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Tumore al seno: prima i farmaci, poi l’intervento

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“Toglierlo il prima possibile”. È questo che spesso si pensa nei giorni che seguono la diagnosi di tumore al seno. Estirpare l'”intruso” per non dargli tempo di crescere e diffondersi. Così molte pazienti si rivolgono al chirurgo che può operarle più in fretta. Ma non sempre ricorrere direttamente alla chirurgia è la strada giusta.

Oggi sappiamo, infatti, che nelle donne con un carcinoma mammario di tipo triplo negativo o Her2-positivo più grande di 1-2 centimetri, il primo trattamento dovrebbe essere farmacologico. Soprattutto ora che sono disponibili nuove cure, come l’immunoterapia e i farmaci mirati, come raccontiamo nell’ultima newsletter di Salute Seno. Ma andiamo con ordine.

Tanti tipi di tumore

Il tumore al seno colpisce in Italia circa 55 mila donne ogni anno. Di queste, si stima che oltre 8mila (il 15%, più o meno) presentino un tumore del tipo triplo negativo, mentre altre 11 mila circa (il 20%) abbiano un tumore Her2-positivo. Cosa significano questi nomi?

La maggior parte dei tumori cresce stimolata dagli ormoni femminili perché presenta dei recettori che, come antenne, captano gli estrogeni e/o il progesterone (questi tumori vengono detti luminali). I tumori Her2-positivi, invece, presentano un numero elevato di recettori HER2, in grado di captare una proteina chiamata fattore di crescita epidermico umano (ci sono casi in cui i tumori sono sia luminali sia Her2-positivi).

Per questi due sottotipi di cancro al seno sono state sviluppate terapie che prendono di mira proprio tali recettori. Infine ci sono i tumori triplo negativi, che devono il loro nome al fatto che non presentano nessuno dei tre recettori: né per gli estrogeni, né per il progesterone, né per il fattore di crescita epidermico. Le pazienti giovani tendono ad avere questo sottotipo, ma non è una regola assoluta.

La biopsia prima di tutto

Come è facile intuire, conoscere il tipo di tumore che si ha di fronte oggi è un passaggio imprescindibile, perché da questa informazione dipende il percorso di cura. “Mai mandare al letto operatorio una donna con un tumore al seno sopra il centimetro senza aver fatto prima l’agobiopsia e aver atteso la caratterizzazione del sottotipo”, dice Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Oncologia senologica e toraco-polmonare presso l’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli: “La diagnosi deve includere sempre la caratterizzazione istologica con l’agobiopsia o, nei tumori piccoli di un centimetro, quella citologica con l’ago aspirato. Infatti, nel caso dei tumori triplo negativi ed HER2-positivi superiori al centimetro, la strada migliore da seguire è un’altra: trattare il tumore prima dell’intervento chirurgico”.

Cos’è la terapia neoadiuvante

I medici chiamano questo approccio con il termine “neoadiuvante” (per distinguerlo dalla terapia adiuvante, che viene somministrata dopo l’intervento chirurgico). Ci sono tre possibilità: il tumore scompare del tutto, il che significa che non sarà più rilevabile durante l’operazione; il tumore non scompare, ma si riduce; il tumore non risponde ai farmaci. “In questo modo possiamo vedere direttamente e in tempo reale se le terapie somministrate funzionano”, spiega De Laurentiis: “Nel caso in cui il tumore non sparisca ma se ne ritrovi ancora traccia durante l’intervento chirurgico, significa che ci sono cellule tumorali resistenti a quel trattamento. Saperlo ci consente di cambiare farmaci nella fase post-chirurgica, e aumentare così le chance di guarigione”. Per i tumori triplo negativi, inoltre, sono in arrivo farmaci immunoterapici che possono essere usati solo prima della chirurgia. “Quindi non adottare questa procedura significa negare alle pazienti delle opportunità di guarigione”, sottolinea l’oncologo”.

L’immunoterapia prima dell’intervento per il triplo negativo

All’ultimo San Antonio Breast Cancer Symposium, che si è tenuto lo scorso dicembre, sono stati presentati nuovi dati su pembrolizumab, un immunoterapico già approvato in molti altri tumori. Lo studio ha coinvolto quasi 1.200 pazienti con tumore triplo negativo in stadio iniziale (II e III), che sono state divise in due gruppi. Tutte hanno ricevuto la terapia neoadiuvante prima dell’intervento per 12 settimane: un gruppo ha ricevuto pembrolizumab e chemioterapia, l’altro un placebo e chemioterapia. A distanza di 36 mesi, la percentuale di donne che non aveva avuto recidive è stata di 84,5% e 76,8%, rispettivamente.

“La combinazione di pembrolizumab più chemioterapia ha portato alla scomparsa del tumore prima dell’intervento nel 65% dei casi, un risultato davvero notevole”, commenta De Laurentiis: “Lo studio è molto ampio e indica con chiarezza che la combinazione per il trattamento neoadiuvante migliora nettamente la prognosi a lungo termine. A distanza di 36 mesi c’è stata una riduzione del rischio di recidiva del 40%. Non sono dati preliminari, anzi: possiamo considerarli quasi definitivi. E ci lasciano sperare di poter in futuro aumentare il tasso di guarigione di questo tipo di tumore”. Questa possibilità è approvata negli Usa, ma non ancora in Europa e Italia.

Farmaci mirati per l’Her2-positivo

Anche per le pazienti con tumore Her2-positivo ci sono all’orizzonte nuovi farmaci per la terapia neoadiuvante, tra cui anticorpi monoclonali coniugati, in grado di trasportare le molecole di chemioterapici direttamente al tumore. “Attualmente per le pazienti con un carcinoma Her2-positivo in stadio iniziale e superiore a 1-2 centimetri è sempre indicata la terapia neoadiuvante”, spiega ancora l’esperto: “In Italia attualmente è rimborsata la combinazione del farmaco mirato trastuzumab con la chemioterapia, molto valida. Gli studi clinici, però, hanno dimostrato che aggiungere a questa combinazione un altro farmaco mirato, pertuzumab, porta un ulteriore beneficio”.

La tripletta pertuzumab-trastuzumab-chemioterapia è approvata come terapia neoadiuvante nell’Unione europea, ma non in Italia. “Il nostro è uno dei pochissimi Paesi in Europa in cui non è possibile utilizzare pertuzumab prima dell’intervento – commenta De Laurentiis – e non si capisce il perché, dal momento che invece è approvato per la cura post-chirurgica. Io sono fortemente convinto che porti un vantaggio, tanto da aver chiesto e ottenuto dalla regione Campania di creare un fondo ad hoc”.

Affidarsi sempre a un centro di senologia

La ricerca procede in fretta e il panorama è comunque destinato a cambiare ancora. Il messaggio però resta: “Correre dal chirurgo può essere un errore”, conclude De Laurentiis: “Anche per questo è importante affidarsi sempre a una Breast Unit, cioè a centri di senologia multidisciplinari, dove specialisti diversi lavorano in team, si confrontano e sono dedicati prevalentemente o esclusivamente alla diagnosi e alla cura del tumore al seno”.



www.repubblica.it 2022-01-28 11:22:31

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