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Come migliorare lo screening mammografico? La ricetta è delle donne

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PERCHÉ molte donne non partecipano allo screening mammografico, il programma che le regioni mettono a disposizione gratuitamente per la diagnosi precoce del cancro al seno? Europa Donna Italia, il movimento di advocacy per i diritti delle pazienti, lo ha chiesto direttamente a loro, attraverso workshop organizzati con le associazioni e con gruppi di specialisti. I risultati e le azioni proposte per superarle – discussi con società scientifiche all’interno di un progetto più ampio – sono stati presentati alle istituzioni il 3 maggio, in un incontro organizzato a Roma in collaborazione con Motore Sanità (qui il link per rivedere la diretta).

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Dalle modalità di invito all’umanizzazione

Sono stati individuati diversi problemi a diversi livelli. Partiamo dagli inviti a partecipare allo screening, dove le criticità percepite sono soprattutto nelle modalità obsolete di invio: “Lettere cartacee mandate per posta, senza che vi sia garanzia di recapito, e con messaggi poco efficaci e poco chiari”. Inoltre, emerge “la difficoltà nel fissare l’appuntamento o chiedere informazioni tramite il call center”. Per quanto riguarda l’accoglienza prima dell’esame, si rileva poca empatia: “Spesso le donne non vengono accolte e non ricevono informazioni”. Un problema che si accompagna alla “scarsa capacità di relazione da parte dei tecnici di radiologia”. Rispetto all’esame in sé, invece, le donne sottolineano “i tempi di attesa eccessivi per ottenere l’esito”, “il fatto che le immagini non vengano consegnate”, “la carenza di informazioni in caso di convocazione per esami di approfondimento” (che avviene per telefono senza che sia data la possibilità di chiedere spiegazioni, generando stress spesso evitabile) e “l’assenza di indicazioni sui centri senologici a cui rivolgersi se la mammografia rivela un tumore”.

Migliorare la comunicazione

Sulla base di quanto emerso, associazioni di pazienti e specialisti delle società scientifiche Gisma (Gruppo Italiano Screening Mammografico), Sirm (Società Italiana di Radiologia Medica), AITeRS (Associazione Italiana Tecnici di Radiologia Senologica) e ONS (Osservatorio Nazionale Screening) hanno lavorato in sinergia per stilare alcune raccomandazioni. “Il fatto che ci sia un’alleanza è fondamentale: dobbiamo capire le esigenze e dove poter agire, tenendo presente che dal punto di vista tecnico non tutto è semplice”, ha detto nel corso della tavola rotonda Livia Giordano, Responsabile SSD Epidemiologia e Screening AOU Città della Salute e della Scienza, CPO Piemonte-Torino e Membro Coordinamento Gisma. Se lo screening organizzato è rigido – ha spiegato – è perché ha la necessità di monitorare tutti i suoi passaggi: “Ragioniamo da molto tempo su quale sia la modalità migliore per invitare le donne. Noi abbiamo l’obbligo di raggiungerle tutte, e le liste anagrafiche sono le uniche che ci mettono nella condizione di garantire l’equità di accesso. D’altra parte, in questi anni ci siamo scontrati con il problema della privacy, del non poter usare canali immediati come i numeri di telefono o una mail, ad eccezione della Pec, che ovviamente non tutte le persone hanno. È ora di cambiare, certo, ma dobbiamo farlo nel migliore modo possibile, rispettando privacy ed equità. Abbiamo fatto tantissimi sforzi anche per migliorare la comunicazione, che sembra banale ma non lo è”.

Tra tempi tecnici e ansie evitabili

“Questo lavoro ha messo a fuoco problematiche che viviamo tutti i giorni, ma che non sempre abbiamo la possibilità di cogliere”, ha aggiunto Pietro Panizza, Primario di Radiologia a indirizzo senologico presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Per esempio: perché le attese per ricevere la risposta possono arrivare fino a due mesi? Il problema sta – di nuovo – nei meccanismi della comunicazione: il radiologo comunica il risultato alla Asl che lo deve mettere su lettera e inviare. Questi tempi non si possono accorciare, se non attraverso la digitalizzazione. Peccato che nella Sanità pubblica l’uso del digitale nel rispetto della privacy sia ancora un grosso problema. E per quanto riguarda il fatto che la mammografia non venga consegnata? “In realtà – ha spiegato Panizza – è un problema che si può risolvere facilmente, perché le Asl danno la possibilità di richiederla gratuitamente.

Una delle criticità maggiori riguarda, invece, il richiamo per approfondimenti: di prassi, la donna riceve una telefonata asettica dalla Asl che le dice di recarsi in ospedale dopo un tot di giorni per fare un completamento dell’esame. L’operatore non può dire di più, perché non è formato per farlo. “Questo incrementa lo stress della donna, perché nel momento in cui viene richiamata è convinta di avere un tumore, quando invece ci sono tanti motivi – non solo clinici – per cui può essere necessario ripetere l’esame o farne degli altri”. Insomma, bisogna trovare il modo di gestire questa comunicazione, con umanizzazione ed empatia.

La questione delle apparecchiature “vecchie”

Nel corso dell’incontro si è parlato anche dell’obsolescenza delle apparecchiature per le mammografie. Un allarme ingiustificato secondo Panizza: “Le macchine devono essere idonee per legge: vengono fatti controlli giornalieri, mensili e annuali”. E l’età di una apparecchiatura può non essere la stessa dei pezzi di ricambio: “Bisognerebbe spiegare tutto questo, invece che lanciare messaggi terroristici. Fondamentale, invece, è informare le donne su altri aspetti, come il fatto che il seno denso limita la sensibilità dell’esame. Il che vuol dire che identificare una eventuale lesione diviene molto più complesso”.

Le 6 richieste alle istituzioni

Europa Donna ha sintetizzato i risultati in sei richieste alle istituzioni, con l’obiettivo di dare il via a un percorso di miglioramento del servizio di diagnosi e di screening. Eccole.

1 – Aggiornamento del messaggio e delle modalità di recapito dell’invito e dell’esito;
2 – Formazione obbligatoria per i tecnici di radiologia;
3 – Migliore comunicazione nella convocazione agli esami di II° livello;
4 – Collegamento tra Centro Screening e Breast Unit, al fine di non abbandonare a se stessa la donna nei momenti critici, ma di inserirla nel percorso strutturato di cura e assistenza che contraddistingue il centro di senologia multidisciplinare;
5 – Verifica sistematica della familiarità per tumori al primo accesso allo screening. In questo modo, sarà possibile effettuare una selezione delle donne che necessitano di controlli più approfonditi e counseling genetico;
6 – Attivare lo screening dai 45 ai 74 anni in tutte le Regioni (attualmente la maggior parte dei programmi regionali prevedono lo screening nella fascia di età 50-69 anni).
 
“Queste richieste sono state formulate grazie al lavoro congiunto tra società scientifiche e associazioni, e raccolte in un dossier”, ha detto Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia. Il problema dello screening è ben precedente all’arrivo della pandemia: come mostrano i dati di Sorveglianza Passi relativi al triennio 2017-2020, quasi la metà delle donne nella fascia di età 50-69 anni – quella più a rischio di tumore al seno – non partecipa ai programmi. “Stiamo parlando di 16 milioni di donne (dato Istat, ndr.) – ha sottolineato D’Antona – e se consideriamo la fascia tra i 45-74 anni arriviamo a 24 milioni di donne. È importante stanziare i fondi per fare una chiamata allo screening”.

Le regole per la protezione dei dati

Ma la privacy può essere davvero un ostacolo alla realizzazione di nessuna delle sei richieste? Per Silvia Melchionna, funzionaria dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali – Settore Sanità, la privacyi no: il DPCM (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) dell’8 agosto del 2013 – ha spiegato – sul quale l’Autorità ha dato parere favorevole, prevede la refertazione online e portali per la prenotazione, una possibilità sfruttata soltanto, purtroppo, dalle strutture private, ma che possono scegliere anche le strutture pubbliche. Purché – ha aggiunto – l’elemento di protezione della privacy non sia messo da parte, ma sia integrato fin dall’inizio nel servizio sanitario che si vuole offrire.

Nel Lazio le prenotazioni si faranno online

Ma qualcosa potrebbe migliorare già nel prossimo futuro. Nel Lazio, per esempio, sta per partire un progetto pilota per la prenotazione della mammografia di screening online. Verrà utilizzato lo stesso modello usato per le vaccinazioni anti-Covid: “Con tre click e soltanto con la tessera sanitaria, si accederà alla schermata delle prenotazioni, con la possibilità di scegliere luoghi e orari per fare la mammografia”, ha detto Alessio D’Amato, Assessore Sanità e integrazione Socio-Sanitaria, intervenuto nel corso dell’incontro: “Dobbiamo fare tesoro di quanto è stato fatto durante la pandemia, eliminando la burocrazia. Se lo abbiamo fatto per milioni di vaccinazioni, non vedo perché non possiamo farlo per 400 mila screening mammografici l’anno. In futuro l’accesso alle prenotazioni potrà avvenire anche tramite una app: un sistema che stiamo ancora stiamo testando e che vogliamo mettere a disposizione delle altre regioni”. D’Amato invita le donne del Lazio che rientrano nella fascia di età dello screening a partecipare non appena la macchina si metterà in moto. E noi aspetteremo, ovviamente, l’esito di questo test.



www.repubblica.it 2022-05-06 09:49:43

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