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Tumore dell’esofago: sopravvivenza quasi raddoppiata grazie all’immunoterapia

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Ogni tumore ha la sua storia e il suo decorso legato anche alle caratteristiche del paziente, ma per alcuni il percorso di cura è più tortuoso e con meno chance. E’ stato così fino ad oggi per il tumore dell’esofago, una delle neoplasie a prognosi peggiore anche perché più del 50% delle diagnosi arriva in fase già avanzata. Infatti, la sopravvivenza a 5 anni è pari al 12% negli uomini e al 17% nelle donne. Ma dal Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO), in corso a Chicago arrivano nuovi dati che possono decisamente migliorare il controllo della malattia.

Poche terapie efficaci

In Italia, nel 2020, sono stati stimati 2.400 nuovi casi (1.700 uomini e 700 donne). Oltre la metà delle diagnosi è in fase avanzata, quando la malattia è più difficile da trattare. “Il tumore squamoso dell’esofago è una malattia per anni considerata priva di opzioni realmente efficaci – spiega Sara Lonardi, direttore FF dell’Oncologia 3 all’Istituto Oncologico Veneto IRCCS di Padova. Infatti, la chemioterapia standard di prima linea, costituita da una doppietta di farmaci, non migliora molto la prognosi, che rimane sfavorevole con una sopravvivenza mediana che non supera i 10 mesi”.

Sopravvivenza raddoppiata grazie all’immunoterapia

Da qui la necessità di nuove armi in grado di controllare la malattia a lungo termine. Un risultato possibile grazie all’immunoterapia, come evidenziato dai dati aggiornati dello studio CheckMate -648, presentato oggi all’Asco e approfondito nel press briefing promosso da Bristol Myers Squibb. Nello studio CheckMate-648 sono state coinvolte 970 persone, affette da tumore dell’esofago a cellule squamose avanzato o metastatico e mai trattate in precedenza. “L’analisi primaria – spiega Lonardi – aveva già evidenziato il beneficio in sopravvivenza globale, che è quasi raddoppiata grazie ai regimi immunoterapici in prima linea rispetto alla sola chemioterapia. In particolare, la sopravvivenza a un anno, nella popolazione di pazienti con espressione tumorale di PD-L1 pari o superiore all’1%, è passata dal 37% con lo standard di cura al 58% con la combinazione di immunoterapia e chemioterapia e al 57% con la duplice immunoterapia”.

Alcuni pazienti beneficiano della ‘coda delle curve’

Le nuove analisi confermano come la molecola immunologica nivolumab associata a chemioterapia e la duplice immunoterapia costituita da nivolumab più ipilimumab possano cambiare la pratica clinica nel trattamento della malattia in fase avanzata. “Questo tipo di carcinoma – prosegue l’oncologa – è molto aggressivo e, con la progressione della malattia, diventa sempre più sintomatico e difficile da trattare. Per questo ogni miglioramento nel controllo della malattia nelle sue fasi iniziali è di grande valore. Come in tanti studi di immunoterapia in diverse neoplasie, anche nel carcinoma dell’esofago, con lo studio, si dimostra un beneficio di questo approccio prolungato per tutta la storia di malattia, con un gruppo di pazienti che presenta un vantaggio di sopravvivenza a lungo termine, la cosiddetta ‘coda delle curve’. Oltre a ciò, la nuova analisi dimostra che il rischio di progressione a linee di terapia successive alla prima (PFS2) si è ridotto del 36% con la combinazione nivolumab e chemioterapia e del 26% con nivolumab e ipilimumab, rispetto al braccio di sola chemioterapia standard. Inoltre, si conferma l’ottima tollerabilità di questo approccio”.

L’importanza di agire sulla prevenzione

Nel 2020, in Italia, vivono 7.100 persone dopo la diagnosi. L’abuso di alcol e l’abitudine al fumo di sigaretta sono strettamente connessi alla forma squamosa. “Troppi pazienti – conclude Lonardi – scoprono la malattia in stadio avanzato, non più operabile. E sono persone molto fragili, talvolta marginalizzate per la dipendenza dall’alcol, spesso colpite anche da altre malattie, con una bassa qualità di vita. Da qui la necessità di terapie efficaci e tollerabili. La duplice immunoterapia con nivolumab ed ipilimumab è il primo trattamento ‘chemo-free’ ad aver dimostrato un beneficio in sopravvivenza e un controllo della malattia che, in base ai dati aggiornati dello studio CheckMate -648, si prolunga nelle linee successive di terapia. Esso può quindi rappresentare un’alternativa terapeutica efficace in persone che non tollerano la chemioterapia per le condizioni generali di salute compromesse”.



www.repubblica.it 2022-06-04 16:10:21

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