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Tumori, dalla pandemia buone pratiche per frenare la mobilità sanitaria

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ALMENO una cosa buona per la sanità la pandemia l’ha fatta: ha aumentato la percezione positiva sulle possibilità di ricevere cure adeguate anche vicino casa. In modo particolare, da parte dei pazienti oncologici del Centro e del Sud Italia, solitamente i più abituati a spostarsi per farsi curare fuori regione. È quanto emerge da un’indagine sulle buone pratiche messe in atto durante l’emergenza Covid per contrastare la migrazione sanitaria in oncologia, che interessa mediamente un paziente su dieci. I risultati sono stati presentati all’ottavo Forum istituzionale annuale del Gruppo di Associazioni pazienti ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere’ (evento di riferimento a livello nazionale per la valutazione e il dibattito sulle politiche sanitarie in ambito oncologico). Al centro del dibattito: la necessità di potenziare le soluzioni virtuose.

Dalla telemedicina alla consegna dei farmaci a domicilio

Le soluzioni utilizzate da centri ospedalieri, enti pubblici e associazioni per curare i pazienti nei mesi in cui gli spostamenti non erano consentiti comprendono: i teleconsulti per ricevere una second opinion, le reti multidisciplinari intra ed extra-regionali, i referti online, le cartelle sanitarie digitali, la consegna di farmaci a domicilio e i prelievi del sangue direttamente a casa per i pazienti che seguivano cure chemio o immunoterapiche. “Queste pratiche hanno funzionato bene e possiamo potenziarle per contenere la mobilità sanitaria”, spiega Annamaria Mancuso, coordinatrice del Gruppo e Presidente Salute Donna Onlus: “L’emergenza Covid non è infatti ancora archiviata, per cui il tema è quanto mai rilevante, così come è importante tenere alta l’attenzione sulla fragilità dei pazienti. Solo se mettiamo a sistema queste soluzioni virtuose e sviluppiamo la medicina territoriale, con ambulatori pubblici multi-specialistici per non ingolfare le strutture ospedaliere potremmo dare più possibilità ai pazienti di rimanere nella propria regione per farsi curare”.

Valorizzare la sanità regionale: il caso della Sicilia

Da quando in Sicilia esiste sia la rete senologica che la rete oncologica, sempre meno pazienti si spostano da questa regione per visite e cure. “Per accorciare gli spostamenti delle pazienti, ogni centro di screening è stato collegato alla Breast unit più vicina. E i migliori centri senologici sono stati certificati con un bollino di qualità regionale per attestarne l’alto livello delle prestazioni, del personale medico e delle attrezzature”, spiega Francesca Catalano, Direttrice UOC multidisciplinare di senologia dell’Ospedale Cannizzaro di Catania e coordinatrice della Commissione Rete senologica oncologica dell’Assessorato alla Salute Regione Sicilia: “C’è però ancora molto da fare: per esempio una comunicazione efficace che valorizzi le eccellenze sanitarie regionali e che informi le pazienti dell’esistenza di strutture qualificate. Perché è importante far capire ai cittadini che anche nelle regioni di appartenenza si erogano prestazioni di alto livello”.  

L’esempio della oncoematologia pediatrica

Una rete che funziona bene da tempo e che può essere presa come esempio da seguire per contrastare la migrazione sanitaria è quella dell’oncoematologia pediatrica. L’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP), che raggruppa tutti gli specialisti, coordina infatti le attività dei medici con incontri di aggiornamento, si occupa della condivisione di protocolli comuni di trattamento, di referti e revisioni centralizzate delle diagnosi. “Il mondo dell’oncoematologia pediatrica già funziona come una rete, in cui a muoversi sono più i referti che i pazienti. Questo ha consentito di neutralizzare quasi del tutto le differenze che prima esistevano nei centri di cura tra le regioni del Sud e del Nord – afferma Angelo Ricci, Presidente della Federazione Italiana Associazioni Genitori e Guariti Oncoematologia Pediatrica – Inoltre, per seguire meglio il paziente pediatrico, una volta individuato il percorso di terapia più adatto, è anche utile creare sia dei centri regionali principali sia dei centri ‘satelliti’ di prossimità. Come sta avvenendo in Piemonte e come potrebbe accadere anche in altre regioni italiane”.

 

Creare centri di orientamento oncologico

Secondo medici e pazienti, sarebbe necessario creare in ogni regione dei Centri di orientamento oncologico. Qui, il paziente potrebbe essere accolto appena riceve la diagnosi, avere indicazioni sul percorso terapeutico da seguire e sulla struttura più adatta e più vicina a cui rivolgersi. “Questo potrebbe essere un valido supporto per le reti oncologiche, che, peraltro, non sono ancora presenti su tutto il territorio nazionale, e che in alcune regioni non funzionano completamente”.

Fare networking

Se le misure che hanno permesso di continuare a curare i pazienti durante il periodo più difficile della pandemia hanno funzionato, rimane tuttavia la necessità di un impegno politico per garantire una qualità di assistenza omogenea in tutte le realtà del paese. “Da parte delle istituzioni politiche ci vuole un impegno per assicurare un’omogeneità di approccio alle cure tra regioni, con linee guida comuni, regole uguali per tutti, che riguardano per esempio la gestione del sistema delle liste di attesa, delle priorità per patologie e della disponibilità dei farmaci ad alto costo”, spiega Filippo de Braud, ordinario di oncologia medica, Direttore della Scuola di Specialità in Oncologia Medica dell’Università di Milano e del Dipartimento di Oncologia ematologica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori Milano: “Se questo si concretizzasse – conclude – sarebbe più facile gestire la migrazione dei pazienti sia dentro che fuori regione”.



www.repubblica.it 2021-12-21 15:19:59

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