Tutte le notizie qui
Backaout
Backaout

Positivi i primi test su una molecola per rallentare il Parkinson

24

- Advertisement -


Non esistono, ad oggi, strategie terapeutiche che riescano a modificare significativamente il decorso del Parkinson. Quel che è certo è che il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale: quando compaiono i primi sintomi motori (come lentezza nel movimento o tremore a riposo), infatti, la malattia è già in stadio avanzato. Alcuni studi hanno suggerito che le mutazioni nel gene Lrrk2 siano uno dei fattori di rischio genetico più comuni: a partire da qui, negli Stati Uniti, è stata conclusa la prima fase di sperimentazione di una molecola che inibisce l’enzima prodotto da Lrrk2 e che potrebbe rallentare la progressione della malattia. I risultati sono pubblicati su Science Translational Medicine.

La crescente diffusione del Parkinson

La malattia di Parkinson è una sindrome neurodegenerativa progressiva che oggi interessa 5 milioni di persone nel mondo, di cui circa 400 mila in Italia. Colpisce circa il 2% degli adulti dai 65 anni di età e la sua incidenza è in aumento con l’invecchiamento della popolazione mondiale: si stima che nei prossimi quindici anni saranno seimila i nuovi casi ogni anno, di cui la metà in età lavorativa. Oltre ai noti sintomi fisici, come la rigidità muscolare, il tremore a riposo, la lentezza nel movimento e la resistenza ai movimenti passivi, la malattia si può manifestare anche con depressione e lentezza nel parlare.

Il ruolo dei lisosomi

L’insorgenza del Parkinson è stata collegata all’aumento della produzione di un enzima da parte del gene Lrrk2 (una chinasi), che a sua volta innesca una disfunzione a livello di alcune strutture cellulari, i lisosomi. Questi possono essere considerati come un centro di smaltimento e ridistribuzione dei “rifiuti” presente in tutte le cellule, e un loro malfunzionamento porta a un accumulo di sostanze tossiche che possono causare la morte delle cellule cerebrali e una carenza di dopamina: proprio gli ingredienti del Parkinson.

“L’obiettivo terapeutico dell’inibizione di Lrrk2 è migliorare la funzione lisosomiale e rallentare la progressione della malattia”, spiega a Salute Danna Jennings, direttrice della ricerca clinica all’Istituto per i disturbi neurodegenerativi Denali Therapeutics a San Francisco, California, e prima autrice dello studio. “Non stiamo inibendo il gene vero e proprio. Piuttosto, la terapia a base di piccole molecole di Dnl201 inibisce l’attività della chinasi (l’enzima, ndr) Lrrk2 con l’obiettivo di migliorare la funzione del lisosoma: questo potrebbe prevenire l’accumulo di proteine tossiche che portano alla neurodegenerazione (morte dei neuroni e di altre cellule cerebrali, ndr). Stiamo conducendo due studi clinici in fase avanzata per testare questo approccio in persone con il morbo di Parkinson in fase iniziale che non presentano una mutazione nel gene Lrrk2 e un altro in pazienti che presentano una mutazione nel gene Lrrk2. Riteniamo che il miglioramento della funzione lisosomiale possa essere utile in entrambe le popolazioni. E poiché il Parkinson è una malattia progressiva, riteniamo che ci possa essere un beneficio nel preservare la funzione e la salute neuronale anche per le persone che ce l’hanno da più tempo. Questo aspetto però deve essere testato in altri studi clinici”.

I risultati dei primi test sulla nuova molecola

Le molecole di Dnl201 hanno dimostrato la capacità di sopprimere l’attività dell’enzima (e quindi di potenziare la funzione dei lisosomi) nei ratti, e sono risultate sicure anche quando somministrate ai macachi per 28 giorni. La loro funzionalità, poi, è stata oggetto della prima fase di uno studio clinico che ha visto coinvolti 122 volontari sani e 28 pazienti con la malattia di Parkinson, sui quali è stata notata una riduzione dell’enzima associato a Lrrk2 nel sangue. “Abbiamo riscontrato miglioramenti nei biomarcatori dei fluidi associati alla funzione lisosomiale sia negli animali che nei soggetti umani sani e nelle persone affette da Parkinson nei nostri studi clinici in fase iniziale” conclude Jennings. “Tuttavia, dobbiamo verificare se il trattamento con il nostro inibitore di Lrrk2 possa effettivamente rallentare la progressione del Parkinson in studi più ampi e di lunga durata. Abbiamo recentemente avviato una sperimentazione, lo studio Luma, su persone con Parkinson in fase iniziale per verificare questa ipotesi”.



www.repubblica.it 2022-06-08 18:21:06

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More