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Sarcoma di Ewing, ecco la terapia che funziona meglio

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Uno studio particolare, che permette di mettere a confronto l’azione di diversi farmaci per capire quale sia il più efficace. È quello realizzato dal gruppo di ricerca europeo Euro Ewing Consortium e presentato a Chicago al congresso dell’American Society of Clinical Oncology da Martin McCabe, dell’Università di Manchester. I dati mostrano che per i pazienti con sarcoma di Ewing ricorrente o che non risponde alle terapie, rispetto ad altri tre regimi di solito usati per questo tumore, la scelta migliore è quella di un regime ad alte dosi di ifosfamide.

 

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Un confronto diretto

Lo studio rEECur è il primo a fornire dei dati di confronto su tossicità e sopravvivenza fra le quattro terapie più comuni e ha dimostrato che alte dosi di  ifosfamide prolungano di 5,7 mesi la sopravvivenza rispetto ai 3,7 di  topotecan più ciclofosfamide. “Il disegno di questo studio è molto interessante perché permette di abbandonare i trattamenti che funzionano meno a favore di quelli che invece danno risultati migliori”, commenta Emanuela Palmerini, oncologa all’IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna  dove si occupa di sarcomi. “E’ uno studio in divenire che prevede anche l’aggiunta di nuovi gruppi di sperimentazione. Ora verrà valutata l’azione di carboplatino e di un etoposide, un agente che danneggia il DNA. L’obiettivo è trovare, grazie al paragone diretto, la terapia che funziona meglio”.

Identificati nuovi tipi di sarcoma

Palmerini è a Chicago per presentare due studi sul sarcoma che aiutano a definire meglio le caratteristiche dei diversi sottotipi, alcuni molto rari, con l’obiettivo di poterli curare sempre meglio. Il primo definisce la prevalenza dei cosiddetti sarcomi di Ewing non traslocati: “Non si tratta semplicemente di sarcomi dove non è presente la traslocazione, che invece caratterizza la maggior parte dei casi. Abbiamo scoperto che si tratta di tumori diversi, nuovi se vogliamo”, spiega Palmerini. La catalogazione di queste nuove forme – ottenuta grazie all’analisi di oltre 1.900 casi presenti nell’archivio dell’Istituto Rizzoli – ha sigle complicate e numeri bassissimi, ma sapere che si tratta di malattie con specifiche caratteristiche aiuterà a trovare delle soluzioni mirate.

Trattamenti locali per l’osteosarcoma del rachide

Il secondo studio riguarda un altro sarcoma molto difficile da trattare: l’osteosarcoma del rachide. “Grazie alla collaborazione con la chirurgia vertebrale oncologica del Rizzoli, abbiamo potuto studiare questa forma rara di tumore, il più delle volte esclusa dalle sperimentazioni proprio a causa della difficoltà della chirurgia”, sottolinea l’oncologa. “Si può dire quindi che sappiamo poco o nulla di questa malattia. Noi abbiamo valutato il valore di trattamenti loco-regionali come la carbon terapia, che si è dimostrata utile quando associata alla chirurgia. Parliamo di pochi casi ma, vista la loro rarità e dell’altrettanta difficoltà a studiarli, è un risultato importante”, conclude Palmerini.



www.repubblica.it 2022-06-08 10:59:43

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