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Cure palliative, un diritto anche per i bambini

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“Ascoltami, ascoltami bene”. Ascolta il bambino con una malattia che non può guarire, ascolta le famiglie che convivono con questo dolore immenso, ascolta gli specialisti che hanno imparato a gestire gli ultimi anni, o mesi di vita, dei piccoli pazienti. È l’ascolto (“Listen, really listen”) il filo conduttore del “5th International Maruzza Congress on Paediatric Palliative Care”, un evento internazionale organizzato dalla Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus, da oltre vent’anni impegnata nel campo della terapia del dolore e delle cure palliative pediatriche per i minori.

L’appuntamento, rimandato per due anni a causa della pandemia, raduna i professionisti socio-sanitari da tutto il mondo che si occupano dei bambini con patologie inguaribili ad alta e media complessità assistenziale: oltre 20 milioni di neonati, bambini e adolescenti nel mondo, mentre in Italia l’incidenza del numero dei bambini eleggibili alle cure palliative pediatriche è di 35 – 54 minori ogni 100.000 abitanti.

I bambini inascoltati per troppo tempo

“Abbiamo scelto questo tema perché per molto tempo questi bambini sono rimasti inascoltati”, commenta Franca Benini, Chair del Congresso e Responsabile Centro Regionale Veneto di Terapia del Dolore e Cure Palliative Pediatriche, Azienda Ospedale – Università di Padova. Il mondo pediatrico ha fatto grandi progressi nelle terapie, nella gestione, nella sopravvivenza, ma è innegabile che una parte di pazienti piccoli e piccolissimi continui a vivere nell’inguaribilità. E di loro abbiamo sempre parlato pochissimo. Come se – continua Benini – avessimo paura di affrontare questo problema. E invece dobbiamo ascoltare con onestà, avendo ben presente la realtà della vita, per trovare delle soluzioni”. 

Nuovi approcci e tecnologie all’avanguardia

Al Congresso, a Roma dal 25 al 29 maggio, si alterneranno dunque professionisti socio-sanitari da ogni parte del mondo. Un’occasione per divulgare approcci innovativi e esporre tecnologie all’avanguardia, presentare nuovi standard internazionali di cura e proporne di specifici per le crisi umanitarie. Cosa, quest’ultima, quanto mai attuale.

“Immaginare che un bambino ventilato a domicilio, un bambino che sta morendo, debba affrontare anche una crisi umanitaria come una pandemia globale o una guerra per noi era un pensiero inaccettabile. E invece ci siamo trovati ad affrontare nuove drammatiche situazioni. Qui cercheremo di imparare da chi ha maggiori capacità di gestione”, continua Benini.

Il dramma dei piccoli profughi bisognosi di cure palliative

Anche perché dall’Ucraina sono già arrivati i primi piccoli malati. Bambini che in genere dipendono dalle macchine per respirare, per mangiare o per monitorare i parametri vitali, e che dunque devono essere ospitati nei centri italiani di cure palliative. Continua Benini: “Oltre alla malattia, questi bambini devono portare anche il peso della situazione che li ha costretti a lasciare casa, a cambiare setting, abitudini, vita. Questo amplifica il livello di sofferenza. Di solito sono soli o con la mamma – i papà non ci sono, sono rimasti in Ucraina – e questo impedisce di ricreare quella normalità che è il fine ultimo delle cure palliative”. Per questo, nel corso del Congresso sono previsti collegamenti con l’Ucraina per fornire aiuto clinico, metodologico e concreto alle famiglie che devono gestire anche questo problema.

Gli effetti della pandemia

Anche la pandemia ha gravato sui bambini con malattie inguaribili. Molte attività di supporto – pensiamo per esempio alla fisioterapia, che mette il sanitario a contatto con un paziente a rischio – sono state sospese. “La fisioterapia è non solo una pratica clinica, ma anche un momento nel quale il paziente può uscire di casa. Scandisce le giornate”, ricorda l’esperta.

Ne ha risentito anche la scuola, il luogo in cui i bambini si incontrano con i pari. Se viene chiusa si interrompe il principale contatto della loro vita sociale. Gli hospice, luoghi in genere con orari flessibili, dove vengono in visita nonni o amichetti, dove si mangia tutti insieme, hanno continuato a funzionare anche durante l’emergenza Covid, ma con regole diverse, più rigide: una parte importante delle attività che contribuiscono alla qualità della vita dei piccoli pazienti è stata interrotta.

La situazione italiana

Il confronto internazionale, però, serve anche a ricordare quanto l’Italia sia avanti in questo settore. “L’Italia ha tagliato il filo del traguardo: abbiamo un’ottima legge (la 38 del 2010, che sancisce il diritto dei cittadini a ricevere cure palliative e terapia del dolore), abbiamo risposte a tutte le criticità di questo settore, sia organizzative che formative. Purtroppo – spiega Benini – sono risposte a macchia di leopardo. Alcune Regioni, come il Veneto, hanno fatto benissimo, altre hanno fatto poco”. In Italia, dei 35.000 minori con diagnosi di inguaribili, solo il 5% usufruisce del diritto che la legge riconosce loro di ricevere cure palliative.

L’importanza del supporto alle famiglie

Tra la legge e la sua applicazione si può dunque creare uno iato profondo. Lo stesso che si ritrova quando si tratta di dare supporto alle famiglie. “Quando una famiglia porta il peso di una malattia inguaribile migra, va a cercare altrove una soluzione miracolosa. Ma noi tutti sappiamo che queste sono malattie senza soluzione”, sottolinea l’esperta. Così le famiglie vengono sradicate dal loro contesto alla ricerca di una terapia che purtroppo non esiste. Dobbiamo lavorare, conclude Benini, perché queste famiglie vivano con il loro bimbo, con la loro storia, nel luogo dove si trovano meglio: a casa loro. In alcune aree d’Italia esiste una importante rete di supporto a livello sanitario e sociale, in altre per niente. Una disomogeneità e disequità nelle cure palliative pediatriche che deve essere colmata.



www.repubblica.it 2022-05-26 09:15:59

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