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Cellule CAR-T come fabbriche di farmaci

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NEGLI ultimi anni le CAR-T, cellule ingegnerizzate per combattere i tumori, sono diventate uno dei simboli dell’innovazione nella lotta ai tumori. Nella loro formulazione classica si intendono le terapie a base di linfociti T modificate in laboratorio per riconoscere e attaccare le cellule tumorali, una volta reintrodotte nel paziente. Ma per quanto rivoluzionarie, presentano non pochi ostacoli da superare. E l’idea che arriva oggi dalle pagine di Nature Chemical Biology mira a superarne alcuni di questi. Come? Rendendo queste cellule non solo in grado di riconoscere e attaccare le cellule tumorali, ma anche trasformandole in piccole fabbriche di farmaci, da rilasciare in loco, potenziandone così l’attività antitumorale complessiva. 

L’idea è ancora confinata agli esperimenti di laboratorio e test preclinici ma è promettente, al punto da aver attirato già l’interesse di un’azienda che vuole sviluppare la terapia e testarla a livello clinico, raccontano i ricercatori del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York che l’hanno sviluppata. Di fatto consiste nell’armare doppiamente i linfociti T: non solo dotandoli di un recettore capace di riconoscere e attaccare le cellule tumorali (il chimeric antigen receptor, CAR, che dà il nome alla terapia) ma di modificarli per trasportare anche un enzima. Questo enzima consente la maturazione di una sostanza, iniettata in circolo in forma inattiva (un profarmaco), in un farmaco: in questo modo le cellule CAR-T posso sferzare un doppio attacco. Da un lato infatti sono potenziate grazie al recettore chimerico, che riconosce una specifica molecola espressa sulle cellule tumorali, dall’altro favoriscono la formazione di un farmaco antitumorale lì dove serve, come ha spiegato David A. Scheinberg, a capo del lavoro.

Questa strategia, come accennato, consente di superare in parte i limiti associati all’utilizzo delle CAR-T, fino a oggi considerate una reale opzione terapeutica solo per casi selezionati di pazienti con alcune forme di tumori ematologici. Ma le CAR-T, non prive di problemi di tossicità, presentano dei limiti: i tumori possono sfuggire alle cellule modificate, perdendo l’antigene contro cui è diretto il recettore chimerico, possono subire anche gli effetti immunosoppressivi dell’ambiente tumorale ed esaurire il loro potenziale immunologico, scrivono i ricercatori. Una strategia che armi le cellule CAR-T con un secondo carico – l’enzima per la produzione di un farmaco – consentirebbe di superare alcuni di questi limiti. I test in vitro e nei topi hanno mostrato che queste cellule, rinominate Seaker Cells funzionano. 

Seaker sta per Synthetic Enzyme-Armed KillER cells, che in italiano potremmo tradurre in cellule sintetiche killer armate di enzima. Si tratta di cellule flessibili che potrebbero essere utilizzate anche in altri campi. “Cambiando enzima e profarmaco, è possibile cambiare l’azione antitumorale. Ma anche l’azione stessa delle cellule, indirizzandole contro malattie autoimmuni o infezioni”, conclude Scheinberg.



www.repubblica.it 2022-01-10 11:28:04

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