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Microbioma: così aiuta a curare i tumori

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L’immunoterapia, non è più una novità, ha rivoluzionato la cura di diversi tumori trasformandoli in malattie croniche. Un risultato straordinario che non è però per tutti. Una parte dei pazienti non sempre risponde efficacemente alle cure. Per questa ragione il mondo della ricerca è all’opera nel tentativo di decifrare i motivi di questa mancata risposta. Anche se le ragioni sono tante, uno dei principali fattori in grado di influenzare l’efficacia dell’immunoterapia è il microbioma, l’insieme di microrganismi che popola il nostro tratto digerente. Ecco perché modificarne la composizione potrebbe essere una strategia utile per migliorare l’effetto delle cure anticancro. A tal proposito sono diversi gli studi presentati ad ASCO, il congresso dell’American Society of Clinical Oncology in corso a Chicago, che vanno proprio in questa direzione: modificare la composizione batterica per migliorare la risposta all’immunoterapia.

Il ruolo dell’immunoterapia

A differenza delle diverse strategie di cura contro il cancro rappresentate da chirurgia, chemio e terapie a target molecolare, l’immunoterapia consiste nel pilotare il nostro sistema immunitario a rimanere sempre “acceso” per riconoscere ed eliminare le cellule cancerose. L’efficacia con cui ciò avviene dipende però molto non solo dalle caratteristiche del tumore e del suo micro-ambiente ma anche dalla composizione batterica dell’intestino. Sin dai primi anni di sperimentazione clinica dell’immunoterapia è parso subito chiaro che cure a base di antibiotici, capaci dunque di modificare il microbioma, influenzavano negativamente la risposta ai trattamenti anticancro. Partendo da questa osservazione negli anni sono nati diversi studi che hanno dimostrato come la presenza o meno di alcuni particolari microrganismi avesse una correlazione con una migliore o peggiore risposta.

Quando è il microbioma a determinare la risposta 

Ad esempio, lo scorso mese di febbraio un importante studio pubblicato su Nature Medicine riguardante il tumore del polmone, ha mostrato che la presenza del microrganismo Akkermansia muciniphila (Akk) è legato a una buona riuscita delle terapie. In particolare, nei pazienti che avevano ricevuto un’immunoterapia come trattamento di prima linea, la sopravvivenza a 12 mesi risultava pari al 59% nel gruppo positivo per Akk rispetto al 35% nel gruppo di pazienti in cui il microrganismo non era presente. Stando a questo risultato, l’ultimo di una lunga serie, l’analisi del microbiota potrebbe davvero rappresentare un criterio predittivo nel trattamento con gli immunoterapici.

Dal trapianto di feci alla somministrazione selettiva

Il vero obiettivo della ricerca però non è solo il prevedere gli effetti delle terapie. Proprio perché il microbioma è modificabile, pilotarne la composizione potrebbe essere una strategia utile per migliorare l’effetto dell’immunoterapia. Per farlo è già in fase di studio da diverso tempo il “trapianto di feci”. Al congresso ASCO sono stati presentati i risultati preliminari di un’analisi condotta dai ricercatori del Lawson Health Research Institute. Lo studio, che ha coinvolto pazienti con melanoma metastatico, prevedeva la somministrazione di alcune capsule contenenti microganismi fecali da donatori sani prima del trattamento immunoterapico. Analizzando i diversi attori della risposta immunitaria, gli scienziati hanno dimostrato che attraverso questo approccio è possibile ripristinare l’attività di alcune particolari cellule immunitarie responsabili della buona risposta contro il tumore. Un risultato importante che dimostra come attraverso il trapianto si possa agire migliorando le terapie.

Il trapianto non rappresenta però la sola via. Negli ultimi tempi anziché al trapianto di feci la comunità scientifica sta guardando con sempre maggiore interesse all’identificazione e alla successiva somministrazione dei soli ceppi batterici che effettivamente possono pilotare la risposta immunitaria. Utilizzando un complesso sistema di analisi della composzione del microbioma, ad ASCO i ricercatori della biotech Immunobiome hanno identificato nel microrganismo Lactobacillus plantarumIMB19 (Lp IMB19) un altro potenziale alleato nel migliorare la risposta all’immunoterapia. In modello animale hanno dimostrato che la somministrazione di un concentrato di Lp IMB19 in associazione a un immunoterapico induceva una risposta immunitaria significativamente maggiore rispetto a quanto ottenuto con la sola immunoterapia. 

Ma per quale ragione la composizione batterica influenza in modo così importante le terapie? Alla base dello stretto legame tra batteri e funzionamento dell’immunoterapia sembrerebbero esserci i metaboliti prodotti dai microrganismi, sostanze capaci di modulare positivamente il sistema immunitario. Poterli individuare e modificare a proprio piacimento la flora batterica potrebbe essere la giusta strategia per migliorare l’efficienza dei trattamenti immunoterapici.

Le prime sperimentazioni umane

Nell’attesa di identificare nuovi fattori in gioco, dalle sperimentazioni in modello animale si sta cominciando a passare alla sperimentazione clinica. Ad ASCO è stata data notizia che il prodotto BMC128 sviluppato dalla biotech israeliana Biomica – frutto di un mix di 4 differenti ceppi batterici che negli studi pre-clinici si sono dimostrati utili nei casi di melanoma – ha iniziato a essere somministrato in un clinical trial di fase I nell’essere umano in associazione a nivolumab in pazienti con melanoma o tumore del polmone. I risultati saranno disponibili nei prossimi mesi. 



www.repubblica.it 2022-06-03 18:57:31

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