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Obiettivo: salvare il fegato – la Repubblica

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L’EPATOCARCINOMA è il più comune tumore del fegato, e la quarta causa di morte per cancro nel nostro paese. Ha un’incidenza che oscilla attorno alle 12-13 mila nuove diagnosi ogni anno ed è una neoplasia particolare, perché si presenta quasi sempre in pazienti con fattori di rischio noti. Oltre il 70% delle nuove diagnosi è riconducibile a una preesistente patologia del fegato, che sia cirrosi legata a un’epatite virale o all’abuso di alcol, o una steatosi epatica associata a disfunzione metabolica: infiltrazioni di grasso nel fegato che insorgono in persone che soffrono di sindrome metabolica, obesità, diabete e ipertensione. “Grazie al vaccino per l’epatite B e ai nuovi antivirali che hanno rivoluzionato la cura dell’epatite C, oggi i tumori causati da queste patologie sono in calo, e diventeranno sempre più rari in futuro”, spiega Lorenza Rimassa, Professore associato di Oncologia Medica e direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia Medica di Humanitas University di Milano. “Per questo motivo – aggiunge – l’epatocarcinoma è una neoplasia che sempre più spesso può essere prevenuta con la scelta di un corretto stile di vita: evitare alcol e tabacco, fare attività fisica e attenersi a una dieta bilanciata sono scelte che possono mantenere in salute noi e il nostro fegato, e che abbattono drasticamente le possibilità di sviluppare un tumore epatico”.

Se individuato precocemente, questo tumore può essere trattato chirurgicamente, con buone chance di guarigione, soprattutto nei pazienti che possono essere sottoposti a trapianto di fegato. Nelle fasi più avanzate, però, la strada chirurgica non è più percorribile, e la prognosi purtroppo diviene infausta. “È per questo che i pazienti a rischio sono sottoposti a monitoraggio con ecografie effettuate ogni sei mesi, per garantire le migliori chance di individuare l’insorgere di un tumore nelle fasi iniziali”, sottolinea Bruno Daniele, primario dell’Oncologia dell’Ospedale del Mare di Napoli: «Purtroppo, questo oggi è possibile solamente per chi soffre di epatiti virali, e quindi i tumori causati da abuso di alcol, obesità e problemi metabolici li individuiamo quasi sempre in fasi più avanzate di malattia”.

Nella cosiddetta fase intermedia, quando il tumore è ancora limitato al fegato, ma troppo esteso per essere operato chirurgicamente, si ricorre a trattamenti locali come la chemioembolizzazione. Nei pazienti con tumore avanzato, che ha raggiunto vasi importanti come la vena porta o provocato metastasi extra epatiche, invece, l’unica opzione terapeutica è quella di farmaci che aiutano a rallentare la progressione della malattia. E anche se la prognosi, purtroppo, rimane infausta, negli ultimi anni ci sono stati notevoli progressi in questo campo. “Fino a una quindicina di anni fa non avevamo praticamente nessuna terapia efficace – ricorda Rimassa – poi nel 2007 è arrivato il sorafenib, un inibitore multichinasico che per primo ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza in questi pazienti, ed è rimasta l’unica terapia disponibile per circa 10 anni. Solo di recente le terapie a nostra disposizione sono aumentate rapidamente”.

Oggi, sono disponibili anche seconde e terze linee di trattamento, da utilizzare quando le precedenti si rivelano inefficaci. E proprio nell’ultimo anno ha fatto la sua comparsa una terapia di combinazione, che si è dimostrata superiore sia in termini di efficacia, sia per una minore incidenza di effetti collaterali e una migliore qualità di vita, imponendosi come terapia d’elezione a livello internazionale. Si tratta della combinazione di due anticorpi monoclonali, che sta per essere approvata dall’Aifa anche nel nostro paese: l’atezolizumab, un immunoterapico che spinge il sistema immunitario ad attaccare le cellule tumorali, e il bevacizumab, che inibisce la formazione di nuovi vasi sanguigni da parte del tumore. E non è tutto, perché gli esperti attendono proprio nei prossimi mesi i risultati delle sperimentazioni di nuove terapie. E con un arsenale farmacologico in costante crescita, si aprirà sicuramente una nuova stagione nella cura dei tumori del fegato. Proprio per questo, diventerà sempre più importante la capacità di gestire al meglio i pazienti in tutte le fasi del loro percorso di cura. “Per sottoporsi alle terapie serve una buona funzionalità epatica, e solo la presa in carico dei pazienti da parte di un team multidisciplinare, che comprende oncologo, epatologo, chirurgo, radiologo interventista, anatomopatologo, offre ai pazienti le migliori chance di mantenerla”, conclude Daniele: “In Italia questo è garantito in molte regioni all’interno delle reti regionali e nei grandi ospedali, e siamo l’unico paese in Europa in cui la prognosi per i tumori del fegato è migliorata negli ultimi anni. Rimangono comunque alcune differenze regionali che andrebbero superate, per assicurare a tutti i pazienti la migliore presa in carico possibile”.

 

Articolo originariamente pubblicato su Salute del 30 dicembre 2021



www.repubblica.it 2022-01-07 12:32:49

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