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Demenze, chi è più allenato ha il 33% in meno di probabilità di soffrire di Alzheimer

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Dieci milioni di nuovi casi di demenza diagnosticati ogni anno. Circa 55 milioni le persone affette nel mondo. E secondo le stime più serie del rapporto mondiale del 2015, questa cifra è destinata a raddoppiare ogni 20 anni raggiungendo i 78 milioni di malati nel 2030 e addirittura i 139 milioni entro il 2050. E poi c’è la malattia di Alzheimer, la forma più comune e manifesta di demenza (dal 50 all’80% dei casi), che causa perdita di memoria e altre abilità intellettuali che, con l’aggravarsi, arrivano a interferire con la vita quotidiana in maniera sempre maggiore. L’Alzheimer è il disturbo più diffuso del pianeta, il vero “male del secolo”.

Ma se ancora non esiste un vero e proprio trattamento per curarlo, le evidenze che l’attività fisica e in particolare il movimento aerobico siano in grado di ridurre il rischio di svilupparlo sono oggi solidissime. E dall’American Academy of Neurology arriva un’ulteriore conferma: l’attività cardiorespiratoria regolare può ridurre del 33% il rischio di sviluppare un’Adrd, ovvero malattia di Alzheimer o forme di demenza correlata.

I più “attivi” rischiano meno dei sedentari

Lo studio verrà presentato in occasione del 74-esimo meeting dell’American Academy of Neurology dal 2 al 7 Aprile a Seattle. Il team di neuroscienziati guidato da Edward Zamrini – professore al Dipartimento di ricerche cliniche alla George Washington University e direttore della Neurologia al prestigioso Irvine Clinical Research – ha seguito 650 mila veterani di guerra statunitensi di età compresa tra i 30 e i 95 anni e senza diagnosi di Adrd. Durante un periodo di osservazione di quasi 9 anni durante i quali i partecipanti sono stati sottoposti a test fisici standardizzati su tapis roulant, Zamrini e colleghi hanno stimato l’incidenza dell’Alzheimer e delle forme di demenza correlate in funzione della performance atletica registrata.

L’analisi si basa sulla “fitness cardiorespiratoria”, parametro che descrive la capacità di cuore e polmoni di trasportare ossigeno e quella dei muscoli di assorbirlo e trasformarlo in energia durante l’esercizio fisico. I test miravano proprio a valutare la tolleranza all’esercizio fisico degli individui, impiegando una misura unificata: il Met. Met è acronimo di Metabolic equivalence task, tradotto “Equivalente metabolico dell’attività” e stima la quantità di energia utilizzata dall’organismo durante l’attività fisica a prescindere da dati soggettivi come il peso corporeo.

I neuroscienziati hanno suddiviso i partecipanti in cinque gruppi in funzione del livello di sforzo che potevano sostenere in sicurezza, basandosi sui loro Met. In concreto, 1 Met equivale a stare seduti tranquillamente, lo yoga impiega 3.2 Met, mentre per una camminata con zaino in spalla a velocità sostenuta servono 11.6 Met. L’incidenza dell’Alzheimer per i meno allenati – si legge nelle conclusioni – è di 9.5 casi su 1000, ma scende a 6.4 casi su 1000 per i più allenati. “Il nostro lavoro dimostra che non serve diventare dei maratoneti professionisti per ridurre i rischi – spiega Zamrini – anche un minimo aumento di attività fisica può aiutare!”.

I risultati

“A ogni piccolo aumento dell’attività fisica praticata corrisponde una minore probabilità di ammalarsi in futuro. E non è un rapporto del tipo ‘tutto o niente’: le persone possono impegnarsi apportando cambiamenti graduali al loro stile di vita nella speranza di ridurre i rischi, specie in presenza di fattori di rischio genetici”, osserva l’esperto.

Le conclusioni dell’analisi in effetti sono chiare: gli individui meno in forma mostrano le probabilità in assoluto più elevate di sviluppare Alzheimer e demenze collegate, mentre il rischio decresce notevolmente man mano che l’attività fisica è più praticata. Nello specifico, il gruppo più allenato ha il 33% in meno di probabilità di soffrire di Alzheimer rispetto a quello “meno atletico”, il secondo circa il 26%, il terzo il 20% e il quarto il 13%.

L’idea che potrebbe bastare lo svolgimento di attività fisica regolare per ridurre significativamente il rischio di Alzheimer è promettente, visto che purtroppo oggi non esistono trattamenti adeguati a prevenire o interrompere il decorso della malattia.

“Ci sono due fattori principali che influenzano il livello di fitness cardiorespiratoria: la genetica e l’esercizio abituale – prosegue Zamrini – . Non possiamo cambiare la nostra genetica, ma possiamo migliorare la nostra forma con programmi di esercizio routinari”. “Il mio consiglio è di adottare il più salutari stili di vita possibili, anche se assorbono più tempo. E quindi dieta sana, ciclo del sonno regolare, esercizio fisico e vita mentalmente attiva e socialmente inclusa”, conclude l’esperto.



www.repubblica.it 2022-03-28 13:16:40

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