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Immunoterapia: cambiamo il tumore per poterlo sconfiggere

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Negli ultimi dieci anni la cura del cancro è stata rivoluzionata dall’immunoterapia. Non è un caso che molti dei tumori che in passato non avevano terapie efficaci, oggi possono essere affrontati con maggiore successo. C’è un però: l’immunoterapia non funziona in tutti i malati. Ecco perché la ricerca è all’opera nel tentativo di identificare nuove modalità per migliorarne l’efficienza.

Al congresso dell’American Society of Clinical Oncology sono stati presentati diversi studi che tracceranno il futuro utilizzo dell’immunoterapia: combinazioni, sequenze, nuovi target e molecole immunomodulanti contribuiranno sempre di più a rendere croniche molte delle neoplasie che oggi conosciamo.

Il decennio dell’immunoterapia

Sono passati poco più di dieci anni dai primi risultati storici, presentati proprio ad ASCO, sull’efficacia dell’immunoterapia. In quel caso fu per il melanoma metastatico, un tumore che lasciava solo pochi mesi di vita dalla diagnosi. “Il cambiamento epocale – spiega Michele Maio, direttore del Centro di Immuno-Oncologia al Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena e presidente di Fondazione NIBIT – lo abbiamo avuto quando anziché guardare al tumore abbiamo cominciato a concentrarci su chi poteva eliminarlo. Il sistema immunitario in questo è un grande alleato ma deve essere aiutato”.

I tumori infatti hanno la capacità di evadere la risposta immunitaria e crescere indisturbati. Ed è proprio qui che l’immunoterapia ha fatto la differenza. “Rimuovendo il freno al sistema immunitario è possibile mantenere sempre accesa la risposta. Questa strategia oggi rappresenta il quarto pilastro del trattamento dei tumori insieme a chirurgia, chemio e radioterapia” prosegue Maio.

Utilizzata correntemente per molte neoplasie, l’immunoterapia ha permesso di cronicizzare tumori che prima avevano percentuali di successo molto basse come melanoma e tumore del polmone.

Combinazioni e nuovi target

Nel decennio d’oro dell’immunoterapia, ad ipilimumab – il primo immunoterapico della storia capace di agire sul bersaglio CTLA-4- si sono affiancati altri farmaci con diverso meccanismo d’azione (contro PD-1 e PD-L1) come pembrolizumab e nivolumab. “Poter avere a disposizione più immunoterapici capaci di sfruttare differenti bersagli – prosegue Maio – è stato molto importante perché purtroppo non tutti i pazienti rispondono efficacemente alle terapie. Le combinazioni, ovvero la somministrazione di più immunoterapici, ci ha aiutato nell’alzare la quota di persone che rispondono. Non solo, le combinazioni hanno migliorato anche i dati relativi alla sopravvivenza”.

Un fatto su tutti: ad ASCO i dati dello studio Checkmate-067 sull’utilizzo combinato di due immunoterapici (ipilimumab più nivolumab) ha dimostrato che a sette anni e mezzo dalla diagnosi il 48% dei pazienti è ancora in vita. Un risultato epocale.

La ricerca in campo immunoterapico però non è affatto ferma. Nel tempo sono stati indentificati numerosi altri target, oltre ai classici CTLA-4 e PD-1/PD-L1, su cui l’industria ha cominciato a sperimentare possibili farmaci. Lo scorso mese di marzo l’FDA ha approvato il primo immunoterapico (relatlimab) diretto contro LAG-3, un nuovo target del sistema immunitario. Utilizzato nel melanoma, è in fase di sperimentazione per altre forme tumorali come il mieloma multiplo, il cancro dello stomaco e quello dell’esofago. Non solo, tra gli altri target in fase di sperimentazione ci sono anticorpi contro TIM3 e OX40, proteine in grado di regolare la risposta immunitaria.

Modificare il tumore

Ma individuare nuovi target non è il solo obbiettivo per aumentare l’efficacia dell’immunoterapia. “Un aspetto da non trascuare affatto è lo studio delle caratteristiche del tumore e del suo microambiente. In particolare di come le cellule cancerose riescono ad evadere la risposta immunitaria.

In questi anni abbiamo capito che all’utilizzo dei classici immunoterapici occorre integrare una strategia per togliere quel “velo” che il tumore utilizza per non farsi riconoscere”. Per farlo sono in fase di sperimentazione diversi approcci che prevedono l’utilizzo della chemioterapia, prima della somministrazione dell’immunoterapia, in modo tale da cambiare le caratteristiche del tumore e renderlo più facilmente riconoscibile.

“Un altro approccio molto simile è quello dell’utilizzo dei farmaci epigenetici come la guadecitabina, molecola capace di determinare modificazioni nel Dna delle cellule tumorali per poterne modularne l’espressione genica. In questo modo il tumore comincia ad esprimere sulla superficie molecole che hanno un ruolo fondamentale nell’interazione con il sistema immunitario. Successivamente il tumore, reso maggiormente visibile dalla guadecitabina, viene attaccato dal sistema immunitario sitmolato opportunamente dall’immunoterapia” spiega Maio.

Ma c’è di più: ad ASCO è stato presentato uno studio della professoressa Anna Maria Di Giacomo, del gruppo di ricerca di Michele Maio, in cui per la prima volta nell’uomo è stato sperimentato un approccio alternativo per modificare l’ambiente tumorale in modo tale ripristinare l’efficacia della risposta immunitaria contro il tumore.

“Nello studio – spiega Di Giacomo – abbiamo utilizzato una molecola sperimentale (IOA-244) con l’obbiettivo di interferire con PI3Kδ, un importante meccanismo di comunicazione interno alla cellula. La molecola in questione, oltre ad avere un’attività antitumorale, ha la caratteristica di inibire la risposta di alcune cellule del sistema immunitario che hanno funzione regolatoria negativa, ovvero spengono la risposta immunitaria. Le prime analisi hanno confermato il razionale di questo approccio, ovvero che inibire PI3Kδ potrebbe essere utile per migliorare l’effetto dell’immunoterapia”.

Imparare dai fallimenti

La strada verso un miglioramento dell’immunoterapia sembra dunque tracciata. C’è però un aspetto cruciale che non deve essere trascurato ed è quello della ricerca. In questi anni è accaduto spesso che per alcune tipologie di tumore, come ad esempio il glioblastoma, la strada dell’immunoterapia sia stata abbandonata a causa degli scarsi risultati.

“Credo che oggi occorra studiare più in profondità i meccanismi che il tumore mette in atto per evadere la risposta immunitaria. Poterli decifrare rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo di nuove strategie da associare all’immunoterapia. Abbandonare questo approccio in determinate neoplasie perché gli studi hanno dimostrato che non funziona non è corretto. È proprio lo studio di questi fallimenti che ci consentirà di far funzionare l’immunoterapia dove oggi non è ancora possibile” conclude Maio.



www.repubblica.it 2022-06-08 08:58:36

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