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Depressione, cosa fare se i farmaci non funzionano

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Individuare correttamente i pazienti che non rispondono ai farmaci antidepressivi – circa il 30% del totale -e trovare strategie di cura efficaci: è’ l’obiettivo delle nuove linee guida sulla depressione pubblicate nei giorni scorsi su Molecular Psychiatry. “Una tappa importante per arrivare a una definizione basata su dati clinici omogenei e confrontabili, e dare una speranza a questi pazienti”, spiega Luca Sforzini, psichiatra e giovane ricercatore del King’s College di Londra, primo firmatario dell’articolo. “Soprattutto in psichiatria molte definizioni finora sono state prese per convenzione, oggi si punta sulla medicina di precisione”.

L’iniziativa fa parte del progetto europeo EU-PEARL, “nato per validare nuovi metodi di ricerca, i cosiddetti platform trials, il metodo utilizzato per i vaccini anti COVID, che permette di confrontare in simultanea farmaci diversi e ottenere risultati in tempi più brevi”, ricorda Carmine Pariante, docente di psichiatria al King’s College, che ha diretto lo studio. “In questo caso, l’obiettivo è dare una definizione univoca di pazienti resistenti o parzialmente resistenti ai trattamenti, che aiuti i ricercatori a individuare i marcatori biologici alla base di queste resistenze, e gli specialisti a definire una strategia terapeutica efficace”.

Le nuove linee guida

Le nuove linee guida propongono di definire resistenti alla terapia i pazienti che non hanno ottenuto risultati con almeno due trattamenti – effettuati possibilmente in tempi diversi e con principi attivi con diversi meccanismi di azione – e parzialmente responsivi quanto hanno ottenuto un miglioramento modesto ma non sodisfacente con almeno un farmaco. Segnalando che questi risultati dovrebbero essere quantificati con metodi oggettivi, come scale di valutazione ancora oggi poco usate non solo a livello clinico: dallo studio emerge che solo un terzo delle ricerche esaminate ha utilizzato i criteri richiesti per selezionare pazienti omogenei tra loro, e non sempre è evidenziata la differenza tra pazienti non rispondenti e parzialmente rispondenti, che potrebbero richiedere strategie terapeutiche diverse.

Che cosa raccontano i pazienti

A volte i criteri per definire la mancata rispondenza ai farmaci non sono solidi, ci si basa su indicazioni vaghe – “ho assunto quel farmaco e non mi ha fatto niente” – “senza considerare evidenze cliniche che chiariscano la durata del trattamento, i dosaggi e l’aderenza alla terapia, o anche il fatto che magari il paziente ha prestato meno attenzione ai sintomi su cui il farmaco ha avuto effetti”, osserva Pariante. E senza contare che pazienti e medici possono valutare in modo diverso i sintomi e la loro gravità, considerato anche che gli antidepressivi non sono farmaci di facile gestione, “perché impiegano almeno quindici giorni a fare effetto, mentre gli effetti collaterali si possono manifestare prima“, osserva Sforzini.

Il metodo Delphi

Per definire le nuove linee guida è stato usato il metodo Delphi, “utilizzato per raggiungere un consenso quando non esistono dati scientifici chiari”, spiega Sforzini. In questo caso sono stati coinvolti più di sessanta esperti di paesi diversi, medici, ricercatori, rappresentanti degli organismi regolatori e delle aziende farmaceutiche, coinvolgendo anche una paziente che riportasse la propria esperienza, “proprio perché è importante capire, al di là delle scale cliniche, come si sentono davvero le persone“, osserva il ricercatore.

Le nuove linee guida potrebbero aiutare a individuare le cause biologiche della farmaco resistenza, lavorando su un gruppo omogeneo di pazienti, e dare una base scientifica agli algoritmi che disegnano il percorso terapeutico. Oggi in genere si comincia con un SSRI, un inibitore della ricaptazione della serotonina, “se poi i farmaci di questa famiglia non funzionano si ricorre a un triciclico, mentre gli inibitori della monossidasi sono ormai poco usati perché di difficile gestione”, spiega Pariante, “ma esistono anche altri farmaci, ansiolitici o antipsicotici a basso dosaggio, il litio e altri principi attivi come la ketamina, mentre a livello sperimentale si comincia a studiare l’efficacia degli antiinfiammatori” . “Senza dimenticare la psicoterapia, di cui oggi è riconosciuta l’efficacia soprattutto nelle forme meno gravi, e la stimolazione magnetica transcranica”, conclude Sforzini.



www.repubblica.it 2021-12-20 16:08:00

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