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Tumore dell’endometrio: per la prima volta in 10 anni aumenta la sopravvivenza. Grazi…

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IN ITALIA è la terza forma più comune di cancro nelle donne in Italia nelle donne tra 50 e 69 anni, con tassi di incidenza in aumento e oltre 8 mila nuovi casi all’anno. È il carcinoma dell’endometrio, il tessuto che riveste internamente l’utero, e che colpisce soprattutto nella post menopausa. Oggi, e da circa 10 anni, lo standard di cura per le pazienti con tumore avanzato consiste nella chemioterapia (con carboplatino e taxolo). Ma se la malattia progredisce, le possibilità di cura sono limitate: la sopravvivenza media è di 3 anni dalla diagnosi di malattia avanzata o recidivata, e le terapie di seconda linea ad oggi disponibili sono poco efficaci. Ma qualcosa potrebbe cambiare nel prossimo futuro, grazie all’immunoterapia. Uno studio clinico appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, coordinato da ricercatori italiani, ha infatti dimostrato che la sopravvivenza libera da malattia e quella complessiva aumentano in modo significativp con la combinazione di pembrolizumab (anticorpo monoclonale anti-PD-1) con lenvatinib, un inibitore orale della tirosin-chinasi.

Lo studio ha arruolato 827 donne con carcinoma endometriale avanzato che erano state precedentemente trattate con chemioterapia a base di platino. Le pazienti sono state suddivise in modo casuale in due gruppi: un gruppo sperimentale e uno di controllo. Alle prime è stato somministrato pembrolizumab più lenvatinib, mentre le donne del gruppo di controllo hanno ricevuto doxorubicina oppure paclitaxel, cioè i farmaci chemioterapici normalmente utilizzati nella seconda linea di trattamento nelle forme avanzate di carcinoma endometriale.

 

Farmaci che agiscono in sinergia

“Abbiamo visto che i due farmaci, pembrolizumab e lenvatinib, si potenziano – spiega Domenica Lorusso, professore associato di Ostetricia e Ginecologia e responsabile della Programmazione Ricerca Clinica presso l’Irccs Fondazione Policlinico Universitario Gemelli e coautrice della pubblicazione sul Nejm: “Da circa 10 anni lo standard di cura contro il carcinoma dell’endometrio recidivante o metastatico consiste in platino e taxolo, ma quando la malattia progredisce, qualunque trattamento abbiamo provato in seconda linea ha funzionato poco, con tassi di risposta del 10-15% e mediane di sopravvivenza di circa 8 mesi. Ora però, grazie a questo trattamento combinato, registriamo per la prima volta un aumento della sopravvivenza rispetto alla chemioterapia standard”.

Le pazienti del gruppo sperimentale hanno avuto una sopravvivenza globale di 18,3 mesi, cioè più lunga di circa 7 mesi rispetto a quella registrata nelle pazienti trattate con terapia standard. “Sette mesi non sono pochi – riprende Lorusso – perché si traducono in una riduzione del rischio di decesso del 38% e perché parliamo di un allungamento della vita senza peggioramento della qualità della vita: in pratica le pazienti che ricevono la terapia combinata vivono di più e bene, sebbene sia importante che i clinici imparino a maneggiare la tossicità di questa nuova possibilità terapeutica”. La tossicità consiste soprattutto in ipertensione arteriosa, disturbi della tiroide (iper o ipotiroidismo), nausea, vomito e inappetenza con perdita di peso. Maneggiare bene la cura è un aspetto importante, anche perché parliamo di donne quasi sempre anziane.

L’approvazione in Italia

L’FDA e l’Ema hanno già approvato il trattamento combinato con l’immunoterapia come seconda linea contro il carcinoma dell’endometrio avanzato. Ma quando avremo la possibilità di trattare le nostre pazienti? “Stiamo in attesa dell’approvazione dell’Agenzia Italiana del farmaco – conclude l’esperta – ma stiamo lavorando con le aziende farmaceutiche produttrici dei due medicinali per rendere la cura disponibile rapidamente per le donne con carcinoma dell’endometrio in fase avanzata”.

 

Crediti per le immagini: National Cancer Institute via Unsplash



www.repubblica.it 2022-01-24 12:16:45

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