Regionali di Prevenzione. Proviamo a fare dell’eliminazione dell’Epatite C un caso di collaborazione virtuosa a beneficio di tutti. Non aspettiamo oltre, possiamo ancora farcela.



www.repubblica.it 2021-12-07 12:55:27

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