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Immunoterapia nel melanoma: uomini e donne rispondono in modo diverso?

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L’IMMUNOTERAPIA ha cambiato la vita delle persone con melanoma avanzato. Se una volta la malattia in fase metastatica non lasciava molte speranze, oggi dopo 5 anni dalla diagnosi oltre il 50-60% dei pazienti è vivo. Tuttavia questo trattamento, che agisce in sostanza scatenando e lasciando acceso il sistema immunitario contro le cellule del tumore, non funziona per tutti allo stesso modo. Alcuni pazienti rispondono molto bene alle cure, ma per altri, a parità di  trattamento, la mortalità è più elevata. Soprattutto per altre verrebbe da dire, stando a uno studio di popolazione pubblicato su Jama Network Open: i dati mostrano che le donne hanno una mortalità doppia rispetto agli uomini.

 

Dati dal mondo reale

Quello di cui parliamo “è il primo studio condotto su un’ampia popolazione di pazienti che indica una differenza significativa di sopravvivenza per le donne trattate con una combinazione di due inibitori del checkpoint”, spiega Grace Lu-Yao, autrice senior dello studio. Ma le donne hanno più probabilità di morire perché la terapia funziona meno, o per gli effetti collaterali? Non lo sappiamo ancora – ammette Lu-Yao – tuttavia abbiamo un segnale forte dal mondo reale che ci dice che dovremmo indagare di più”. Dovremmo se non altro perché già sappiamo che il sistema immunitario di donne e uomini è leggermente diverso. Le donne per esempio, come ricordano gli stessi autori del lavoro su Jama, hanno un rischio maggiore di patologie autoimmuni, ma tendono ad avere risposte immunitarie più forti contro le infezioni.

Differenza di genere più marcata per la terapia combinata

Tornando allo studio, il team di Lu-Yao analizzato le cartelle cliniche di quasi 1.400 pazienti con melanoma avanzato diagnosticato tra il 1991 e il 2015, e trattati con uno o più inibitori del checkpoint, come pembrolizumab, nivolumab o ipilimumab. Le cartelle erano raccolte nel SEER-Medicare, un database nazionale statuniense. In pratica gli autori si sono basati su informazioni ottenute non da trial controllati e randomizzati, ma sulle cartelle cliniche. Il risultato? Quando sono stati trattati con un singolo inibitore del checkpoint immunitario, uomini e donne non hanno mostrato differenze nella sopravvivenza. Quando gli inibitori del checkpoint erano due, somministrati in combinazione (nivolumab e ipilimumab), le cose invece sono cambiate: in questo caso la sopravvivenza degli uomini è stata di molto maggiore: il tasso di mortalità è risultato del 40% per entrambi i sessi con la terapia singola anti-PD-1, mentre con la terapia combinata è rimasta al 40% negli uomini ed è salita al 65% nelle donne. È chiaro che si tratta di una differenza che va approfondita, anche perché parliamo di trattamenti che sono comunque associati a tossicità e ad alti costi. “I nostri dati sono un campanello d’allarme basato sull’esperienza di centinaia di pazienti. Sono dati del mondo reale che dimostrano che i risultati ottenuti sugli uomini potrebbero non essere applicabili alle donne e – ha concluso Lu-Yao – è fondamentale progettare studi che siano capaci di valutare l’efficacia della cura in base al sesso”.

Ma i dati real world non bastano

“Lo studio è interessante perché conferma evidenze già emerse sulle differenze di risposta all’immunoterapia tra i due generi”, commenta Paolo Ascierto, dirigente medico presso l’unità operativa complessa di Oncologia Medica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori-Fondazione Pascale di Napoli. “Si basa sui dati di un elevato numero di pazienti, tuttavia non possiamo prendere questi risultati per verità assolute, ma dovremmo verificarli in maniera prospettica. Non sappiamo perché queste donne siano morte: se per progressione della malattia o per la tossicità associata ai trattamenti, se siano state curate in centri ad alto volume o periferici, che forse non avevano sufficiente esperienza nel trattamento delle tossicità. Il tema della differenza di genere – conclude Ascierto – è sicuramente molto interessante e si sta studiando da tempo, però bisogna fare molta attenzione ai dati ottenuti da analisi retrospettive. C’è una serie di elementi e di variabili che vanno considerati, e che sfuggono a studi di real world. Abbiamo bisogno di dati prospettici, che ci diano informazioni più pulite”.



www.repubblica.it 2022-01-07 12:24:37

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